Alain
de Benoist. In
libri recenti, Târiq al-Bishrî e Hamadi Redissi dimostranobenissimo
come il contatto con l'Occidente abbia prodotto nel mondo islamico
un vero «trauma dellamodernità» (sadmat al-hadatha). Fino
alla metà degli anni 1960, le elite arabe e del Vicino-Oriente
avevano scommesso tutto sulla modernità forzata. L'impresa è
fallita e il fondamentalismo l'ha sostituita. Allo stesso tempo,
vediamochiaramente che la critica alla modernità da parte dei
fondamentalisti contiene una fascinazione per essa che non si
osa esprimere apertamente. Sapendo che la«modernizzazione» è
l'adozione simultanea della società di mercato, dell'ideologia dei
diritti umani, dell'individualismo occidentale, della democrazia
liberale e dello«Stato di diritto», come vede i rapporti del Sud
con la modernità? Cosa pensadell'atteggiamento di quelli che,
giudicando la modernizzazione una necessità, sostengono che il
modello occidentale debba essere esportato nel mondo arabo-musulmano?
Danilo
Zolo.
Ci
sono autori che identificano tout court i processi di globalizzazione
con la diffusione della modernità occidentale. Fra questi ci sono
filosofi e sociologi europei, come Jürgen Habermas, Ralf Dahrendorf,
Antony Giddens, Ulrich Beck, per i quali il problema cruciale
del nostro tempo non è quello del dialogo e del reciproco rispetto
fra le diverse civiltà e culture del pianeta. Il problema principale
è l'unificazione del mondo attorno ai valori dell'Occidente, assunti
come universali o come universalizzabili. Ciò che si trova
oltre il cerchio della modernità occidentale è
arretratezza economica,oscurantismo,fanatismo,oppressione .
In opposizione a questo punto di vista, per quanto riguarda un
possibile dialogo fra l'Europa e la cultura islamica, centrale è il
tema del rapporto fra Islam e modernità. Va sottolineato anzitutto
che questo rapporto ha tormentato il mondo arabo-islamico sin dagli
inizi dell'Ottocento, a partire dalla vittoriosa spedizione di
Napoleon Bonaparte in Egitto. La dolorosa esperienza della 'scoperta
dell'altro' come potente e come vincitore si è ripetuta più volte
nel corso dell'era coloniale fra Ottocento e Novecento e ancor di più
nella seconda metà del secolo scorso, a causa delle 'umiliazioni'
che l'Occidente, direttamente o tramite lo Stato israeliano, ha
inflitto al mondo arabo: anzitutto la
sconfitta subita nel 1949 da
parte delle armate israeliane e, nel 1967, la completa occupazione
dei territori palestinesi a conclusione della Guerra dei sei giorni;
poi è intervenuto il trauma della guerra del Golfo del 1991 - una
sconfitta che Fatema Mernissi ha posto in particolare rilievo -, e
infine l'aggressione anglo-americana contro l'Iraq del marzo 2003.
Come hanno sostenuto Târiq al-Bishrî e HamadiRedissi, il 'trauma
della modernità' è una lesione che continua a 'destrutturare' e
a
lacerare il mondo islamico. È quella che Samir Kassir, prima di essere assassinato, aveva chiamato 'la sindrome del malheur arabe', l'infelicità degli arabi. Le aggressioni coloniali e postcoloniali che i paesi arabi hanno subito, assieme all'oppressione politica ed economica che ne è seguita, hanno introdotto una profonda'divisione' entro la maggior parte delle istituzioni intellettuali, educative, politiche ed economiche del mondo arabo. L'assoluta superiorità degli invasori, in materia di........
scienza, tecnica, organizzazione politica e normazione giuridica, ha costretto gli arabi a imparare dai loro nemici e a seguirne le regole. Ciò li ha posti in una situazione paradossale: resistere con tutti i mezzi alle potenze coloniali e nello stesso tempo imitarle per tentare di dare efficacia alla resistenza e di sconfiggerle. Questo ha aperto una profonda frattura nei valori di riferimento della società islamica, divisa fra la fedeltà alla tradizione coranica, da una parte, e la necessità, dall'altra, di 'apprendere dai nemici', allontanandosi da quella tradizione. La frattura ha generato una sorta di schizofrenia che non riguarda soltanto i rapporti sociali all'interno del mondo arabo- islamico, ma che molto spesso colpisce anche le coscienze individuali, tese fra due possibili modelli di esperienza fra loro in larga misura incompatibili.Alain de Benoist. Nel vostro libro, Franco Cassano accenna all'opposizione tra due tipi di uomini, che Arnold J. Toynbee descriveva come «Erodiani» e «Zeloti». Gli Erodiani sono quelli che prendono l'Altro come modello e che, sempiterni seguaci e collaboratori, si mettono dalla parte del più forte. Sarebbero oggi gli atlantisti e gli occidentofili. Gli Zeloti sono invece quelli che difendono la loro identità ma in un modo convulso e contratto. Sarebbero oggi i fondamentalisti musulmani. Si può spezzare questa dualità infernale? Sfuggire alla dicotomia «Jihad vs. McWorld»? L'Occidente è capace, secondo Lei, di combattere con efficacia il fondamentalismo islamico senza perdere il suo proprio fondamentalismo che riduce qualsiasi intreccio sociale alla logica di un mercato dove tutto nel mondo può essere acquistato?Danilo Zolo. L'Occidente non può opporsi al fondamentalismo islamico senza primarinunciare al suo fondamentalismo, che è, essenzialmente, il fondamentalismo del mercato, del profitto, della produzione e del consumo, sostenuto con la forza del potere militare e in dispregio del diritto internazionale. Se è così, la via della pace nel Mediterraneo e nel Medio Oriente passa per la capacità della 'vecchia Europa' di recuperare i suoi valori originari, a cominciare dalla riaffermazione del diritto e delle istituzioni internazionali e della necessità del dialogo e della cooperazione con le altre culture e civiltà, anzitutto con il mondo islamico e quello cinese-confuciano. E la pace internazionale dipende, almeno in parte, dalla capacità dell'Europa di svolgere una funzione di equilibrio strategico in un mondo che tenta di liberarsi dall'unilateralismo imperiale degli Stati Uniti e di darsi un assetto multipolare e policentrico. Si potrebbe sostenere che l'ordine mondiale dipenderà dalla capacità dell'Europa di essere 'europea' e cioè sempre meno atlantica e sempre meno occidentale: un'Europa orientata a svolgere un ruolo autonomo nel medio Oriente enell'Oriente asiatico. L'emergere di grandi potenze regionali come l'India e la Cina rischia altrimenti di fare del Pacifico il nuovo epicentro egemonico del mondo, emarginando ancora una volta l'Europa, il Mediterraneo e i loro valori. La realizzazione di un mondo meno spietato e violento passa dunque, molto probabilmente, (anche) per una strategia euromediterranea che sia capace di fermare il progetto imperiale 'oceanico' e di aprire una breccia nella compattezza dello schieramento manicheo che oggi divide il mondo: da una parte alcune grandi potenze occidentali che si ritengono portatrici di valori assoluti e legittimate a usare la violenza per tutelarli e diffonderli, e, dall'altra parte, i paesi islamici dove le armate 'cristiane' possono impunemente fare strage di decine di migliaia di persone innocenti e decidere l'impiccagione dei nemici aggrediti e sconfitti. Nella sua attuale subordinazione atlantica l'Europa, dimentica delle sue radici mediterranee, subisce una grave amputazione, che è all'origine della sua incapacità autocritica, della sua debolezza identitaria, della sua impotenza come attore politico internazionale. L'Europa è costretta a pensarsi come 'Vecchia Europa', e cioè come una fase superata dello sviluppo storico che ha portato all'affermazione della civiltà occidentale. E in questa prospettiva, salvo la sua arretratezza politica e militare, l'Europa tende a identificarsi con gli Stati Uniti e a condividerne la peculiare concezione dellamodernità', con al centro l'individualismo estremo, la pulsione acquisitiva, la competizione, l'efficienza produttiva e la crescita economica, con l'inevitabilecorollario della devastazione dell'ambiente.Alain de Benoist. Il vostro libro si chiama L'alternativa mediterranea. In che senso (e rispetto a cosa) il Mediterrane o costituisce un'alternativa nel mondo odierno? A quali condizioni essa si potrebbe realizzare?Danilo Zolo. L'unità, l'originalità e la grandezza civile del 'pluriverso' mediterraneo sono un patrimonio storico e politico che oggi rischia di essere cancellato, sopraffatto com'è da strategie 'oceaniche' - universalistiche e 'monoteistiche' - che minacciano non solo la convivenza fra i popoli mediterranei, ma anche l'ordine e la pace internazionale. Per 'alternativa mediterranea' si può dunque intendere il tentativo di resistere, facendo leva su un recupero della tradizione e dei valori mediterranei, alla deriva universalistica e 'monoteistica' che viene dall'Occidente estremo - gli StatiUniti d'America - e si abbatte con violenza sul vecchio mondo. L''alternativa' è denunciare e contrastare il fondamentalismo neo-imperiale - aggressivo e bellicista -che si propone di recidere ogni rapporto fra le due rive del Mediterraneo, subordinando l'Europa allo spazio atlantico e sottoponendo il mondo arabo-islamico ad una crescente pressione politica, economica e militare. È il caso di aggiungere che l'idea di una 'alternativa mediterranea' che qui è stata tratteggiata si ispira alla scuola di Algeri e alla lezione braudeliana non solo per il rifiuto di ogni riferimento unilaterale e apologetico alla tradizione romana e cristiano-cattolica, ma anche per la diffidenza 'realista' verso una visione nostalgica o romantica del Mediterraneo. La mitologia dell'età dell'oro greco-romana finisce per applicare il paradigma'orientalista' al Mediterraneo stesso, facendone un prezioso fossile della protostoria occidentale, senza prospettive se non quelle del piccolo cabotaggio turistico-commerciale. Predrag Matvejevi non ha torto quando insiste ć nel denunciare il passatismo retrospettivo di molta letteratura mediterranea, che sembra riferirsi agli antichi splendori imperiali - o alla dolcezza del clima, o ai paesaggi pittoreschi -come alle sole possibili fonti della propria legittimazione intellettuale, e non ha energie per concepire un progetto innovativo. L''alternativa mediterranea' che viene qui proposta vorrebbe valorizzare, piuttosto, la cultura del limes, dei molti Dei, delle molte lingue e delle molte civiltà, del 'mare fra le terre' estraneo alla dimensionemonista, cosmopolitica e 'umanitaria' delle potenze oceaniche. Resta tuttavia una condizione essenziale perché il progetto di revisione e di rilancio della cooperazione mediterranea possa avere un minimo successo: è necessaria un'incisiva trasformazione del rapporto fra il processo di unificazione dell'Europa, la sua appartenenza all'emisfero occidentale e le sue radici mediterranee. Oggi l'Europa, nella percezione diffusa degli europei e non solo nella ideologia dei neocon statunitensi, è la periferia sud-orientale dello spazio atlantico, mentre il centro è saldamente ancorato alla Statua della libertà. L'Europa unita ha oggi una popolazione che è più del doppio di quella statunitense ed è quattro volte quella del Giappone. È la prima potenza commerciale del mondo e il suo Prodotto interno lordo è pari a un quarto del Prodotto interno lordo mondiale. Ma sul piano politico e militare l'Europa è inesistente: è semplicemente la frontiera che separa l'emisfero occidentale dall'oriente asiatico e dal mondo islamico. E l'Europa è sempre più in ritardo sul quadrante di una storia contemporanea che l'energia distruttiva e innovativa del 'nuovo mondo' americano ha spinto verso una mutazione continua. Ed è naturale che l'ideologia politica e militare dell''atlantismo' continui a raccogliere forti consensi in Europa, soprattutto nell'area anglosassone e nell'Est europeo, che hanno avuto deboli interazioni con le culture fiorite sulle sponde del Mediterraneo, quella arabo-islamica in particolare.
lacerare il mondo islamico. È quella che Samir Kassir, prima di essere assassinato, aveva chiamato 'la sindrome del malheur arabe', l'infelicità degli arabi. Le aggressioni coloniali e postcoloniali che i paesi arabi hanno subito, assieme all'oppressione politica ed economica che ne è seguita, hanno introdotto una profonda'divisione' entro la maggior parte delle istituzioni intellettuali, educative, politiche ed economiche del mondo arabo. L'assoluta superiorità degli invasori, in materia di........
scienza, tecnica, organizzazione politica e normazione giuridica, ha costretto gli arabi a imparare dai loro nemici e a seguirne le regole. Ciò li ha posti in una situazione paradossale: resistere con tutti i mezzi alle potenze coloniali e nello stesso tempo imitarle per tentare di dare efficacia alla resistenza e di sconfiggerle. Questo ha aperto una profonda frattura nei valori di riferimento della società islamica, divisa fra la fedeltà alla tradizione coranica, da una parte, e la necessità, dall'altra, di 'apprendere dai nemici', allontanandosi da quella tradizione. La frattura ha generato una sorta di schizofrenia che non riguarda soltanto i rapporti sociali all'interno del mondo arabo- islamico, ma che molto spesso colpisce anche le coscienze individuali, tese fra due possibili modelli di esperienza fra loro in larga misura incompatibili.Alain de Benoist. Nel vostro libro, Franco Cassano accenna all'opposizione tra due tipi di uomini, che Arnold J. Toynbee descriveva come «Erodiani» e «Zeloti». Gli Erodiani sono quelli che prendono l'Altro come modello e che, sempiterni seguaci e collaboratori, si mettono dalla parte del più forte. Sarebbero oggi gli atlantisti e gli occidentofili. Gli Zeloti sono invece quelli che difendono la loro identità ma in un modo convulso e contratto. Sarebbero oggi i fondamentalisti musulmani. Si può spezzare questa dualità infernale? Sfuggire alla dicotomia «Jihad vs. McWorld»? L'Occidente è capace, secondo Lei, di combattere con efficacia il fondamentalismo islamico senza perdere il suo proprio fondamentalismo che riduce qualsiasi intreccio sociale alla logica di un mercato dove tutto nel mondo può essere acquistato?Danilo Zolo. L'Occidente non può opporsi al fondamentalismo islamico senza primarinunciare al suo fondamentalismo, che è, essenzialmente, il fondamentalismo del mercato, del profitto, della produzione e del consumo, sostenuto con la forza del potere militare e in dispregio del diritto internazionale. Se è così, la via della pace nel Mediterraneo e nel Medio Oriente passa per la capacità della 'vecchia Europa' di recuperare i suoi valori originari, a cominciare dalla riaffermazione del diritto e delle istituzioni internazionali e della necessità del dialogo e della cooperazione con le altre culture e civiltà, anzitutto con il mondo islamico e quello cinese-confuciano. E la pace internazionale dipende, almeno in parte, dalla capacità dell'Europa di svolgere una funzione di equilibrio strategico in un mondo che tenta di liberarsi dall'unilateralismo imperiale degli Stati Uniti e di darsi un assetto multipolare e policentrico. Si potrebbe sostenere che l'ordine mondiale dipenderà dalla capacità dell'Europa di essere 'europea' e cioè sempre meno atlantica e sempre meno occidentale: un'Europa orientata a svolgere un ruolo autonomo nel medio Oriente enell'Oriente asiatico. L'emergere di grandi potenze regionali come l'India e la Cina rischia altrimenti di fare del Pacifico il nuovo epicentro egemonico del mondo, emarginando ancora una volta l'Europa, il Mediterraneo e i loro valori. La realizzazione di un mondo meno spietato e violento passa dunque, molto probabilmente, (anche) per una strategia euromediterranea che sia capace di fermare il progetto imperiale 'oceanico' e di aprire una breccia nella compattezza dello schieramento manicheo che oggi divide il mondo: da una parte alcune grandi potenze occidentali che si ritengono portatrici di valori assoluti e legittimate a usare la violenza per tutelarli e diffonderli, e, dall'altra parte, i paesi islamici dove le armate 'cristiane' possono impunemente fare strage di decine di migliaia di persone innocenti e decidere l'impiccagione dei nemici aggrediti e sconfitti. Nella sua attuale subordinazione atlantica l'Europa, dimentica delle sue radici mediterranee, subisce una grave amputazione, che è all'origine della sua incapacità autocritica, della sua debolezza identitaria, della sua impotenza come attore politico internazionale. L'Europa è costretta a pensarsi come 'Vecchia Europa', e cioè come una fase superata dello sviluppo storico che ha portato all'affermazione della civiltà occidentale. E in questa prospettiva, salvo la sua arretratezza politica e militare, l'Europa tende a identificarsi con gli Stati Uniti e a condividerne la peculiare concezione dellamodernità', con al centro l'individualismo estremo, la pulsione acquisitiva, la competizione, l'efficienza produttiva e la crescita economica, con l'inevitabilecorollario della devastazione dell'ambiente.Alain de Benoist. Il vostro libro si chiama L'alternativa mediterranea. In che senso (e rispetto a cosa) il Mediterrane o costituisce un'alternativa nel mondo odierno? A quali condizioni essa si potrebbe realizzare?Danilo Zolo. L'unità, l'originalità e la grandezza civile del 'pluriverso' mediterraneo sono un patrimonio storico e politico che oggi rischia di essere cancellato, sopraffatto com'è da strategie 'oceaniche' - universalistiche e 'monoteistiche' - che minacciano non solo la convivenza fra i popoli mediterranei, ma anche l'ordine e la pace internazionale. Per 'alternativa mediterranea' si può dunque intendere il tentativo di resistere, facendo leva su un recupero della tradizione e dei valori mediterranei, alla deriva universalistica e 'monoteistica' che viene dall'Occidente estremo - gli StatiUniti d'America - e si abbatte con violenza sul vecchio mondo. L''alternativa' è denunciare e contrastare il fondamentalismo neo-imperiale - aggressivo e bellicista -che si propone di recidere ogni rapporto fra le due rive del Mediterraneo, subordinando l'Europa allo spazio atlantico e sottoponendo il mondo arabo-islamico ad una crescente pressione politica, economica e militare. È il caso di aggiungere che l'idea di una 'alternativa mediterranea' che qui è stata tratteggiata si ispira alla scuola di Algeri e alla lezione braudeliana non solo per il rifiuto di ogni riferimento unilaterale e apologetico alla tradizione romana e cristiano-cattolica, ma anche per la diffidenza 'realista' verso una visione nostalgica o romantica del Mediterraneo. La mitologia dell'età dell'oro greco-romana finisce per applicare il paradigma'orientalista' al Mediterraneo stesso, facendone un prezioso fossile della protostoria occidentale, senza prospettive se non quelle del piccolo cabotaggio turistico-commerciale. Predrag Matvejevi non ha torto quando insiste ć nel denunciare il passatismo retrospettivo di molta letteratura mediterranea, che sembra riferirsi agli antichi splendori imperiali - o alla dolcezza del clima, o ai paesaggi pittoreschi -come alle sole possibili fonti della propria legittimazione intellettuale, e non ha energie per concepire un progetto innovativo. L''alternativa mediterranea' che viene qui proposta vorrebbe valorizzare, piuttosto, la cultura del limes, dei molti Dei, delle molte lingue e delle molte civiltà, del 'mare fra le terre' estraneo alla dimensionemonista, cosmopolitica e 'umanitaria' delle potenze oceaniche. Resta tuttavia una condizione essenziale perché il progetto di revisione e di rilancio della cooperazione mediterranea possa avere un minimo successo: è necessaria un'incisiva trasformazione del rapporto fra il processo di unificazione dell'Europa, la sua appartenenza all'emisfero occidentale e le sue radici mediterranee. Oggi l'Europa, nella percezione diffusa degli europei e non solo nella ideologia dei neocon statunitensi, è la periferia sud-orientale dello spazio atlantico, mentre il centro è saldamente ancorato alla Statua della libertà. L'Europa unita ha oggi una popolazione che è più del doppio di quella statunitense ed è quattro volte quella del Giappone. È la prima potenza commerciale del mondo e il suo Prodotto interno lordo è pari a un quarto del Prodotto interno lordo mondiale. Ma sul piano politico e militare l'Europa è inesistente: è semplicemente la frontiera che separa l'emisfero occidentale dall'oriente asiatico e dal mondo islamico. E l'Europa è sempre più in ritardo sul quadrante di una storia contemporanea che l'energia distruttiva e innovativa del 'nuovo mondo' americano ha spinto verso una mutazione continua. Ed è naturale che l'ideologia politica e militare dell''atlantismo' continui a raccogliere forti consensi in Europa, soprattutto nell'area anglosassone e nell'Est europeo, che hanno avuto deboli interazioni con le culture fiorite sulle sponde del Mediterraneo, quella arabo-islamica in particolare.
Note
*. Intervista raccolta da Alain de Benoist, Éléments, 129 (Été 2008), pp. 26-32.
Traduzione delle domande dal francese all'italiano a cura di Benoît Challand.
1. Danilo Zolo, Franco Cassano (a cura di), L'alternativa mediterranea, Milano,
Feltrinelli, 2007, 659 pagine.
*. Intervista raccolta da Alain de Benoist, Éléments, 129 (Été 2008), pp. 26-32.
Traduzione delle domande dal francese all'italiano a cura di Benoît Challand.
1. Danilo Zolo, Franco Cassano (a cura di), L'alternativa mediterranea, Milano,
Feltrinelli, 2007, 659 pagine.
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