venerdì 20 luglio 2012

La partecipazione dei lavoratori come soluzione alla disoccupazione


orso castano : un'idea certo non nuova, gia' da tempo, con successo sperimentata in Germania. Ci torneremo 

martedì, maggio 1, 2012

La disoccupazione ha toccato livelli mai visti negli ultimi 10 anni. Mentre istituzionalmente si affronta il tema con molta superficialità, a livello politico si vede nella possibilità di licenziare più facilmente i lavoratori “fissi” una possibile soluzione del problema. Oppure dicono di esportare di più a costo minore. In sostanza, vuol dire che gli stipendi vanno abbassati, per essere più competitivi.Ovviamente, alla bontà di queste soluzioni non ci crediamo neanche lontanamente: è un attacco frontale ai diritti umani, nascondendo l’incapacità -unita a poca volontà- di creare nuovi posti di lavoro. La speculazione prende il posto degli investimenti e il gioco è fatto; ma in questa situazione il “gioco” è al ribasso.Una cantilena monotona e triste riempie costantemente i mass-media, con la quale ci martellano tutti i giorni: non resta che peggiorare le condizioni di chi lavora, magari sostituendolo con un giovane che sarà disposto a lavorare il doppio per lo stesso stipendio -magari anche qualcosa meno- in un circolo vizioso senza via d’uscita. Alla fine pagheranno sempre i lavoratori e i piccoli imprenditori, senza mettere minimamente in discussione il carattere speculativo di un economia fraudolenta che crea ricchezza… per i soliti noti.La soluzione potrebbe arrivare se si creasse una vera democrazia, una democrazia diretta appunto. In questo tipo di gestione, si democratizzerebbe anche la gestione delle aziende. Vediamo come.Citando liberamente Sullings da “economia mixta”:
Così nel momento attuale, questa legge del libero mercato, che non è stata altro che la legge della giungla, dove i più forti eliminano i più piccoli, non solo ha emarginato i lavoratori, ma ora anche molti imprenditori. ”  Abbiamo visto come la co-partecipazione dei lavoratori alla direzione delle aziende, sia un passaggio necessario per applicare la democrazia diretta. Abbiamo anche accennato che la democrazia diretta dovrà essere il nuovo paradigma fondante di un nuovo sistema economico, che pone l’economia come motore dello sviluppo della soggettività, anziché dello schiavizzamento di milioni di esseri umani e dello sfruttamento violento della natura e delle risorse, come avviene tristemente oggi.
Le necessità basilari saranno coperte per tutti gli esseri umani, senza distinzione. Sia che sia fornito un reddito di cittadinanza, piuttosto che dei servizi gratuiti, a tutti verranno garanti sanità, istruzione, alloggio e qualità della vita parial soddisfacimento delle necessità minime. Va da se, che in un sistema che pone i diritti umani al centro di tutto, il lavoro sarà sempre più’ una scelta soggettiva. Sarà possibile dedicare il proprio tempo ad altro e questo aprirà il campo alla libertà umana e alla soggettività dello sviluppo della persona.
Garantire la libertà d’impresa sarà un compito dello stato coordinatore, fornendo a tutti gli studi sulla richiesta di prodotti da parte della popolazione. Questo potrà facilitare le decisioni imprenditoriali, anche per indirizzarle sui prodotti realmente necessari sul territorio.
Banche a partecipazione pubblica erogheranno prestiti a interessi di costo (senza interessi) per facilitare l’accesso al credito.In seno alla collettività, che a quel punto si troverebbe a decidere, si aprirebbero prospettive nuove ed interessantissime. Infatti, se i lavoratori potessero decidere cosa fare dei profitti, insieme alla proprietà (imprenditore), è logico supporre che un compromesso ragionevole sarà di investire in parte i profitti (nuovo capitale) nell’azienda stessa. La logica conseguenza sarà l’espansione e la diversificazione della produzione, che porta con se la diversificazione del lavoro stesso e la creazione di nuovi posti di lavoro. Se tutte le aziende applicassero questa logica, non e’ difficile intuire che dei lavoratori ben remunerati –in quanto una parte dei profitti finirebbe direttamente nelle tasche dei lavoratori- alzerebbero i consumi, generando un virtuosismo nella collettività.
 Finalmente si realizzerebbe l’equazione :
Più’ produzione=più’ ricchezza distribuita fra tutti= più’ qualità della vita per tutti.
 Ma c’è’ molto di più di questo. In un impresa dove i lavoratori realmente prendono decisioni e acquisiscono lentamente parti di propietà e si legano allo sviluppo in un dato territorio, cadrebbe ogni interesse per ogni possible delocalizzazione dell’impresa stessa. Nessuno deciderebbe di privarsi del proprio benessere e del proprio futuro, se fosse in grado di influire nelle scelte dei consigli di amministrazione. Nessuno, più dei lavoratori, vorrebbe lo sviluppo di un azienda della quale diventano lentamente anche proprietari.
Inoltre, lo stato coordinatore, potrebbe imporre dei dazi su quelle aziende che decidono arbitrariamente di delocalizzare le produzioni. Con i soldi così recuperati, si potrebbe indennizzare i lavoratori, oppure aprire aziende a partecipazione pubblica dello stesso settore dei lavoratori licenziati.Concludendo: come si vede creare nuovi posti di lavoro è solo questione che ci sia la volontà di creare uno sviluppo che non sia per pochi privilegiati, ma per tutti indistintamente. Ingredienti indispensabili: primo volerlo, secondo l’economia mista.
 Vincenzo Barbarulli

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