venerdì 31 agosto 2012

Neuroscienze e Mindfulness

Segal all’ EABCT 2012: Neuroscienze e Mindfulness – Opening Lecture

(Stralci)...........................Con il nuovo secolo l’interesse si è spostato sui processi cognitivi, sulle variabili metacognitive, sulle emozioni, sulle componenti evolutive, sugli interventi neo-comportamentali di riaddestramento dell’attenzione e su tante altre cose. Si è parlato ora di accettazione, ora di compassione, ora di metacognizione, ora di mindfulness. Tutto questo non si è incanalato in un unico nuovo paradigma, ma in molteplici ondate di nuovi saperi clinici che si sono accavallate disordinatamente. Soprattutto a metà degli anni zero del nuovo secolo i congressi sono diventati a volte campi di battaglia tra fautori dei nuovi e vecchi modelli, con scontri personalistici che ci hanno insegnato qualcosa su come veramente si sviluppa la scienza.
Ieri è iniziato il 42esimo congresso annuale della EABCT, la European Society of Behaviour and Cognitive Therapy. Una buona occasione per tentare di farsi un’idea delle linee di sviluppo scientifiche e cliniche che si aprono davanti alle terapie cognitive e comportamentali. Cosa c’è di nuovo?...........Scorrendo il programma del congresso, notiamo che campeggiano la mindfulness (vera dominatrice, almeno secondo le mie impressioni), alleata a qualcosa che inizia a chiamarsi il modello neuropsicoterapeutico..............In questo primo articolo da Ginevra commento concisamente il discorso di apertura del congresso EABCT affidato a Segal, intitolato“Psychotherapy and neuroscience: a promising union”.
Segal ha passato in rassegna alcuni risultati della ricerca sugli indici di modificazione neurocerebrale correlati al cambiamento psicoterapeutico ed è riuscito a dare l’impressione che questa strada stia iniziando a dare i primi frutti. Non si tratta più di far vedere zone cerebrali più o meno colorate in pazienti ed ex pazienti (immagini che spesso mi parevano in rapporto con la psicoterapia come una foto della Francia dalla Luna è in rapporto con una passeggiata sul lungosenna a Parigi), ma si sta iniziando a trovare indici neuroscientifici di funzioni mentali che si modificano in psicoterapia. Il livello di informazione mi pare ancora basso, ma almeno non si ha più l’impressione di vedere fotografie scattate dallo spazio vuoto.
Tuttavia il vero interesse di Segal mi è sembrato essere diretto verso qualcosa che non era citato nel titolo della sua presentazione: la mindfulness. Voglio dire, dopo un po’ è diventato chiaro che i dati neuroscientifici scelti di Segal descrivono funzioni mentali di tipo attentivo e processuale che sono tipicamente quelli che si modificano in seguito a trattamenti di mindfulness. Ovvero, un incremento delle capacità di elaborazione non automatizzata e non distorta da bias attenzionali e della memoria di lavoro, ma focalizzata sul presente, sul qui e ora elaborato con il minimo indispensabile di routine cognitive già apprese e con la massima disponibilità a un sorta di innocenza aperta e priva di pregiudizi e preconcetti.
Non basta. Se Segal avesse fatto solo questo, avrebbe fatto molto, ma in fondo si sarebbe limitato a produrre una delle tante increspature che vanno a comporre il dorso ancora (molto) informe della terza ondata. A mio parere l’operazione di Segal è più ambiziosa. Collegando neuroscienze e mindfulness e definendo la mindfulness come il bacino che può comprendere e contenere tutto il coacervo di interventi processuali a cui in fondo si riduce la terza ondata, Segal si propone di riuscire ad essere la nuova mano ordinatrice che davvero stabilisce i confini di un nuovo paradigma.
Ovvero, Segal col termine mindfulness non indica più un singolo intervento specifico, che sia la  accettazione o la compassione o la validazione emotiva, ma di una vera categoria onnicomprensiva, così come onnicomprensivo era il concetto di interpretazione e ristrutturazione cognitiva di credenze distorte proposto da Beck. Categoria che si propone di diventare il descrittore dell’unico e vero processo terapeutico che starebbe alla base del cambiamento del paziente. Perché la mindfulness sembra avere non dico più possibilità, ma più fascino della metacognizione -concetto potenzialmente altrettanto onnicomprensivo- è un altro discorso, troppo lungo da affrontare qui (ma una parola si può dire: la metacognizione è ancora legata al vecchio paradigma logico e razionalistico della ristrutturazione cognitiva; la mindfulness no). E inoltre questa categoria, a differenza di altre, ha pure una base neuroscientifica ed elimina così una volta per tutte un vecchio complesso di inferiorità della psicoterapia rispetto alla medicina; finalmente avremo la nostra anatomia patologica al posto delle bislacche sindromi descrittive del DSM.......Vero, però ho l’impressione che Segal stia suggerendo che ci possono essere tante strade, ma che l’esito sia uno solo: la mindfulness. E in questo modo, pur nel rispetto delle varie possibili varianti, si crea un nuovo ombrello clinico e concettuale: la mindfulness based cognitive therapy

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