lunedì 1 luglio 2013

In Egitto : confusione, rabbia, delusione e...rischio di guerra civile. Da Limes , da leggere

Limes
.............Salma è giovanissima, studia giornalismo. Aveva 19 anni quando è iniziato tutto e manifestava a piazza Tahrir ogni venerdì, oltre a prestare servizio negli ospedali per aiutare i feriti. “Ho conosciuto la morte e il dolore. Ma l’euforia della piazza era tale che mai avrei immaginato che si potesse trasformare in quello che è adesso. Sono stata anche in cura da uno psicologo. Ho cominciato a chiedermi se i miei amici scesi in strada per difendere i loro diritti fossero morti per nulla. Alla fine impari ad accettare la realtà.”

Le faccio notare che alcuni tra gli stessi attivisti e politici che un tempo animavano il "Movimento 6 aprile" in piazza ora ammettono che la rivoluzione è da rifare. Lei risponde risoluta: “È ridicolo pensarlo. Bisogna insistere, ripartendo da noi giovani. Siamo noi il motore di tutto. Ci sono già segnali positivi, come le elezioni dei rappresentanti studenteschi delle università, dove la Fratellanza è uscita sconfitta a vantaggio dei secolaristi”. Ma gli eventi recenti mostrano come il pericolo di una trasformazione di istanze collettive in interessi specifici, generando un tutti contro tutti, sia elevato.

Il ministero della Giustizia ha dichiarato che i privati cittadini possono arrestare coloro che vengono colti in attività sovversive, applicando così un vecchio articolo del codice di procedura penale egiziano. Il rischio è di favorire la creazione di milizie locali paramilitari. Si andrebbe verso l’anarchia, secondo l’esercito, che ha già stigmatizzato le parole del procuratore generale. Ma per strada i baltagaia (i lealisti) si sono schierati subito al fianco della polizia lanciando sassi contro i manifestanti e girando armati per strada.L’impasse rivoluzionaria latente sembra generata da una sensazione diffusa di manipolazione sovraordinata, che attanaglia quasi tutti i protagonisti. Quando si sospetta che altri apparati di potere (un'eco dei nostri “anni di piombo”) possano trarre beneficio dall’esternazione della rabbia sociale, il popolo si ferma e dubita di se stesso. Col timore di sentirsi spodestato dalle proprie intenzioni genuine...................
Dall’altra parte, la polizia ha dato vita ad uno sciopero inedito nella storia dell’Egitto. “Guadagno 300 euro al mese e lavoro 16 ore al giorno. Lo sciopero è più che giustificato” rivela Haitham, poliziotto di Port Said. I vertici della polizia però danno motivazioni diverse, affermando che non intendono essere percepiti dalla popolazione come le milizie dei Fratelli musulmani. Si parla di spaccatura anche all’interno dei servizi di sicurezza, tra la base e il vertice. Crepe che rischiano di portare il paese verso l’anarchia e la guerra civile................Gran parte della manodopera qualificata di Port Said si è ritrovata senza lavoro per via delle alte richieste salariali. Più facile assumere dall’hinterland, dove i lavoratori non beneficiano di sgravi fiscali come a Port Said. A ciò si aggiungono i timori per una presunta intesa tra Morsi e il Qatar per un piano di espansione del Canale finanziato dal paese del Golfo. “Ci hanno anche restituito la Free Trade Zone, che ci era stata tolta, per farci abbandonare le proteste” - afferma Kamal, attivista locale del Dostour, il partito liberale di El-Baradei. “Ma a noi non basta. Li abbiamo già i soldi. Anzi, se ne hanno bisogno siamo noi che possiamo darne a loro. Ora vogliamo una legge che ci tuteli e che preveda che il 90% dei lavoratori di Port Said venga da qui”...................I Fratelli musulmani si ritrovano un’intricata matassa da sbrogliare anche qui, nella ricca cittadina del Canale di Suez, cuore pulsante dell’economia egiziana e finora immune a qualsiasi sentimento anti governativo. L’esercito sembra pronto a subentrare e a traghettare il paese verso una nuova fase di transizione.

La disastrosa condizione economica nazionale imporrebbe scelte impopolari come l’aumento delle tasse, ma la fiducia nel governo sembra in picchiata e gli scioperi sono in aumento. In tanti, al Cairo, mi ripetono la stessa frase “Non sappiamo più che strada stiamo percorrendo. Morsi ci dice di prendere una direzione ma non sappiamo dove ci porterà”............

dal Corriere della sera .it

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