L’ARTICOLO DA RITIRARE
Massimo D’Antoni 29/8/2011
L ’attacco all'articolo 18 dello
Statuto dei lavoratori, quello che sanziona il licenziamento
ingiustificato, non è una novità per Berlusconi.......... La
soluzione prevista dall'art. 8 del decreto legge della manovra, che
consente alla contrattazione aziendale di derogare ai limiti posti
dallo Statuto dei lavoratori, è particolarmente maldestra.Come ha
spiegato il senatore Pietro Ichino, i risultati prevedibili della sua
applicazione sarebbero un aumento del contenzioso e la creazione di
ulteriori disparità tra lavoratori. Insomma, un intervento che
potrebbe al più soddisfare quei liberisti che vedono lo
scardinamento del diritto del lavoro come un obiettivo in sé
auspicabile.Più in generale, ci sono due ordini di ragioni che
giustificano una forte opposizione a tale norma e la richiesta della
sua cancellazione.............La prima ha a che vedere con il
presupposto di fondo dell'intervento: l'idea che l'aumento della
produttività passi per una maggiore licenziabilità e la conseguente
modifica dei rapporti di forza all' interno dell'impresa; e che il
prevedibile aumento nella diseguaglianza delle retribuzioni possa
determinare migliori incentivi per i lavoratori.Evidentemente l'esito
di 15 anni di riforme in direzione di una progressiva
deregolamentazione del mercato del lavoro non è bastato a scalfire
certe convinzioni. Non ci riferiamo soltanto ai costi umani
della maggiore precarietà, ma al fatto che l'aumento della
flessibilità non ha portato agli sperati aumenti della
produttività.Il perché non è difficile da spiegare, una volta che
si comprenda che la produttività del lavoro è principalmente
l'effetto di investimenti, realizzati sia dall' impresa che dal
lavoratore, in capitale fisico e soprattutto umano; investimenti che
comportano in molti casi l'acquisizione di competenze specifiche
all'impresa. È chiaro che maggiore è la precarietà, minore
sarà l'incentivo ad investire per entrambe le parti. La via
della flessibilità può sembrare una soluzione più a portata di
mano per aumentare la competitività, in quanto scarica all'esterno
dell' impresa parte dei rischi e consente, complice il vantaggio in
termini di obblighi previdenziali, il contenimento dei costi del
lavoro.Ma si tratta di benefici di corto respiro, che non favoriscono
certo quella riqualificazione produttiva di cui il Paese ha un
disperato bisogno. Ben più convincenti semmai altre strade, come
quella di prevedere, insieme ad un giusto grado di flessibilità
«interna» e a forme innovative di coinvolgimento del sindacato,
incrementi salariali a livelli programmati, in modo da aumentare il
premio per le imprese più innovative penalizzando quelle meno
efficienti. E veniamo così alla seconda ragione per cui è
importante opporsi all'articolo 8 della manovra. Una ragione più
legata alla fase specifica in corso, ma non per questo meno cruciale.
Si tratta della consapevolezza che la drammaticità del momento
richiede spirito di collaborazione tra i soggetti interessati, per
ricondurre il Paese su un sentiero virtuoso di crescita, rigore e
responsabilità.Solo cercando soluzioni il più possibile condivise,
e non alimentando un clima di risentimento e di diffidenza di tutti
contro tutti, sarà possibile distribuire in modo equo i sacrifici
necessari.L'appello comune delle parti sociali del 27luglio («Un
patto per crescere») era un segnale importante nella direzione
giusta, che rischia di essere vanificato dall'ennesimo ricorso a
quella che è stata efficacemente definita strategia della
divisione.È chiaro che ci sono sensibilità, visioni e interessi
diversi in gioco; compito di un governo responsabile dovrebbe essere
quello di fare sintesi e definire le priorità minimizzando i
constrasti, non quello di giocare col fuoco dello scontro ideologico,
cullandosi nella propria illusione di autosufficienza.
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