venerdì 21 giugno 2013

orso castano : piano piano sta venendo fuori la...m. La Fornero, famosa perche'  "chiagneva e fotteva" come detto da un famoso quotidiano  cioe' uno dei ministri piu' reazionari che l'Italia abbia mai avuto, protetta e coccolata dal bocconiano Monti,, ha praticamente , con una serie di norme complicate e di destra, lasciato mano libera ai giudici del lavoro di licenziare e monetizzare la poverta' , la disoccupazione, la miseria, la precarieta', ed....il suicidio per disperazione, lusso per i piu' deboli o per quelli che non hanno trovano altra occupazione per anni e quindi , dopo un certo periodo non sono andati a  sbattere la testa contro la morte e l'anno fanno finita. Ovviamente la "Fornero" non ha predisposto nessuno , dico nessuno, supporto psicologico e sanitario per queste persone, le ha lasciate sole , anzi solissime, e le ormai purtroppo spesso "fatiscenti" organizzazioni sanitarie , a ranghi ormai ridotti, se ne sono completamente disinteressate. Dunque la "chiagne e fotte" ha organizzato una bella macelleria sociale e darwinianmente ha lasciato , in collaborazione con i piranha di Equitalia, che i piu' deboli ......... Fatto sta' che ci sono stati cosi una massa di suicidi, il cui numero non va nominato, con buona pace di tutti i Montiani . 

Caro Letta, se non riesci a cambiare vle legge cancro Fornero, ho la sensazione , di fronte all'aggravarsi della crisi, che non rti saranno sufficientri i pannicelli ncaldi che vai diffondendo, ne i violini europei, e la loro claquwe. Dovrai , a presto vedertela con una massa di disoccupati che ti chiedera' conto di quello che hai fatto per il lavoro, ed allora......

da PMI.it

Il Tribunale di Milano mette in pratica le modifiche dell'articolo 18 previsto dalla Riforma del Lavoro: risarcimento economico senza reintegro nel posto di lavoro, mentre la Cassazione boccia la violazione del principio di buona fede...La Riforma del Lavoro fa sentire i suoi effetti, negativi però: aumentano i licenziamenti come effetto non solo della crisi ma anche della mancanza di misure che prevedano il reintegro sul posto di lavoro in caso di licenziamenti con vizi di forma. La massima aspirazione in questo caso, facendo ricorso, è la compensazione di 24 mensilità.I giudici di Milano hanno dato ragione al lavoratore che ricorreva contro un licenziamento per giustificato motivo oggettivo considerato illegittimo ma – applicando quanto previsto dalla Riforma Fornero – non ne hanno stabilito il reintegro, bensì un risarcimento in denaro.Si tratta dunque di una chiara applicazione della nuova legge che mette bene in luce la linea di confine fra reintegro nel posto di lavoro e indennizzo del danno (in aziende sopra i 15 dipendenti):Intanto, tra congiuntura economica e Riforma Fornero in Italia nell’ultimo trimestre del 2012, secondo i dati rilasciati dallo stesso Ministero del Lavoro, sono aumentati sia i licenziamenti collettiviche di quelli individuali. Il fatto che nella seconda parte del 2012 quelli cresciuti maggiormente siano stati i licenziamenti collettivi (il cui regime non è stato modificato dalla riforma a differenza di quelli individuali) lascia pensare che a pesare di più sia stata la crisi economica e non la Riforma Fornero.In base alla Riforma (comma 42 articolo 1 legge 92/2012), il giudice può decidere di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro se accerta «la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento», mentre nei casi in cui accerta l’illegittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo deve disporre un risarcimento in denaro (fra 12 e 24 mensilità).La Riforma all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori offre infatti al giudice la possibilità di imporre un risarcimento economico in caso di illegittimità del licenziamento per motivi economici e, in un numero più limitato di casi, anche disciplinari. Resta invece sempre obbligatorio il reintegro per i licenziamenti discriminatori.Nel caso in oggetto (ordinanza 28 novembre 2012 sezione Lavoro Tribunale di Milano), il datore di lavoro non è riuscito a dimostrare l’impossibilità di reimpiego del dipendente in altre attività, e non c’è stata alcuna procedura di conciliazione(prevista dalla riforma per il licenziamento per giustificato motivo oggettivo).Questi due elementi hanno portato i giudici a considerare illegittimo il licenziamento. Risultato: società condannata a pagare un risarcimento pari a 20 mensilitàdell’ultima retribuzione percepita, come da norma:Un’altra sentenza su un licenziamento per giustificato motivo oggettivo arriva invece dalla Cassazione (sentenza n.6 del 2013): è causa di illegittimità la violazione del principio di buona fede a cui l’impresa è tenuta nella gestione dei rapporti di lavoro con i dipendenti.Il caso riguarda una dipendente alla quale, otto mesi prima del licenziamento, era stato proposto di essere spostata in un’altra società del gruppo e aveva rifiutato: l’azienda non aveva specificato che la proposta di ricollocazione era l’unico modo per mantenere unposto di lavoro destinato ad essere soppresso.

La riforma del lavoro, così come disegnata dal ddl definitivo, modifica le norme sul licenziamento in Italia previste fino a oggi dall’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori reintroducendo, rispetto alla bozza iniziale, il possibile reintegro per tutti i tipi di licenziamento illegittimo (a discrezione del giudice e solo in casi estremi).Tranne che per i licenziamenti discriminatori, le nuove norme sul reintegro si applicano solo alle aziende con più di 15 dipendenti.Nelle piccole imprese sotto i 15 dipendenti le regole restano immutate.
In realtà la riforma contiene novità anche per tutte le PMI, indipendentemente dal numero dei dipendenti, ad esempio sotto il profilo degli obblighi comunicativi sui licenziamenti. Vediamo nel dettaglio cosa cambia per tutte le tipologie di aziende, sia in materia di licenziamenti individuali che di licenziamenti collettivi.

Licenziamenti: aziende sotto i 15 dipendenti

Ricorsi
Le norme restano le stesse:
  • il licenziamento individuale illegittimo è sanzionato con un’indennità fra 2,5 e 6 mensilità
  • il licenziamento discriminatorio è sanzionato con il reintegro, senza onere della prova a carico del lavoratore, perché è il giudice stabilire se il licenziamento è discriminatorio.
A stabilire ciò era e resta l’articolo 3 della legge  n° 108 del 1990, in base alla quale il licenziamento discriminatorio «é nullo indipendentemente dalla motivazione addotta e comporta, quale che sia il numero dei dipendenti occupati dal datore di lavoro, le conseguenze previste dallarticolo 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300». E vale anche per i dirigenti.
Obblighi comunicativi
La riforma introduce come novità l’obbligo da parte di qualunque azienda di comunicare le motivazioni del licenziamento. E dovrà farlo per iscritto, in base allarticolo 1 della legge 15 luglio 1966, n. 604 sui licenziamenti individuali.
Si tratta di un cambiamento rispetto a quanto previsto dallarticolo 2 della stessa legge, secondo la quale il datore di lavoro doveva comunicare le motivazione del licenziamento solo se il lavoratore lo richiedeva: la richiesta doveva arrivare entro otto giorni dal provvedimento e l’impresa a quel punto aveva cinque giorni per far pervenire la motivazione scritta.
Adesso, più semplicemente, «la comunicazione del licenziamento deve contenere la specificazione dei motivi che lo hanno determinato».
Tempi del ricorso
Il lavoratore ha ancora 60 giorni per impugnare il licenziamento, ma ha solo altri 180 giorni per depositare il ricorso alla cancelleria del tribunale o per comunicare alla controparte la richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato, mentre prima aveva 270 giorni per il deposito in cancelleria (articolo 32, comma 1, della legge 4 novembre 2010, n. 183).
La precisazione sulla formulazione del licenziamento è importante perché la nuova norma prevede una diversificazione di diritti a seconda delle diverse tipologie di licenziamento.
Donne
Le leggi proteggono dal licenziamento e prevedono sempre il reintegro, anche sotto i 15 dipendenti, per le donne in gravidanza (decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151), o in concomitanza del matrimonio (decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198). Il periodo di protezione della “concomitanza con il matrimonio” va dal giorno delle pubblicazioni a un anno dalla celebrazione delle nozze.
È previsto il reintegro anche nel caso in cui il licenziamento sia ritenuto non valido perché comunicato in forma orale per tutte le aziende, anche sotto i 15 dipendenti.
Oltre al reintegro, il giudice stabilisce un’indennità «commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto quanto percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative». In ogni caso questo risarcimento non può essere inferiore a cinque mensilità. Il datore di lavoro deve pagare anche icontributi previdenziali e assistenziali per il medesimo periodo.
Il lavoratore deve tornare al lavoro entro trenta giorni dall’invito del datore di lavoro in seguito all’ordine di reintegrazione. Se non lo fa, il rapporto di lavoro è risolto.
Il lavoratore, nel caso in cui non voglia tornare in azienda, ha diritto a chiedere in sostituzione del reintegro un risarcimento pari a 15 mensilità (senza contribuzione). La richiesta deve essere fatta entro 30 giorni dall’ordine di reintegro o dall’invito del datore di lavoro a rientrare.

Per i licenziamenti disciplinari(giustificato motivo soggettivo o giusta causa) e per quelli economici (giustificato motivo oggettivo), nel caso in cui li ritengaillegittimi, il giudice può disporre il reintegro o un indennizzo fra le 12 e le 24 mensilità (cambiamento rispetto alla bozza, che prevedeva un indennizzo fra le 15 e le 27 mensilità).
La norma specifica con una certa precisione in quali casi il giudice disporrà il reintegro e quando invece sceglierà il risarcimento.
Casi in cui scatta il reintegro
Nei casi di licenziamenti disciplinari è previsto il reintegro quando «il fatto contestato non sussiste o il lavoratore non lo ha commesso ovvero perché il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle tipizzazioni di giustificato motivo soggettivo e di giusta causa previste dai contratti collettivi applicabili».
Nei casi di licenziamenti economici è previsto il reintegro quando il giudice accerti «la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustifico motivo oggettivo».
Casi in cui scatta l’indennizzo
Negli altri casi, è previsto un risarcimento economico, da 12 a 24 mensilità.
Nel caso del licenziamento disciplinare illegittimo, il giudice stabilirà l’esatto ammontare del risarcimento «in relazione all’anzianità del lavoratore e tenuto conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell’attività economica, del comportamento e delle condizioni delle parti, con onere di specifica motivazione a tale riguardo».
Nel caso di licenziamento economico, la determinazione della somma tiene conto anche delle iniziative assunte dal lavoratore per la ricerca di una nuova occupazione e del comportamento delle parti nell’ambito delle procedure di conciliazione.
Indennità
Per i casi in cui è previsto il reintegro, il datore di lavoro viene anche condannato a pagare un’indennità commisurata alla retribuzione dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, «dedotto quanto il lavoratore ha percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative, nonché quanto avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione». In ogni caso l’indennità non potrà essere superiore a dodici mensilità. Per il medesimo periodo vanno versati anche i contributi previdenziali eassistenziali, maggiorati degli interessi ma senza sanzioni.
Contributi
Se il lavoratore ha svolto altre attività lavorative, l’azienda deve versare la differenza fra i contributi a cui il lavoratore avrebbe avuto diritto nel caso in cui non fosse stato illegittimamente licenziato e quelli versati per l’attività nel frattempo svolta. Se i contributi sono stati versati a un diverso ente previdenziale, l’addebito dei costi di trasferimento è a carico del datore di lavoro.
Anche qui, il lavoratore deve tornare al lavoro a trenta giorni dal reintegro o dall’invito dell’azienda, pena la risoluzione del rapporto di lavoro, a meno che non abbia chiesto l’indennità sostitutiva (15 mensilità).
Eccezioni
Fanno eccezione i casi in cui il giudice dispone il reintegro per mancanza di licenziamento in forma scritta, o per mancato rispetto delle varie procedure di comunicazione(in sostanza, quelle previste dallarticolo 7 dello Statuto dei lavoratori o dall’articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604). Qui, il risarcimento che l’azienda deve pagare insieme al reintegro è limitato a sei/dodici mensilità, a meno che non ci sia anche un vizio relativo alla causa del licenziamento, nel qual caso valgono le norme sopra citate.
Se il licenziamento è revocato entro quindici giorni, il lavoratore torna al suo posto e non si applica nessun’altra sanzione.

La conciliazione obbligatoria

Il ddl stabilisce, solo per i casi di licenziamento economico (giustificato motivo oggettivo), che sia obbligatoria una fase di conciliazione preventiva. Si tratta quindi di una norma che riguarda solo le aziende sopra i 15 dipendenti.
Nello specifico, questo tipo di licenziamento «deve essere preceduto da unacomunicazione effettuata dal datore di lavoro alla Direzione territoriale del lavoro» in cui l’azienda deve «dichiarare l’intenzione di procedere al licenziamento per motivo oggettivo e indicare i motivi del licenziamento medesimo nonché le eventuali misure di assistenza alla ricollocazione del lavoratore interessato».
Entro sette giorni da questa comunicazione la direzione del lavoro convoca le parti davanti alla Commissione provinciale di conciliazione di cui all’articolo 410 del codice di procedura civile.
Si tratta di un tentativo di conciliazione stragiudiziale, durante il quale vengono valutate le soluzioni alternative al recesso, e che si conclude in venti giorni (a meno che le parti non vogliano continuare per raggiungere un accordo).
Se la conciliazione non si conclude positivamente, il datore di lavoro può comunicare illicenziamento e il lavoratore può eventualmente ricorrere al magistrato che, come detto in precedenza, nello stabilire l’indennizzo nel caso in cui ritenga effettivamenteillegittimo il licenziamento, terrà conto della condotta delle parti in questa fase di conciliazione. Se il giudice alla fine ritiene il licenziamento legittimo il lavoratore non ha diritto al risarcimento che eventualmente la controparte aveva offerto in fase di conciliazione, e che era stato rifiutato.
Se la conciliazione si conclude positivamente, con la soluzione del rapporto di lavoro ed evidentemente un accordo economico, il lavoratore mantiene il diritto all’assicurazione per l’impiego (la nuova Aspi) e può anche essere previsto, per favorirne la ricollocazione professionale, l’affidamento «ad un’agenzia di cui all’articolo 4, primo comma, lettere a) e b), del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276».

Licenziamenti collettivi

Qui il riferimento principale era e resta la legge 223 del 23 luglio 1991, che riguarda le norme su cassa integrazione e mobilità, e che si riferisce solo alle aziende sopra i 15 dipendenti. Un licenziamento è collettivo se riguarda almeno cinque dipendenti. A questa norma vengono apportare una serie di modifiche.
Le procedure di messa in mobilità (che non si chiama più mobilità ma procedura di licenziamento collettivo) vanno comunicato all’ufficio del lavoro entro sette giorni (e non più contestualmente) dalla comunicazione scritta ai lavoratori che, al termine del relativo accorso sindacale, sono interessati ai relativi provvedimenti. Gli eventuali vizi di forma, che prima rendevano nulle e procedure di messa in mobilità, possono essere sanate con accordi sindacali.
Se però il provvedimento non viene comunicato in forma scritta o comunque i vizi di forma non vengono sanati da accordi, si prevede il reintegro ex articolo 18 dello statuto dei lavoratori.
Stesso discorso nel caso in cui non vengano rispettati i criteri di scelta dei lavoratori da mettere in mobilità (come previsti dall’articolo 5 della legge 223/1991).
Tutto questo non riguarda le aziende sotto i 15 dipendenti, in cui non c’è una disciplina specifica sui licenziamenti collettivi visto che sono comunque possibili i licenziamenti individuali.
Va anche detto che la riforma del lavoro prevede poi una serie di cambiamenti sugli ammortizzatori sociali, compresa la mobilità, che entreranno in vigore fra il 2013 e il 2016.

Lavoro, il licenziamento per giustificato motivo

Il giustificato motivo di licenziamento può essere oggettivo o soggettivo, cioè dipendere dall'azienda o dal lavoratore: la legge e il contenzioso alla luce della Riforma del Lavoro Monti Fornero.La Riforma del Lavoro Monti Fornero ha previsto un corposo capitolo sui licenziamenti, con sostanziali cambiamenti che riguardano il licenziamento per giustificato motivo oggettivo (risarcimento invece del reintegro).Il licenziamento per giustificato motivo può riguardare uno o più lavoratori(licenziamento plurimo), ma è ben diverso dal licenziamento collettivo (regolamentato dalla legge 223/1991). E’ necessario un preavviso, in base ai contratti di lavoro, in mancanza del quale il datore di lavoro dovrà pagare al lavoratore la relativa retribuzione.

  • Il giustificato motivo oggettivo  si configura nel momento in cui esiste un’esplicita necessità dell’impresa (es.: crisi aziendale) e può riguardare ragioni inerenti l’attività produttiva, l’organizzazione del lavoro e il suo regolare funzionamento.
  • Il giustificato motivo soggettivo è invece legato a «un notevoleinadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro.
  • Il giustificato motivo soggettivo si differenzia dalla giusta causa in quanto non così grave da consentire il  licenziamento in tronco senza preavviso.
    Ha anch’esso una motivazione disciplinare, legata all’inadempienza del lavoratorerispetto agli obblighi contrattuali (contratto di riferimento).  Ad esempio una prolungata assenza che l’azienda dimostri di non poter sopportare, avendo necessità di affidare ad altri quelle determinate mansioni.
    E’ ammesso il licenziamento per superamento del periodo di comporto (l’arco temporale in cui, in caso di malattia, il lavoratore ha diritto di conservare il posto) scaduta tale finestra, a meno che lo stato di malattia non dipenda dalla violazione di misure di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro.

    Giustificato motivo oggettivo

    Il diritto di libertà dell’attività economica privata è sancito dall’art. 41 della Costituzione: quando il datore di lavoro ritiene che per attuare delle modifiche sia necessario licenziare un dipendente ha facoltà di farlo, ma in caso di contestazione dovrà dimostrare il giustificato motivo oggettivo (ad esempio, il reale riassetto dell’azienda).
    Quindi è l’azienda ad avere l’onere della prova: deve dimostrare la sussistenza delle ragioni del licenziamento, il nesso di causalità con il recesso dal rapporto di lavoro, l’impossibilità di ricollocare il dipendente presso un reparto diverse o spostarlo a mansioni diverse rispetto a quelle precedentemente svolte (anche inferiori alle precedenti, se il lavoratore accetta).
    In caso di ricorso, il giudice ha l’obbligo di controllare la veridicità delle ragioniaddotte ma non può entrare nel merito delle scelte del datore di lavoro, ossia non può opporsi al ridimensionamento o riorganizzazione aziendale. Se in sede di contestazione il lavoratore si trovi nella possibilità di indicare mansioni che avrebbe potuto ricoprire, spetta al datore di lavoro motivare il mancato riposizionamento.Se in seguito al ricorso del lavoratore il giudice dichiara illegittimo il licenziamento, il datore di lavoro dovrà applicare la tutela reale o quella obbligatoria.
    Nel primo caso sono previsti, in base all’art. 18 della legge 300/1970 (lo Statuto dei Lavoratori), il reintegro nel posto di lavoro e un risarcimento pari alla retribuzione maturata, includendo i contributi dal giorno del licenziamento a quello del reintegro, con un minimo di cinque mensilità.
    Le modifiche all’articolo 18 della riforma del lavoro Monti-Fornero prevedono la possibilità di risarcimento senza reintegro nel caso in cui il licenziamento illegittimo sia avvenuto per motivi economici (giustificato motivo oggettivo), previo tentativo di conciliazione obbligatoria.
    La riforma prevede anche una discrezionalità (pur limitata) del giudice sull’eventualità del reintegro anche nei casi di licenziamenti disciplinari (per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo): l’alternativa è un’indennità compresa fra le 12 e le 24 mensilità.
    La tutela obbligatoria è invece normata dall’art. 8 della legge 604/1966, con lariassunzione entro 3 giorni o il risarcimento attraverso un’indennità tra 2,5 e 14 mensilità prendendo come riferimento l’ultima retribuzione. Questa seconda opzione riguarda spesso le PMI, perché l’articolo 18 non si applica alle imprese sotto i 15 dipendenti.

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