sabato 22 giugno 2013

Caro Letta ...............i sacrifici "all'uomo giusto" al posto giusto

orso castano: un consolidato, ma vecchio metodo di trasferimento di anaro per non pagare il fisco
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Il transfer pricing nazionale
Brevi osservazioni sul fenomeno
Transfer pricing
Cenni introduttivi al transfer pricing
Con l'espressione transfer pricing si individua un fenomeno complesso, di cui è difficile fornire una definizione istituzionale poiché non nasce direttamente in ambito giuridico-fiscale, ma deriva dall'analisi delle relazioni economiche intercorrenti tra imprese residenti in Stati diversi le quali fanno parte dello stesso gruppo(1).
In particolare, si tratta di verificare se le transazioni commerciali intercompany vengano effettuate rispettando il principio di libera concorrenza (arm's length principle), in modo tale che sussista corrispondenza tra il prezzo stabilito nelle operazioni commerciali tra imprese associate e quello che sarebbe pattuito tra imprese indipendenti, in condizioni similari, sul libero mercato(2).
Poiché la giustificazione sulla quale si basa la disciplina in esame è quella di evitare che mediante l'alterazione del valore al quale avvengono le transazioni intercompany si possa realizzare uno spostamento di materia imponibile da Stati a elevata fiscalità verso territori caratterizzati da una minore pressione fiscale(3), al fine di preservare la propria potestà impositiva i singoli Stati hanno adottato una normativa specifica sul transfer pricing, la quale recepisce il principio di valutazione a valore normale delle transazioni infragruppo contenuto nel modello di convenzione Ocse(4).

Per quanto concerne l'Italia, la disciplina dei prezzi di trasferimento è contenuta nel combinato disposto degli articoli 110, settimo comma(5), e 9, terzo comma(6), del Tuir, nei quali viene previsto che il prezzo cui avvengono le transazioni commerciali tra imprese residenti in Stati diversi, legate da rapporti di controllo e/o collegamento deve essere valutato a valore normale.
In virtù di tali disposizioni è possibile individuare i presupposti soggettivi e oggettivi in presenza dei quali si può procedere a una rettifica dei prezzi di trasferimento intercompany, allo scopo di rideterminare il reddito imponibile dell'impresa fiscalmente residente in Italia dopo aver ricostruito il "valore normale" delle transazioni infragruppo(7).
Quanto al requisito soggettivo deve trattarsi di scambi - di beni o servizi - tra imprese fiscalmente residenti in Italia(8) e società fiscalmente residenti all'estero(9), legate da rapporti di controllo diretto o indiretto(10).

E' evidente che, stante la limitazione dell'ambito soggettivo della disposizione in esame alle operazioni poste in essere con società fiscalmente residenti all'estero, la ratio legis sottesa alla disposizione in esame consiste nel contrastare manovre sui prezzi applicati nelle operazioni infragruppo che possano comportare lo spostamento di materia imponibile dallo Stato italiano verso Paesi terzi caratterizzati da una minore pressione fiscale.
Questa osservazione rivela sin d'ora il carattere di specialità della normativa interna sul transfer pricing, il cui ambito di applicazione è limitato - per espressa previsione legislativa - alle operazioni eseguite con società "non residenti nel territorio dello Stato", con la conseguenza che eventuali attività commerciali realizzate da imprese facenti parte dello stesso gruppo e operanti sul territorio nazionale sono sottratte ope legis alla disciplina sui prezzi di trasferimento.

Per quanto concerne il requisito oggettivo, esso viene individuato nella discrepanza tra il valore cui avvengono le transazioni infragruppo e quello rilevabile per transazioni comparabili effettuate sul libero mercato(11).
Infatti l'elemento centrale per verificare la congruità dei prezzi applicati infragruppo viene individuato dall'articolo 110, settimo comma, del Tuir, nel valore normale, ossia nel "prezzo o corrispettivo mediamente praticato per i beni e servizi della stessa specie o similari in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione", il quale corrisponde, in ultima analisi, al cosiddetto "valore di mercato"(12).

Anche se a livello normativo è stato introdotto il concetto di valutazione a valore normale per gli scambi di beni o servizi effettuati fra società fiscalmente residenti in Italia e società fiscalmente residenti all'estero (non necessariamente localizzate in Paesi a fiscalità privilegiata), tuttavia non sono stati individuati i metodi necessari per ricostruire il prezzo di libera concorrenza, la cui determinazione risulta tuttora demandata ai criteri indicati nelle Guidelines elaborate dall'Ocse.
In proposito, pare utile ricordare come - secondo le indicazioni contenute nelle raccomandazioni Ocse - le metodologie di ricostruzione del valore normale siano distinte in metodi "tradizionali", i quali, basati sull'analisi delle singole transazioni, sono altresì consigliati dalla stessa Amministrazione finanziaria (confronto del prezzo; prezzo di rivendita; costo maggiorato) e metodi "alternativi" basati sull'utile delle transazioni (ripartizione dell'utile e comparazione dei profitti), ai quali la prassi amministrativa italiana riserva un ruolo sussidiario(13).

Il transfer pricing interno
Questi sintetici cenni alla disciplina nazionale e internazionale della fattispecie in esame, permette di avvicinarsi con maggiore cognizione di causa alla problematica concernente l'applicazione della rettifica a valore normale in ipotesi di scambi realizzati tra società fiscalmente residenti in Italia e appartenenti al medesimo gruppo imprenditoriale.
E' possibile che gruppi di società fiscalmente residenti in Italia realizzino operazioni tra loro a un prezzo non corrispondente al valore normale, allo scopo di concentrare materia imponibile presso l'associata che si trova localizzata in parti del territorio nazionale caratterizzati da misure di agevolazione fiscale(14).
Al di là delle analogie operative che contraddistinguono sia questa operazione sia gli scambi realizzati con società del gruppo aventi sede in territori esteri, in ogni caso non è possibile, per espressa previsione normativa, procedere a una rettifica del reddito di impresa in applicazione della disciplina in materia di transfer pricing.
Infatti, il transfer pricing viene considerato dal legislatore come un fenomeno caratterizzato da potenzialità elusiva solo se si tratti di scambi realizzati con "società non residenti nel territorio dello Stato".

Del resto, anche i tentativi compiuti in passato dall'Amministrazione finanziaria di superare il dettato normativo ed estendere l'applicazione del transfer pricing alle operazioni attuate da gruppi di imprese fiscalmente residenti in Italia, dapprima contrastati dalla giurisprudenza e dalla dottrina(15), sono stati definitivamente abbandonati dallo stesso ministero, il quale ha chiaramente specificato l'impossibilità giuridica di procedere, "allo stato della legislazione", a contestazioni basate sulla disciplina dei prezzi di trasferimento qualora le società siano residenti in Italia(16).

Tuttavia, una volta definito l'ambito di applicazione del transfer pricing, limitandolo a rapporti di controllo o collegamento con società fiscalmente residenti all'estero, permane comunque il problema di individuare strumenti normativi atti a contrastare fenomeni di arbitraggio fiscale che possono essere attuati anche sfruttando disposizioni fiscali agevolative previste dalla legislazione nazionale.
In questa prospettiva, lo sforzo dell'Amministrazione finanziaria e quello della giurisprudenza di legittimità è stato rivolto a estrapolare dal contesto normativo di riferimento dei principi che potessero essere applicati per evidenziare delle anomalie nella gestione dell'impresa dirette non a conseguire un maggior utile, bensì a ridurre la pressione fiscale del gruppo.

Anzitutto, è stata esclusa la possibilità di applicare la disposizione antielusiva di cui all'articolo 37-bisdel Dpr n. 600/1973 a causa dell'elevato contenuto di specialità di tale norma, per la cui applicazione si richiede la concorrenza di specifici elementi (la realizzazione di determinate operazioni caratterizzate da un'elevata potenzialità elusiva; l'assenza di valide ragioni economiche; lo scopo di aggirare obblighi o divieti previsti dall'ordinamento tributario e ottenere riduzioni di imposte o rimborsi, altrimenti indebiti)(17).
In assenza di uno strumento di carattere generale idoneo a contrastare manovre elusive sui prezzi di trasferimento interno, il ministero ha suggerito la possibilità di applicare l'articolo 39, primo comma, lettera d), del Dpr n. 600/1973, relativo all'accertamento di esistenza di attività non dichiarate sulla base di presunzioni qualificate, ovvero l'articolo 37, terzo comma, Dpr n. 600/1973, "attribuendo all'impresa non agevolata la quota di reddito dichiarata dall'impresa agevolata".
Entrambe queste indicazioni sono state criticate dalla dottrina, la quale ha eccepito, per quanto concerne l'applicazione del metodo di accertamento analitico-induttivo, che, nel caso in esame, non si attua un occultamento di corrispettivo, onde non si verifica alcuna evasione di imposta(18), mentre, sulla possibilità di ricorrere al disposto di cui all'articolo 37, terzo comma, Dpr n. 600/1973, ha contestato che nel caso di trasferimenti infragruppo si configuri una interposizione fittizia, poiché, al contrario, si realizza un fenomeno di interposizione reale(19).

Del resto, la difficoltà di effettuare rilievi nelle ipotesi di scambi infragruppo a livello nazionale sulla base delle disposizioni fiscali suindicate era stata già evidenziata dallo stesso ministero delle Finanze, il quale aveva suggerito di ricondurre il negozio a prezzo di favore alla disposizione contenuta nell'articolo 53, secondo comma, del Tuir (nella versione antecedente alla modifica introdotta dal Dlgs 12 dicembre 2003, n. 344), ai sensi del quale sono ricompresi tra i ricavi "il valore normale dei beni di cui al comma 1 (corrispettivi delle cessioni di beni e della prestazioni di servizi) destinati al consumo personale o familiare dell'imprenditore, assegnati ai soci o destinati a finalità estranee all'esercizio dell'impresa", considerando l'operazione commerciale intercompany come negozio misto di vendita e donazione(20).
Al di là della problematica concernente la qualificazione giuridica del negozio misto di vendita e donazione, per la cui disamina si rinvia alla dottrina specialistica di settore(21), al fine di poter procedere a una valutazione a valore normale, permane il problema connesso a dimostrare che i beni o servizi ceduti infragruppo siano stati destinati a finalità estranee all'impresa, distraendoli dal legame di inerenza che collega tali operazioni con l'attività ordinariamente svolta dalla società(22).

Va infine rilevato come uno strumento maggiormente incisivo per contestare manovre di elusione sui prezzi di trasferimento nazionale sia rappresentato dalla possibilità per il Fisco di confutare l'inerenza dei costi sostenuti per gli acquisti di beni e servizi infragruppo, dando rilievo alla antieconomicità delle scelte compiute dalle imprese del gruppo.
Infatti, fermo restando il limite della insindacabilità delle scelte imprenditoriali, è possibile che la gestione dell'azienda riveli una irragionevolezza manifesta in quanto viene amministrata in modo del tutto antieconomico.
In queste circostanze, secondo un ormai consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità(23), visto che le scelte del contribuente potrebbero indicare un'inottemperanza ai precetti fiscali, l'Amministrazione finanziaria può legittimamente contestare l'inerenza di costi irragionevoli(24) ovvero procedere con metodo analitico induttivo alla rideterminazione del reddito di impresa(25)..........

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