venerdì 19 agosto 2011

L'Istituto nazionale per il Commercio Estero e' stato soppresso con Decreto Legge n.98 del 6 luglio 2011, articolo 14 commi 17-27. Convertito in Legge n. 111 del 15 Luglio 2011

orso castano: bambino ed acqua sporca, tutto via , al water, tanto si accorpa in pachidermici enti per risparmiare . Funzioneranno ? dubitiamo.
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    Inviato in data 12/ago/2011 04:42 da SostienIce SostienIce
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    Inviato in data 12/ago/2011 04:39 da SostienIce SostienIce
ON AGOSTO - 10 - 2011
Uno dei provvedimenti che hanno destato maggiori perplessità nella politica di risanamento finanziario adottata dal Governo è stato sicuramente la soppressione dell’Ice, l’Istituto per il commercio estero, avvenuta in finanziaria mediante il decreto 98  del 6 luglio 2011 convertito nella legge 111/11. La ragione è semplice. Razionalmente si presuppone che un ente pubblico venga eliminato quando: a) determina incisivi tagli di spesa; b) ha una scarsa consistenza; c) viene ritenuto inutile dai potenziali beneficiari; d) incide scarsamente sull’economia nazionale; e) può essere facilmente integrato. Vediamo se è questo il caso il caso dell’ICE.
<strong>Risparmi</strong>. L’aspetto ‘risparmio’ si trova al primo punto perché formalmente è la ragione madre della soppressione dell’Ice. Ebbene, da diversi anni in perfetta controtendenza con quanto sta avvenendo, ad esempio in Francia, Germania e Inghilterra, l’Italia ha sempre diminuito i contributi all’Agenzia nazionale che sostiene l’export. Attualmente questo contributo si aggira sui 110 milioni di euro all’anno, comprensivi dei costi di personale e di gestione delle sedi in Italia e all’estero. Saranno milioni risparmiati? Difficile immaginarlo. Il personale (circa 700) continuerà ad essere pagato presso altri ministeri e anche i costi della sede centrale (che probabilmente verrà assorbito dal Ministero per lo sviluppo economico) continueranno ad essere gli stessi. Si risparmierà sicuramente sugli uffici in Italia e all’estero. Ma in compenso si perderanno gli oltre 50 milioni di contributi che l’Ice riscuote annualmente dalle aziende private per i servizi prestati. Non occorre a questo punto essere un esperto ragioniere per rendersi conto che nell’ambito di un manovra di 48 miliardi forse gli unici veri risparmi si avranno con i 48 precari licenziati (alcuni avevano appena superato un concorso durato un anno).
<strong>Consistenza</strong>. L’Ice è stato fondato nel lontano 1926. Il suo ruolo nell’ambito del commercio estero italiano è cresciuto sensibilmente nel corso degli anni. Nel 2010 hanno partecipato alle iniziative dell’Istituto poco meno di 20 mila aziende: circa 7 mila hanno beneficiato di servizi personalizzati (informazione, assistenza e consulenza gratuiti) e 2.300 di servizi a pagamento. Sono state ben 7171 le iniziative promozionali in 74 Paesi per 80 settori merceologici che hanno prodotto oltre 40 mila incontri tra aziende italiane e controparti estere. Fino a poco tempo fa l’Ice vantava 115 unità operative in 88 paesi: una cifra che è scesa a 92 con la chiusura di importanti sedi come Praga, Amsterdam, Bratislava, Dublino, Manila e Lisbona. Gli uffici regionali sono 17 uffici.
<strong>Beneficiari</strong>. E’ forse il punto centrale. Cosa ne pensano i potenziali beneficiari dell’Ice? Praticamente c’è stata una levata di scudi da parte di moltissime categorie e associazioni, dalla Confindustria alla CNA (artigiani), alla Confapi (piccoli industriali) , allo SIMI (Sistema moda), all’Acimit (macchine tessili), Federmeccanica, Acimit (macchine tessili), Assovini, all’Anica (cinematografia), ecc. Tutti sembrano concordi nel sostenere che verrà a mancare in Italia un vero punto di riferimento per le attività all’estero. Del resto è sufficiente ricordare già nelle prossime settimane sono ad alto rischio la Fiera della moda di Mosca (200 aziende), la Fiera agro alimentare di Colonia (270 aziende e 13 organismi associativi), diverse iniziative in Brasile e Germania che dovrebbero coinvolgere oltre 600 aziende, nonché la importante Fiera delle macchine tessili di Barcellona (400 aziende).
<strong>Economia nazionale</strong>. Ma l’Ice interessa solo gli esportatori (che, comunque, sono oltre 200 mila) o può essere considerato un Istituto di interesse nazionale? La risposta sembra ovvia se prendiamo in considerazione il peso del commercio estero sul Pil che è del 53,9% (export, import e servizi). Per la cronaca il 69,3 %  del commercio estero italiano riguarda l’Europa mentre i primi 5 mercati extra UE sono Cina, Turchia, Russia, Giappone e Brasile. In parole povere, l’economia italiana nel suo complesso dipende moltissimo dal commercio estero ma nonostante ciò è deciso di tagliare la sua struttura pubblica che promuove l’export (e che, anche attraverso l’indotto), garantisce milioni di posti di lavoro.
<strong>Procedura di sostituzione</strong>. In questo caso la domanda è: Chiudere l’Ice per fare che? Purtroppo non ci è stato possibile avere una risposta sicura e coerente.
Allo Stato attuale è previsto semplicemente che il personale all’estero verrà ‘inglobato’ o ‘ospitato’ presso le nostre rappresentanze diplomatiche (ambasciate e consolati) mentre il personale della sede centrale di Roma e nelle varie Regioni verrà  integrato nel Ministero dello Sviluppo Economico. In che modo e con quali funzioni non lo sa nessuno. In pratica, a sentire anche i sindacati dell’Ice,  è stato semplicemente creato un mostro con due teste che fa capo a due ministeri. E tutto ciò senza prevedere una fase transitoria in grado di mantenere almeno gli impegni già assunti.
Per ora diverse forze dell’opposizione si stanno mobilitando nel tentativo di bloccare il dissolversi di un patrimonio enorme di conoscenze, esperienze personali, nonché di una delle più grandi banche dati sull’export in Europa. C’è da sperare che anche all’interno della maggioranza prenda corpo l’idea di riconsiderare una scelta che potrebbe rivelarsi un vero boomerang anche sul piano dei risparmi. Detto ciò, non v’è dubbio che anche la politica di sostegno al nostro commercio con l’estero necessita di una ristrutturazione e di una maggiore razionalizzazione dei costi. Inoltre, ci appare opportuno che l’Ice o una eventuale nuova agenzia torni alla mission iniziale, che è quella di assistere soprattutto i piccoli imprenditori nei mercati più difficili. Certe grandi manifestazioni all’estero forse fanno molta immagine a chi le promuove ma servono poco ai piccoli imprenditori. Del resto le grandi aziende non hanno bisogno dell’Ice per affermarsi sui mercati internazionali. In ogni caso, se proprio s’intende chiudere l’Istituto, almeno si affidi a una sola testa il compito (e la responsabilità) di disegnare, gestire e promuovere le nostre importazioni, esportazioni e investimenti all’estero. E che lo si faccia subito.

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