giovedì 15 novembre 2012

Torna la finanza creativa


La scuola di finanza creativa, fondata dall’ex ministro dell’economia e delle finanze Giulio Tremonti all’inizio di questo millennio, venne chiusa frettolosamente dal suo stesso fondatore nel 2009 (DL 207/2008, L 14/2009) dopo il clamoroso fallimento della seconda operazione di vendita di immobili pubblici mediante procedure di cartolarizzazione (e che costò agli enti coinvolti circa 1,7 miliardi di euro per rientrare in possesso degli immobili conferiti nell’operazione). Che cosa s’insegnava in questa scuola? Si esponevano le tecniche di istituti finanziari innovativi: cartolarizzazioni, operazioni su derivati, swap, ad alto contenuto d’ingegno (ecco perché era “finanza creativa”) capaci, sostanzialmente, di creare denaro dal nulla (un po’ come il gatto e la volpe che suggeriscono al credulone Pinocchio di sotterrare le 5 monete d’oro nel campo dei miracoli; dalla semina, sarebbe nato un albero carico di zecchini). Ora, sentendo l’annuncio del lancio,da parte della Regione Piemonte, di due fondi immobiliari che, attraverso complesse operazioni di ingegneria finanziaria, dovrebbero portare nelle casse regionali, in tempi rapidi, 600 milioni di euro (e si dice che i fondi dovrebbero addirittura già generare redditività da metà del 2013), sembra che la scuola tremontiana (si spera non quella del gatto e della volpe) abbia riaperto i battenti in Piemonte.
Dice la Regione (da quanto si apprende) che nel primo fondo – definito Fondo immobiliare regionale (Fir) - confluiranno beni per 500 milioni di euro. Comprenderà i 250 milioni di euro di valore del futuro grattacielo della sede regionale, altri immobili della Regione e quelli non strategici degli ospedali; avrà una durata ventennale, potrà indebitarsi per 200 milioni, e le quote di partecipazione saranno del 33% della Regione e del 66% di investitori privati (manca un 1%, ma poco rileva). Nel secondo – definito Fondo immobiliare sanitario (Fis) - confluiranno immobili degli ospedali per 1 miliardo di valore, avrà durata venticinquennale, potrà indebitarsi per 350 milioni, le quote di partecipazione saranno per il 66% delle aziende ospedaliere e per il 33% di investitori terzi (manca anche qui un 1%, ed i terzi, in questo caso, sono “investitori etici”: fondazioni bancarie, fondi pensione). Questa, in sintesi, l’operazione. Si ricorre cioè ad uno strumento: il fondo immobiliare che, in base alle sue regole di funzionamento, riunisce più beni immobili appartenenti a soggetti diversi, ne affida la gestione ad una società professionale esterna (definita: società di gestione del risparmio – sgr), che provvederà a venderli, locarli, permutarli, rivalorizzarli; attraverso queste operazioni, la società assicurerà una redditività del patrimonio immobiliare del fondo, non conseguibile se ogni immobile fosse gestito singolarmente. I soggetti che possiedono quote del fondo ottengono un reddito (ma non si deve dimenticare che partecipano anche alle perdite, particolarmente pesanti di questi tempi a causa della crisi) in base alle quote possedute. La sgr cercherà di aumentare il valore dei capitali raccolti minimizzandone le perdite, e ripartirà il risultato netto della gestione. Trattandosi di strumenti finanziari, i fondi immobiliari sono disciplinati dalle norme sull’intermediazione finanziaria (d. legislativo 58/1998). La Banca d’Italia ne approva la regolamentazione e ne monitora l’attività.Dunque, il ragionamento è semplice. La Regione constata: siamo senza soldi. Come possiamo farne rapidamente? Raccogliamo immobili sui quali possiamo dire la nostra (così si pensa per gli immobili ospedalieri), costituiamo un fondo, lo affidiamo ad una sgr la quale, nel momento in cui acquisisce la disponibilità di una massa patrimoniale importante, ci anticipa subito una somma: i 600 milioni prima ricordati (anche le cartolarizzazioni funzionavano più o meno così: fare rapidamente cassa, senza valutazione dei risultati; se poi erano fallimentari, lo Stato – o gli enti che vi avevano fatto ricorso - ripianavano il buco, ovviamente con denaro del contribuente). Per dovere di verità, occorre dire che anche lo Stato sta pensando, in questo momento, ad operazioni simili per gestire la valorizzazione (vendita, locazione, permuta) del suo patrimonio - l’ormai noto “mattone di stato”. Però, guarda caso, pensa di farle fare alla Cassa depositi e prestiti, la più potente banca che oggi esiste in Italia e che – altro particolare non insignificante - è sua. Non risulta che nei piani della Regione sia ipotizzabile un analogo intervento. In ogni caso, trattandosi di operazione ormai solennemente annunciata, merita procedere a qualche approfondimento per analizzarne la fattibilità. Ovviamente lo si deve fare tenendo presenti le norme sui fondi immobiliari, perché è di questo che si parla. Ma è proprio alla luce di queste regole che qualcosa non torna.
Per costituire fondi immobiliari e renderli operativi, i tempi non sono proprio così brevi; né sono tali quelli occorrenti per trovare gli investitori che ne acquistino le quote. Inoltre, se i beni da conferire nei fondi sono beni patrimoniali disponibili, cioè da mettere liberamente sul mercato, l’operazione è facilitata. Chi opera nel settore vede soltanto, in questo caso, l’esigenza di separare i beni che danno già un reddito (per esempio, case o terreni locati, facilmente stimabili), da quelli che devono essere valorizzati (carceri, caserme, altri beni demaniali, per questo inizialmente non stimabili) perché lo possano generare. Questi elementi sfuggono nel caso Regione. Nel primo fondo (stimato in 500 milioni di euro e sulle stime, per quanto appena detto, forse bisognerebbe aspettare) conferirebbe un bene, tuttora non esistente, pari alla metà del valore del fondo: la sua sede futura. Ma è un bene che fa già parte del suo patrimonio? Oggi sembrerebbe di no poiché (per quanto si sa e per le procedure realizzative scelte: leasing in costruendo) apparterrà alla Regione quando avrà corrisposto al costruttore il valore del manufatto. E poi, quale sarà la redditività futura di un bene che sarà utilizzato per fini istituzionali? La Regione pagherà alla società di gestione un affitto per consentirle di chiudere in positivo il conto economico e, conseguentemente, remunerare gli investitori, compresa se stessa? E come restituirà alla sgr le somme inizialmente anticipatele? Non c’è dubbio che sono un debito che, prima o poi, va onorato. Per un groviglio di norme finanziarie e patrimoniali, la questione diventa dunque complessa. Considerazioni analoghe si possono fare sul secondo fondo che dovrebbe accorpare gli immobili ospedalieri definiti “core” cioè, se si capisce bene, proprio quelli destinati all’attività di ricovero. Saranno le aziende sanitarie a pagare un affitto per poter occupare gli immobili e consentire alla società di gestione, analogamente a quanto detto prima, di chiudere in nero il conto economico? Se non c’è utile economico, ed a meno che non si vogliano trasformare in benefattori con elargizioni a fondo perduto, gli investitori terzi, anche se “etici” scappano. Per le considerazioni fatte, sarebbe utile conoscere meglio la reale composizione dei beni che confluiranno nei due fondi.

A conti fatti la Regione Piemonte, vittima di operazioni di finanza creativa ereditate dai precedenti governanti, non si avvii sulla stessa strada. Pensi sempre ai poveri cittadini che, già oberati dai debiti sui derivati, in un domani potrebbero trovarsi a dover pagare cari prezzi per altre operazioni di ingegneria finanziaria. Prima di agire, chieda subito alla Corte dei conti, come promesso dall’assessore al bilancio Giovanna Quaglia, che cosa pensa del progetto. La finanza seria e che dà risultati positiviè sempre quella reale, non quella creativa.

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