mercoledì 31 agosto 2011

Manovra, respingere l'attacco all'art. 18 Statuto lavoratori


L’ARTICOLO DA RITIRARE
 Massimo D’Antoni   29/8/2011
L ’attacco all'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, quello che sanziona il licenziamento ingiustificato, non è una novità per Berlusconi.......... La soluzione prevista dall'art. 8 del decreto legge della manovra, che consente alla contrattazione aziendale di derogare ai limiti posti dallo Statuto dei lavoratori, è particolarmente maldestra.Come ha spiegato il senatore Pietro Ichino, i risultati prevedibili della sua applicazione sarebbero un aumento del contenzioso e la creazione di ulteriori disparità tra lavoratori. Insomma, un intervento che potrebbe al più soddisfare quei liberisti che vedono lo scardinamento del diritto del lavoro come un obiettivo in sé auspicabile.Più in generale, ci sono due ordini di ragioni che giustificano una forte opposizione a tale norma e la richiesta della sua cancellazione.............La prima ha a che vedere con il presupposto di fondo dell'intervento: l'idea che l'aumento della produttività passi per una maggiore licenziabilità e la conseguente modifica dei rapporti di forza all' interno dell'impresa; e che il prevedibile aumento nella diseguaglianza delle retribuzioni possa determinare migliori incentivi per i lavoratori.Evidentemente l'esito di 15 anni di riforme in direzione di una progressiva deregolamentazione del mercato del lavoro non è bastato a scalfire certe convinzioni. Non ci riferiamo soltanto ai costi umani della maggiore precarietà, ma al fatto che l'aumento della flessibilità non ha portato agli sperati aumenti della produttività.Il perché non è difficile da spiegare, una volta che si comprenda che la produttività del lavoro è principalmente l'effetto di investimenti, realizzati sia dall' impresa che dal lavoratore, in capitale fisico e soprattutto umano; investimenti che comportano in molti casi l'acquisizione di competenze specifiche all'impresa. È chiaro che maggiore è la precarietà, minore sarà l'incentivo ad investire per entrambe le parti.  La via della flessibilità può sembrare una soluzione più a portata di mano per aumentare la competitività, in quanto scarica all'esterno dell' impresa parte dei rischi e consente, complice il vantaggio in termini di obblighi previdenziali, il contenimento dei costi del lavoro.Ma si tratta di benefici di corto respiro, che non favoriscono certo quella riqualificazione produttiva di cui il Paese ha un disperato bisogno. Ben più convincenti semmai altre strade, come quella di prevedere, insieme ad un giusto grado di flessibilità «interna» e a forme innovative di coinvolgimento del sindacato, incrementi salariali a livelli programmati, in modo da aumentare il premio per le imprese più innovative penalizzando quelle meno efficienti. E veniamo così alla seconda ragione per cui è importante opporsi all'articolo 8 della manovra. Una ragione più legata alla fase specifica in corso, ma non per questo meno cruciale. Si tratta della consapevolezza che la drammaticità del momento richiede spirito di collaborazione tra i soggetti interessati, per ricondurre il Paese su un sentiero virtuoso di crescita, rigore e responsabilità.Solo cercando soluzioni il più possibile condivise, e non alimentando un clima di risentimento e di diffidenza di tutti contro tutti, sarà possibile distribuire in modo equo i sacrifici necessari.L'appello comune delle parti sociali del 27luglio («Un patto per crescere») era un segnale importante nella direzione giusta, che rischia di essere vanificato dall'ennesimo ricorso a quella che è stata efficacemente definita strategia della divisione.È chiaro che ci sono sensibilità, visioni e interessi diversi in gioco; compito di un governo responsabile dovrebbe essere quello di fare sintesi e definire le priorità minimizzando i constrasti, non quello di giocare col fuoco dello scontro ideologico, cullandosi nella propria illusione di autosufficienza.

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