venerdì 20 luglio 2012

back delocalizzazion


Repubblica.it: il quotidiano online con tutte le notizie in tempo reale.DELOCALIZZAZIONE CONTRORDINE LE FABBRICHE TORNANO A CASA

C' era una volta il «made in China». Sarà pure precoce archiviare la Cina quale fabbrica del mondo, ma una tendenza allarma la seconda economia globale. I grandi gruppi di Europa e Usa cominciano a «ricollocare» alcune produzioni delocalizzate negli ultimi decenni. Il ritorno del lavoro nell' Ovest, o la migrazione nel Sudest asiatico e in Sudamerica, non riguarda tutti i prodotti e resta un fenomeno di nicchia. Banche e mercati lo seguono però con attenzione e i governi occidentali lo considerano la grande occasione per dare ossigeno al sistema. L' occupazione manifatturiera, tra il 1991 e il 2011, negli Stati Uniti e nella zona euro è calata di oltre un terzo. Negli ultimi due anni, secondo la società di ricerche economiche «Ihs Global Insight», il trend si è invertito. Nel 2012 negli Usa il numero dei posti di lavoro nel manifatturiero crescerà del 3,2%, mentre in Europa l' aumento potrebbe toccare il 4%. La ricomparsa delle industrie non riguarda per ora le potenze Ue, ma interessa già i Balcani, l' Ucraina, la Bielorussia e tutti i Paesi europei satelliti dell' ex Urss. Gli analisti cinesi confermano che «la crisi sta rendendo l' Occidente più competitivo», mentre in Cina i costi sono in aumento. Uno studio di Deutsche Bank rivela che entro il 2015, per le multinazionali di Usa e Ue, produrre a casa propria potrebbe costare come farlo in Oriente. Con un indiscutibile vantaggio: la vicinanza al mercato, che taglia i tempi di consegna e i costi di spedizione, mentre accresce la flessibilità dei prodotti rispetto ai gusti di consumatori sempre più volubili. Un' indagine su 600 società straniere delocalizzate in Cina ha appena scoperto che il 44% di esse sta calcolando i costi per riportare la produzione nelle nazioni di origine, o in altre regioni. Lo yuan negli ultimi cinque anni si è apprezzato di oltre il 35% su dollaro ed euro, i salari cinesi sono cresciuti tra l' 8 e il 35%, il fisco di Pechino diventa più incisivo e il prezzo dei carburanti è andato alle stelle. Nei settori lusso ad alta intensità di lavoro, la produttività dell' operaio cinese resta di un terzo inferiore che nelle nuove catene di montaggio in Europa e America. Non assisteremo presto ad una marea di lavoro che sommerge l' Occidente, ma per i top manager l' Asia non è più la scelta obbligata. A favore di Cina, Corea del Sud, Giappone, Taiwan e del Sudest asiatico emergente, restano competenze e catene di forniture consolidate. Impensabile riportare in Occidente i prodotti elettronici, il digitale, o la meccanica computerizzata. Sebbene le multinazionali euroamericane puntino a portarsi più vicine alle nuove masse dei consumatori, innovazione tecnologica e metamorfosi del mercato del lavoro stanno riequilibrando la posizione sul pianeta dei distretti dell' alta moda, dell' arredamento, degli elettrodomestici e anche dell' automobile. Il ritorno all' Ovest più evidente riguarda l' industria che ha nella sicurezza la preoccupazione essenziale: l' alimentare, i prodotti per bambini, la farmaceutica. Le imprese non vogliono più subire ricatti sui brevetti, garantire una produzione nazionale diventa un valore aggiunto d' immagine e i governi tornano a discutere agevolazioni in cambio di posti di lavoro. L' ultimo vertice economico delle economie dell' Asia ha lanciato così l' allarme innovazione: dopo trent' anni gli stabilimenti delocalizzati in Oriente cominciano a dimostrare l' età, mentre i distretti robotizzati di Europa e Americhe rubano il primato della convenienza. Presto per dire che anche i cinesi stanno per prendere un calcio nel sedere: ma il tramonto del mondo oggi in crisi non è più rosso come ieri.

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