martedì 7 agosto 2012



MATRICE FILOSOFICA DEL PANGERMANESIMO



Nei “Discorsi alla nazione tedesca”, scritti tra il 1807 e il 1808 quando ancora i francesi occupavano
la Prussia dopo la vittoria napoleonica di Jena (che nel 1806 fu teatro di una famosa battaglia che
vide l’esercito napoleonico sbaragliare l’esercito prussiano). Johann Gottlieb Fichte sembra avanzare
un progetto pedagogico teso al rinnovamento sia spirituale che fisico del popolo tedesco. Questa
dottrina apparentemente educativa servì alla libera circolazione dell’opera di cui i francesi non
identificarono la sua pericolosità politica. Questa nuova educazione deve essere un compito affidato al popolo tedesco che è l’unico tra tutti gli europei ad aver conservato intatte le sue caratteristiche nazionali originarie e naturali, ed inoltre era l’unica lingua priva di barbarismi e l’unico stato dove la religione non avesse influito sulla politica. Questo è comprovato dal fatto che la lingua tedesca è l’unica ad essersi conservata pura nel corso dei secoli mantenendo così intatta la cultura germanica.
Questo non è avvenuto invece per l’Italia e la Francia dove la lingua, a causa delle dominazioni
straniere, si è imbarbarita dando luogo a dialetti bastardi. Il popolo tedesco ha così conservato non
solo la purezza della lingua ma anche quella del sangue e quindi della razza che li caratterizza come
il popolo per eccellenza: lo stesso termine deutsch vuol dire infatti popolare o volgare, nel senso
riferito al vulgus, il popolo appunto.
Quindi i tedeschi sono gli unici ad avere un fattore unificatore spirituale e materiale che li
caratterizza come razza, nazione. La stessa storia culturale della Germania con le grandi figure di
Lutero, Leibniz, Kant dimostra la sua superiorità spirituale che ne fa un nazione eletta a cui è stato
affidato il compito di espandere la sua civiltà agli altri popoli.
Dopo il crollo dell’Impero di Napoleone Bonaparte, le organizzazioni nazionaliste e razziste
pangermaniche alimentarono un vero e proprio movimento politico, che ben presto diede origine a
due fazioni:
· i grandi tedeschi, fautori di una unificazione guidata dagli Asburgo d’Austria;
· i piccoli tedeschi, che caldeggiavano l’unificazione sotto la corona prussiana, appoggiati dal
cancelliere prussiano Otto von Bismarck.
Questi ultimi ebbero la meglio dopo la schiacciante vittoria prussiana ottenuta a Sedan nel 1870 sui
francesi, che permise la nascita del Secondo Reich (“Secondo Impero”) sotto Guglielmo I di
Hohenzollern, ex re di Prussia.

Il Secondo Reich si caratterizzò per il forte militarismo e la volontà di assurgere a potenza di rango
uguale a quello dell’Impero Britannico. La sanguinosa sconfitta subita nella Prima guerra mondiale e l’umiliante trattato di pace firmato a Versailles nel 1919 sancirono la fine dell’Impero guglielmino, ma non dell’ideologia pangermanica.
Adolf Hitler fece del pangermanesimo uno dei pilastri fondamentali della propaganda nazista. Fu
infatti la presunta intenzione di “riunire il popolo germanico” a giustificare le annessioni dell’Austria, dei Sudeti e successivamente di Boemia e Moravia (1938-1939). Con il nazismo, la teoria del pangermanesimo si sarebbe poi legata a quella dello spazio vitale.

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