mercoledì 25 gennaio 2012

Dalle biotecnologie nuove opportunità per la fitoterapia clinica? sempre da Fitoterapia33

La letteratura scientifica riguardante la fitoterapia, nelle varie fasi della ricerca di base, della sperimentazione in vitro, in vivo ed RCT clinici, negli ultimi anni ha visto un trend crescente nel numero di pubblicazioni; anche la qualità intrinseca dei lavori, inizialmente mediocre, si sta elevando a buoni livelli certificando un sempre maggiore interesse ed approfondimento nella ricerca. I motivi di questi numeri possono essere ricercati in molti fattori: la crescente tendenza "verde" ed ecologista che sta pervadendo fasce sempre maggiori dell'opinione pubblica (influenzando anche le scelte terapeutiche dei pazienti), la scarsa innovazione proposta dalle industrie farmaceutiche, la necessità di poter disporre di rimedi terapeutici a costo inferiore sono solo alcuni di essi. Proprio in questo quadro possiamo inserire le più recenti evoluzioni delle biotecnologie vegetali, che potrebbero aprire nuove porte all'utilizzo della fitoterapia nella clinica di base rendendo più disponibili le fonti vegetali di principi attivi, con alte rese e bassi costi. L'inizio di questo processo evolutivo può essere fissato nel 2000, anno in cui la pubblicazione dei risultati del progetto Golden Rice risolve uno dei grandi problemi della biotecnologia vegetale, ovvero l'inserimento di più caratteri nei vettori di trasformazione. Per la prima volta si è stati, infatti, in grado di ingegnerizzare una pianta (il riso) inserendo nel suo genoma l'intero pathway biosintetico della provitamina A (che dà all'endosperma il caratteristico colore giallo), con una reale speranza di contrastare la malnutrizione nei paesi a carenza alimentare diffusa. Partendo da queste premesse, soprattutto in riferimento a specie commercialmente rilevanti, l'industria ha iniziato a richiedere una modificazione transgenica che fosse modificabile nel tempo, in modo semplice e poco dispendioso di tempo e risorse. Ricerche in tal senso effettuate tramite ritrasformazione, cotrasformazione, incroci sessuati e trasformazione con costrutti multigenici hanno sofferto di severe limitazioni nella resa. Bisogna attendere il 2002 perché un gruppo di ricerca belga risolva il problema dell'inserimento stabile di un vettore di trasformazione multigenico, utilizzando un set di endonucleasi endogene per creare un costrutto poligenico (pAUX) modulabile all'interno dell'organismo ospite. Rimane comunque la limitazione del numero esiguo di endonucleasi specifiche commercialmente disponibili, che limitano la possibilità di variare i costrutti. Tra il 2005 ed il 2007 varie équipes di ricerca nel mondo perfezionano la tecnica creando una nuova generazione di plasmidi pSAT, più performanti dei precedenti. In particolare molto attivo il gruppo di Tzfira, che applica questa tecnologia in studi di silenziamento multigenico mediante RNAi. Dell'inizio di quest'anno l'ultima evoluzione: vede la luce un sistema simile al precedente, che utilizza endonucleasi zinc-finger ingegnerizzate con enzimi di restrizione ospiti per creare un costrutto binario modulare in grado di trasferire con successo fino a 9 e più geni, con elevata resa di trasformazione.(1) Tale tecnologia, già utilizzata nel settore della ricerca alimentare per promuovere miglioramenti del bilancio amminacidico nei cereali, della composizione in acidi grassi nei semi da olio, della biodisponibilità di sali minerali e vitamine e per consentire l'eliminazione di allergeni e tossine alimentari direttamente in planta ha destato l'interesse anche dell'industria farmaceutica, che ha iniziato a vedere le piante transgeniche come biofabbriche per importanti prodotti terapeutici a basso costo. Emoglobina, alfa-1 antitripsina, enzimi digestivi, lattoferrina, glucocerebrosidasi, proteine seriche anticoagulanti sono i primi composti per interesse, ma grande attenzione si sta ponendo anche nella produzione di vaccini orali edibili: alcuni sono già sottoposti a test clinici con buona efficacia (vaccino termostabile per epatite B nelle patate). L'anticorpo anti S. mutans, agente eziologico della carie, è stato fatto esprimere nelle piante di tabacco. Questo anticorpo è attualmente usato in prove cliniche al Guiss Hospital di Londra per valutarne l'efficacia: in un futuro prossimo, tale gene potrebbe essere trasferito nella mela che mangiamo quotidianamente. Da qui, la breve distanza per indirizzare piante di rilevanza farmacologica e fitoterapica ad esprimere maggiori quantità di principi attivi endogeni o, addirittura, attivi del tutto esogeni si sta già colmando. Ciò permetterebbe di ottenere fitocomplessi naturalmente concentrati in attivi d'interesse (salidroside in R. rosea, ad esempio), liberi da endotossine o composti indesiderati (come gli acidi ginkgolici presenti in G. biloba, allergizzanti), o permettendo inoltre di salvaguardare la biomassa vegetale limitando l'impatto ambientale delle colture quando la resa dell'attivo è molto bassa (taxolo in corteccia di T. baccata), con gran vantaggio per tutti. 
(1) Zeevi, V., et al. Zinc Finger Nuclease and Homing Endonuclease-Mediated Assembly of Multigene Plant Transformation Vectors. Plant Physiology, January 2012, Vol. 158, pp. 132-144.Matteo FloridiaBiotecnologo, esperto in Fitoterapia clinicaMilano


 orso castano :occorre guardare con attenzione al trasferimento di geni nella mappa delle piante. Ci chiediamo: un nuovo desease mongering sta investendo il mondo delle coltivazioni vegetali ? Chi gestisce questi profitti? Non esistono metodi piu' vicini alla natura come la sintesi genica di piante della stessa specie , terapeutiche per il loro contenuto in vitamine o altro, ma assolutamente non "chimere" o battistrada di "mostri dalla tante tesye , le cui conseguenze sul piano clinic non sono state testate se non con la voluta "velocita'"? torneremo sull'argomento

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