lunedì 24 giugno 2013

Il giustizialismo è un'ipoteca (ripugnante) sulla democrazia italiana di Maurizio Griffo11 Luglio 2011

orso castano : la giustizia non dovrebbe significare "vendetta" dello Stato o ostentazione della Supremazia e del Potere dello Stato. Purtroppo in Italia si sta consolidando una cultra autoritaria e punitiva , senza clemenza, senza pietas, che non pensa alla riabilitazione (vedi lo stato immondo delle carceri dentro le quali e' impossibile la riabilitazione , carceri dove una quantita' enorme di persone "in attesa di giudizio") . Contro questa deriva strisciante ma fortemente autoritaria ed illiberale che tocca moltissimi aspetti della vita civile si dovrebbe levare forte la protesta dei veri amanti della liberta' e del libelalismo. Ma siamo molto, molto  pessimisti .
Il giustizialismo è un cascame pseudo ideologico che (con un timido eufemismo) si può definire ripugnante. Si tratta, infatti, di una visione barbarica dei rapporti di potere. Nelle moderne democrazie costituzionali, la lotta politica, per quanto aspra possa essere, resta sempre un conflitto regolato da regole certe che la mantengono entro binari prevedibili. Nella visione giustizialista la politica di fatto scompare ed è sostituita da una  volontà di vendetta. A prima vista, perciò, si sarebbe tentati di non riservare nessuna attenzione a un simile fenomeno, rubricandolo come una scoria repellente. Tuttavia l’esperienza storica del passato insegna che è prudente prendere in considerazione anche i fenomeni degenerativi. Il nazismo aveva una base ideologica razzista (quella dell’inferiorità degli ebrei) destituita di qualunque fondamento logico, ancor prima che scientifico o storico. Pure, per un insieme di circostanze particolari e di fattori congiunturali (crisi economica, istituzioni male disegnate, sfiducia nella libera impresa, frustrazione sociale, paura del comunismo), Hitler trovò in Germania un larghissimo seguito elettorale, arrivando legalmente al potere. Posta tale premessa è opportuno svolgere una breve analisi dell’emergenza giustizialista rintracciandone anzitutto, sia pure in estrema sintesi, lo sviluppo storico. Il giustizialismo, non casualmente, fa la sua comparsa in Italia nel declino della prima repubblica, come un prodotto collaterale dell’effetto ottico di tangentopoli. Il crollo del regime democristiano (o prima repubblica che dir si voglia) avviene per cause profonde: la conclusione della guerra fredda; le inchieste della magistratura sono solo un vistoso, ma poco influente, epifenomeno. Tuttavia per una parte dell’opinione pubblica le toghe hanno il merito di aver spazzato via un regime corrotto. Questo sentimento errato trova una sua prima proiezione politica con il movimento della Rete, animato da Leoluca Orlando. Successivamente però, a partire dal 1994, la contesa politica si orienta sull’asse destra/sinistra e così la sirena giustizialista perde di mordente. La ricerca della vendetta cede il posto, come sempre accade quando la democrazia funziona, alla ricerca del ricambio. Anche l’entrata in politica di una delle star del pool di Milano, Antonio Di Pietro, non pare molto più che un’avventura personale. Tuttavia il fenomeno giustizialista continua a covare sotto la cenere. Diversi fattori congiurano al suo mantenimento. Anzitutto non si opera quella riforma della costituzione che stabilizzi la forma di governo, incanalando la nascente democrazia dell’alternanza in un alveo solido. Sul cruciale versante dei rapporti tra politica e magistratura nulla si fa per ripristinare l’equilibrio fra poteri pubblici e ordine giudiziario; l’equilibrio, infatti, resta pesantemente sbilanciato a favore di quest’ultimo.Non viene reintrodotta l’immunità parlamentare (abolita per pavidità nel 1993); nulla si fa per impedire il protagonismo mediatico delle toghe; neanche si reintroduce un minimo di controllo sulla carriera dei giudici. A tener vivo il fantasma giustizialista contribuisce anche un’incultura politica diffusa. Basti dire che i libri di Marco Travaglio (un giornalista che si è specializzato in lavori di copismo giudiziario), libri che trasudano odio per l’avversario politico, raggiungono altissime tirature. Certo, guardando alla situazione politica attuale, il giustizialismo, almeno nell’immediato, non appare pericolosissimo. Antonio Di Pietro è sempre sulla breccia, ma più che interpretare il ruolo del pubblico ministero prestato alla politica, in questa fase, punta ad accreditarsi come un interlocutore serio e responsabile. Pure, ragionando in prospettiva non c’è molto da stare allegri.
La riforma della giustizia sembra lontanissima; quella delle istituzioni è oramai un pallido miraggio; le parti presentabili dell’attuale legge elettorale sono sotto il fuoco di un referendum inteso a ripristinare la partitocrazia. In questo quadro politico, dove sono le formazioni minori a dettare i tempi del confronto, non è difficile profetizzare che l’ipoteca giustizialista continuerà a pesare assai negativamente sulla malcapitata democrazia italiana.

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