sabato 24 agosto 2013

paradigma opp. chiave di lettura "ambient/stress :Identità urbane: pratiche, progetto, senso dei luoghi

orso castano : i percorsi  soggettivi che concorrono alla costruzione della nostra identita' sono molteplici. tra i piu' imprtanti quelli che ci fanno usare la citta', o il luogo dove abitiamo , secondo il nostro immaginario soggettivo e sociale. Questo immaginario legato sia ai luoghi che frequentiamo che all'uso che di questi luoghi facciamo  sono mutevoli nel tempo di vita del soggetto e degli abitanti della citta' , pur restando i "centri storici" e "le periferie" le due grandi divisioni presenti nella nostra conoscenza della citta'. Questo post consiste in stralci ampi dell'intervento di Carlo Cellammare , docente di Urbanistica c/o l'Universita' di Roma  tenuto durante un convegno di cui al titolo del  post. L'intervento e' da leggere perche' esamina il problema della nostra identita' dal punto di vista della pratica delle citta'. Le nostre citta' sono piene di storia , quindi le nostre identita' dovrebbero essere "ricche e complesse" come le immagini del contesto urbano quotidiano che ci portiamo dentro e che rimanda spesso a secoli di storia , che proprio perche' contribuiscono a formare la nostra identita' non deve essere  dimenticata . 
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.................................................................Identità e contesti urbani (link)

La conformazione degli spazi influisce fortemente sull’identità, ma analogamente i processi sociali e culturali conformano gli spazi. Si tratta di un rapporto biunivoco, ben rappresentato da Simmel (1908) che va anche oltre la locuzione “fatti sociali formati nello spazio” (Bagnasco, 1994) che ha poi avuto fortuna in Italia negli anni ’90 ma che ancora interpreta lo spazio come uno “sfondo” o che comunque mantiene separate le due dimensioni, quella spaziale e quella sociale. Simmel interpretava infatti la spazialità come un attributo dei processi sociali, come una proprietà intrinseca dei fenomeni sociali, che non si danno se non spazialmente. In alcune splendide pagine de Lo spazio e gli ordinamenti spaziali della società (1908), Simmel considera lo spazio come una condizione di esistenza delle organizzazioni sociali; non come un fatto oggettuale ma come una proprietà delle società. La definizione dello spazio come a priori logico percettivo, permette di considerare questa dimensione non come qualcosa di cui si fa esperienza, ma come un modo di fare esperienza. Lo spazio non è mai un aspetto oggettivo, ma, come dice Simmel, un’attività dell’anima, contemporaneamente condizione (ciò che limita, vincola) e simbolo (cioè la creatività, la costruzione sociale) dei rapporti tra gli uomini (Mandich, 1996, p. 38), esito quindi di un’ambiguità e di un intreccio: “il rapporto con lo spazio è soltanto da un lato la condizione, dall’altro il simbolo dei rapporti con gli uomini” (Simmel, 1908, p. 580). Lo spazio non è, “di per sé”, una forma, ma produce forme nello strutturare i rapporti di interazione. Le forme spaziali sono quindi quelle configurazioni di relazioni sociali che trovano nello spazio la loro concretizzazione. Le società si configurano spazialmente; in un intreccio inestricabile tra fisicità degli spazi, rappresentazioni sociali, pratiche di vita, immaginari, ecc. (Cellamare, 2008). 
Analogamente non è possibile definire in forma deterministica un’identità, così come non è possibile associare in forma deterministica un’identità definita (e bloccata nel tempo) ad un contesto urbano definito.
La città è una città plurale. E’ realtà plurale, per eccellenza. L’identità sociale e urbana che si costituisce localmente è in realtà plurima, esito dell’interazione di soggetti e processi diversi, che sono a loro volta portatori e produttori di identità diverse. L’identità di un contesto urbano, di un “quartiere”, è la stratificazione di identità diverse, comprese sia quelle “prodotte localmente” sia quelle definite o imposte dall’esterno in relazione alle immagini che si hanno di quel contesto.
La stessa idea di “quartiere” viene qui messa in tensione, come alcuni sociologi urbani (Tosi, 2001) tendono a sottolineare. Un “quartiere” non è dato a priori, ma è un grumo di storie, di nodi di reti, di conformazioni spaziali, di pratiche, ecc. con un’identità plurima ed evanescente. Per questo, sebbene esista nel senso comune, non è facilmente identificabile come tale, come entità reificata. Sebbene alcune conformazioni spaziali (il tessuto urbano, le tipologie edilizie prevalenti, le fasi storiche che hanno portato alla sua costruzione, ecc.) possono essere identificate e definite anche chiaramente, e spesso costituiscono il riferimento per la vita degli abitanti o dei suoi frequentatori, un “quartiere” rimane difficile da definire.
Se prendiamo in considerazione il rione Monti, nel centro storico di Roma [fig. 1], e chiediamo a soggetti diversi di individuarlo e perimetrarlo, non otterremo risultati omogenei o coincidenti. E tale diversità non si pone solo tra gli abitanti del rione ed il resto della città, ma anche tra gli abitanti stessi. 
L’identità evolutiva dei quartieri è ben studiata e documentata, ad esempio, dai lavori di PeriMetroLab, un laboratorio di studio e ricerca sulle periferie metropolitane dell’Università Bicocca di Milano (Zajczyk et al., 2005; Borlini, Memo, 2008), che sviluppano un’interessante riflessione sulle “traiettorie” dei quartieri; di come, cioè, i quartieri nati con alcune caratteristiche urbane e sociali siano evoluti nel tempo sotto la pressione di fenomeni diversi e tutt’oggi abbiano davanti a sé percorsi differenti in relazione ai processi di valorizzazione, di trasformazione urbana, di pressione sociale, di andamento del mercato immobiliare, di rappresentazioni sociali prodotte, ecc..
Analogamente, gli sforzi di identificare alcuni “quartieri” prevalentemente attraverso parametri di tipo morfologico o funzionale, o al più di frequentazione d’uso, risultano generalmente insoddisfacenti perché semplificano, perdendola, la complessità dei fenomeni, della vita e delle relazioni che portano alla costituzione dei “quartieri” come tali ...........................................................................................

Identità e immaginari urbani
Non bisogna sottovalutare le dimensioni immateriali che influiscono sulla formazione delle identità (ed anche sul progetto urbano). In particolare, si deve sottolineare la rilevanza degli immaginari urbani e delle rappresentazioni sociali, sia quelle prodotte localmente nell’ambito delle collettività interessate, sia quelle prodotte in contesti più allargati riguardo ad ambiti specifici. Ovvero, detto in parole più semplici, quello che la città pensa di un certo quartiere, l’idea che spesso il senso comune dà di un certo luogo. Anche qui bisogna considerare come i processi siano piuttosto complessi nel passaggio dalle condizioni esperite alla costruzione di rappresentazioni sociali prodotte localmente, alla formazione di un senso comune, al rapporto con un’immagine definita in un altrove e spesso imposta attraverso i mezzi di comunicazione, anche nella loro evoluzione temporale. Pensiamo a come abbiano pesato le vicende della banda della Magliana nella costruzione degli immaginari legati a quel contesto, o quelle del “gobbo del Quarticciolo” (vere o false che siano, costruite e sostenute dalla stessa collettività locale) rispetto all’immagine che ancora permane di quel quartiere. O ancora l’idea di “popolanità” di cui si fregiano ancora alcuni rioni storici di Roma, come Monti o Trastevere, sebbene attualmente (e non solo attualmente) questa immagine sia molto discutibile o venga filtrata attraverso ben altre dinamiche. Tali immaginari urbani comportano quindi notevoli ambiguità.
Per altri versi, bisogna sottolineare le stigmatizzazioni che hanno subito numerosi quartieri, e soprattutto quelli di edilizia economica e popolare costruiti negli anni ’70 e poi ancora negli anni ’80. Pensiamo a quelli che vengono regolarmente citati come lo ZEN di Palermo (Fava, 2008) o, a Roma, Corviale, Laurentino 38 e Tor Bella Monaca. O analoghi quartieri considerati degradati o malfamati; e che difficilmente possono levarsi di dosso una certa immagine, sia essa giustificata o meno. Non è un caso che, al Corviale di Roma, un importante progetto di riqualificazione, Immaginare Corviale (Gennari Santori, Pietromarchi, a cura di, 2006), abbia posto al centro dell’attenzione, oltre allo studio delle pratiche reali e delle condizioni d’uso del complesso di edilizia residenziale pubblica, proprio gli aspetti legati alla costruzione dell’immagine del quartiere e alla possibilità di pensarlo diversamente o di farlo pensare diversamente a chi non lo vive, anche ai fini di una progettazione degli interventi fisici di riqualificazione. Nell’ambito del progetto è stata attivata una televisione locale, Corviale Network, che – tra le altre cose – aveva lo scopo di far raccontare agli abitanti le situazioni, le condizioni di vita e la rappresentazioni che loro avevano del proprio complesso residenziale, anche al fine di mettere in discussione l’immaginario che la città ha di quel posto. Un indicatore dell’ambiguità di questo immaginario è dato dal fatto che gli abitanti dei quartieri ex-abusivi limitrofi criticano le politiche pubbliche, in quanto ritengono che favoriscano troppo Corviale (proprio perché se ne parla così tanto e ha un certo immaginario associato) in rapporto a quelle che sono invece le loro esigenze e necessità, considerate più gravose che non quelle del quartiere pubblico.
Esistono immaginari associati a quartieri “ghetto” così come immaginari associati alle gated communities o ai quartieri considerati benestanti. E questo influisce significativamente sulla formazione del mercato immobiliare e del valore delle aree e degli immobili. Pensiamo al fatto che negli Stati Uniti gli abitanti di un certo stabile svolgono una selezione sui potenziali nuovi inquilini, valutando se adeguati alle caratteristiche della loro abitazione. Così come, spesso, le persone selezionano il proprio luogo di residenza proprio sulla base della sua “identità urbana”, comprendendo sia gli aspetti materiali e logistici, sia le condizioni sociali e di vita, ma anche evidentemente l’immaginario ed il modello di vita ad esso associati. 
Il rione Monti, ad esempio, è particolarmente ambito da una fascia medio-borghese, comprensiva di professionisti ed intellettuali, che cercano in quel quartiere proprio il suo carattere “popolano”, dove la dimensione umana è ancora significativa ed il tessuto sociale sembra tenere; un modello di vita molto ricercato in un mondo dove lo stress e le condizioni di vita ordinaria sembrano cancellare questa dimensione. Salvo determinare, proprio per questo, il cambiamento di quella identità (per la quale peraltro si battono vigorosamente) inducendo un aumento dei valori immobiliari (tra la metà degli anni ’90 e gli inizi del 2000 il costo della casa è passato da 3.000-5.000 €/mq a 10-12.000 €/mq) con gli effetti che ne derivano e che innescano potenziali situazioni di gentrification: sfratti, allontanamento del tessuto sociale tradizionale, chiusura delle botteghe artigiane, aumento degli esercizi pubblici che si possono permettere affitti elevati, aumento dei “tavolini” e della “movida” notturna, ecc., ecc.. 
Alcuni studiosi (Semi, 2004) ci fanno notare, in proposito, riferendosi alle attività commerciali che caratterizzano alcuni quartieri, come la loro localizzazione sia in un rapporto strettamente biunivoco con l’identità di un quartiere. Anzi, sottolineano come con i prodotti venduti “si venda” anche l’immagine che di quel quartiere si ha.
La città, e quindi la sua identità, è l’esito imprevisto, imprevedibile, eventuale dell’interazione (anche conflittuale) tra pratiche, politiche, immaginari, “idee di città”, vissuti configurati nello spazio (Cellamare, 2008)................

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