martedì 27 novembre 2012

L'ILVA e' solo l'esempio piu' eclatante



08-11-2012 -

URBANPROMO

«Riutilizziamo l'Italia»: il Wwf censisce 250 siti abbandonati da recuperare

Edifici abbandonati e pericolanti, terreni incolti, scavi ed ex cantieri che rischiano di trasformarsi in discariche. Sono le aree oggetto, secondo le previsioni urbanistiche, di progetti di nuove case, infrastrutture, centri commerciali, mentre i cittadini e le associazioni chiedono di destinarle a utilizzi sociali e ambientali. È questa la fotografia scattata dal Wwf Italia grazie alle circa 250 segnalazioni raccolte nell'ambito della campagna ''RiutilizziAmo l'Italia'' presentata a Urbanpromo, in corso a Bologna.

La campagna chiede a cittadini ed esperti (urbanisti, architetti, geologi, studenti universitari) di segnalare entro il 30 novembre le aree dismesse o degradate indicando anche proposte di riqualificazione e punta a individuare alternative concrete alla nuova edificazione. «Il Wwf Italia ha infatti stimato che in assenza di interventi correttivi, il consumo di suolo nei prossimi 20 anni in Italia sara' di oltre 75 ettari al giorno - spiega Stefano Leoni, presidente Wwf Italia - Gia' oggi nel nostro Paese non si puo' tracciare un diametro di 10 km senza intercettare un nucleo urbano».
A un mese dalla scadenza del termine per le segnalazioni, delle circa 250 segnalazioni ricevute ben il 65% riguarda aree edificate abbandonate (191 siti), il 10% terreni incolti degradati, l'8% terreni incolti in evoluzione (dove si assiste a fenomeni spontanei di rinaturalizzazione), 7% ex-cantieri, 5% aree di scavo. Edifici inutilizzati e "scheletri di cemento" non solo costituiscono la componente piu' impattante sul territorio italiano ma sono anche «portatori sani» del principale fattore di rischio individuato dal database Wwf sotto la voce «Strutture abbandonate pericolanti»: un pericolo che riguarda il 36% delle aree censite, seguito da discariche e depositi (21%) e inquinamento del suolo (12%.). E se per le previsioni urbanistiche verificate la destinazione d'uso più gettonata è «l'espansione edilizia», la vocazione che cittadini e associazioni vorrebbero invece per il proprio territorio è decisamente green: il 42% chiede il riutilizzo di aree già edificate per evitare nuovo consumo di suolo, il 54% indica soluzioni di rinaturalizzazione o agricole (22% come verde urbano, 19% rete ecologica, 7% orti urbani e sociali, 6% agricoltura) e per il 4% altre soluzioni. 
Riguardo alla distribuzione geografica delle aree segnalate, il 53% proviene da Sud e Isole, il 28% dal Nord e il 19% dal Centro. A rispondere all'appello, soprattutto associazioni e comitati locali, da cui proviene il 60% delle segnalazioni, a cui si aggiungono, per il 34%, i singoli cittadini, mentre per il 6% non viene specificata la provenienza.

Alcoa, fabbrica abbandonata offresi

di  | 10 settembre 2012 da D’estate si abbandonavano i cani. Adesso si abbandonano le fabbriche. Non dobbiamo confrontare la moralità dei due casi, ma la stranezza. Liberarsi dei cani è stupido e cattivo. Ma liberarsi delle fabbriche è un gesto incomprensibile che, per accadere, ha bisogno di vuoto, disattenzione e assenza sia di comunità civile che di governo. Per esempio, perché il dramma dell’Alcoa dovrebbe tormentare solo gli operai e solo i sindacati? Non dovrebbe scatenare attenzione, interesse, presenza, mobilitazione coinvolgimento militante della Confindustria? Ci viene detto che il problema è il costo dell’energia elettrica. Ma allora vuol dire che è impossibile e – d’ora in poi – vietata ogni produzione metallurgica in Italia, dato che quel costo è sempre (ed è sempre stato) più alto che altrove.

Come spiegare le nostre ottime produzioni di alluminio e di acciaio? Poi c’è l’importanza del luogo. Perdere quasi nello stesso tempo tutta la struttura industriale di un’isola come la Sardegna, dalle miniere di carbone alla grande fabbrica di alluminio, dovrebbe apparire un fatto troppo grave per accettarlo come uno dei tanti eventi della vita. Infatti non serve dire che il carbone è il passato e invocare la smagliante immagine della Thatcher, mentre liquida il potente sindacato dei minatori del Galles. Non basta non solo perché nessuno ha detto, calcolato, dimostrato che non abbiamo bisogno del Sulcis. Ma perché il problema non è imprevisto e improvviso. E accoglierlo con finta sorpresa, abbandonandolo alla sola denuncia degli operai, o è assurdo o è colpevole. Assurdo perché se è vero quel che improvvisamente si dice di quel carbone (troppo zolfo, troppa roba del passato) si tratta di fatti noti che potevano essere gradualmente affrontati, discussi, preparati.
Solo in apparenza il gesto dei minatori (scendere a 400 metri nella miniera portando materiale esplosivo) sembra dettato da folle disperazione. Serve invece a mostrare la inspiegabile e colpevole incompetenza di chi aveva la responsabilità di una situazione così grave e l’ha abbandonata nel vuoto, facendo finta di niente e poi voltandosi a dire: ma quelli sono matti? Non sono matti, ma vivono in un mondo in cui puoi essere abbandonato di colpo dalla fabbrica e dalla proprietà e te la devi vedere da solo. La miniera e la fabbrica, come i rifiuti nei paesi incivili: li lasci sul bordo della strada e qualcuno ci penserà o restano lì, come gli operai dell’Alcoa che, in piena tempesta, tentano di resistere in una tenda, sulla torre della loro fabbrica. Come sia possibile che, prima ancora dei sindacati operai, non sia l’organizzazione degli imprenditori a darsi da fare per la sopravvivenza di un’azienda di importanza cruciale è difficile da capire.
Il caso dell’Alcoa, poi, chiama in causa il governo perché è impossibile che un Paese, che adesso merita e ottiene nel mondo rispetto e prestigio, non sia in grado di trovare, in un universo imprenditoriale globalizzato, una soluzione migliore dell’abbandono. Non è comprensibile che il ministro dello Sviluppo Passera, affronti la questione dicendo per prima cosa che “salvare l’Alcoa costa troppo”. Non lo è soprattutto perché sta parlando con lavoratori disperati. Ma attenzione. Qui non si tratta di credere che agli operai disperati si parla con maggiore delicatezza. Si tratta di dire e di ricordare che è all’impresa e ai suoi proprietari che il ministro ha il dovere di rivolgersi per prima cosa, chiedendo conto e imponendo obblighi.
Chi ha accertato – quando, dove, con chi – che ormai tutto è crollato sulle spalle degli operai e che salvare gli operai, come sempre, è troppo difficile? Potrebbero gli esperti indicarci il prodotto che ha sostituito l’alluminio o perché il prezzo dei prodotti Alcoa è diventato all’improvviso non competitivo? Il prezzo dell’energia elettrica è sempre stato quello che è, e i profitti c’erano. Giornali, radio e Tg parlano di queste vicende, che stringono in una morsa drammatica migliaia di famiglie, con molta rapidità e poca chiarezza. In questa velocissima corsa di parole ho sentito la seguente spiegazione: l’attuale proprietà non accetta un certo compratore perché attivo nello stesso campo, ovvero concorrente da non favorire. Dunque, mentre operai disperati si accampano nella pioggia sopra la torre, una trattativa viene abbandonata per buone ragioni di concorrenza. È a questo punto che l’educata neutralità del governo sembra un’imperdonabile, colpevole assenza..........................


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