martedì 13 novembre 2012

Educare alla riflessione sull’anzianità attiva


orso castano : essere soli, cattiva scoperta, ma si puo' scoprire di essere in tanti a non voler essere soli ed allora internet puo' diventare un ottimo strumento per comunicare e rompere il cerchio maledetto della solitudine e dell'isolamento, rigettando atteggiamenti assistenzialistici quali gite sociali o cose simili e rimettendo al centro la necessita' della creativita' e del  sentirsi utili.

Ageing, centri sociali e anzianità attiva sul territorio di Ilaria Di Russo

Nella nostra società, diventata sempre più longeva, l’educazione alla vecchiaia é completamente trascurata o relegata solamente ad alcune agenzie educative di nicchia. 
Viene fatto ogni sforzo per incrementare gli anni della vita, ma il singolo, raggiunta la vecchiaia, scopre di essere solo: nessuno gli ha spiegato prima cosa lo aspettava. 
La nostra società ha scoperto all’improvviso di essere diventata “anziana” e lo ha fatto in un momento in cui iniziano ad entrare in crisi certezze fino a ieri solidissime: educazione, lavoro, famiglia. 
Chi si trova ad essere anziano in questo momento storico sente su di sé alcuni “pesi” che dovevano essere invece “conquiste”. 

Essere certi di una pensione, per i più faticosamente sudata, diventa incertezza di fronte a giovani che non trovano lavoro, così come impegnarsi nel tempo libero in attività che rischiano di fare concorrenza ai giovani in cerca di un lavoro. 
Il tempo libero, che qualcuno definisce tempo liberato dal lavoro (Minardi, 1999) e che una persona potrebbe dedicare a se stessa, diventa un tempo da dedicare agli altri, primi fra tutti i figli ed i nipoti, alcuni dei quali sono ancora in casa perché in cerca di sbocchi lavorativi, e quando alcuni di questi anziani lo riempiono di attività “divertenti” cresce in famiglia la critica verso costoro, considerati più fortunati e disimpegnati. 
Ci troviamo di fronte ad una immagine della vecchiaia, che non corrisponde agli sforzi che la società attuale ha fatto per renderla più lunga possibile. 

Ognuno di noi spera, aiutato dalla medicina, dagli scienziati, dalle industrie alimentari e dai servizi sociali, di vivere di più e meglio: scopriremo ben presto che se il “di più” è una certezza, il “meglio” è di la da venire. 
Ad esempio, il mondo del volontariato ha effettivo bisogno di chi è “libero” di occupare il proprio tempo di vita in attività socialmente utili, ma anche qui lo stereotipo vuole che si possa essere tali solo se impegnati in attività di assistenza, molto spesso da anziano verso l’anziano. 

E’ l’immagine negativa che si impone e imbriglia anche le scelte per il futuro e per molti anni è stata un’immagine sostenuta anche dalle politiche degli enti locali e dai privati. 
I primi impostano il loro intervento sull’esigua percentuale di anziani non autosufficienti (4% della popolazione anziana, fonte: Istat) con uno sguardo a coloro che rischiano di diventarlo, che si calcola raggiungano il 10%, mentre i secondi volgono la loro attenzione ai settori che producono ricchezza, come le case per gli anziani, le residenze per pensionati, le cliniche e cosi via. 
Il 90% della popolazione anziana che è sana, o che convive con polipatologie conclamate, non può riconoscersi in nessuna di queste impostazioni e quindi “vaga” alla ricerca di se stessa. 

Lo scopo di ogni azione attuale dovrebbe essere quello di ricucire lo strappo che è avvenuto fra scienza e società. L’invecchiamento della popolazione nelle società avanzate deve accompagnarsi al concetto di “ricchezza” e non a quello di impotenza. 
L’educazione attuale si trova dunque da risolvere in questi tempi almeno due problemi derivanti alle problematiche anziane: il primo legato all’educazione delle giovani generazioni, nel senso di una rimessa a punto delle convinzioni verso la vecchiaia, il secondo, in un’ottica di educazione permanente, verso gli stessi adulti e anziani, la maggior parte dei quali interpreta quest’età in modo negativo.

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