venerdì 30 agosto 2013

siamo tutti spiati

da L'Espresso

M5S: 'Servizi spia, basta silenzio'

di Stefania Maurizi
Dopo le rivelazioni de 'l'Espresso' sui sistemi di sorveglianza che intercettano anche in Italia, interviene il senatore Vito Crimi: «Di questa vicenda deve occuparsi subito il Copasir. E il governo italiano non può continuare a stare zitto»
(30 agosto 2013)
Il senatore Vito CrimiIl senatore Vito CrimiMutismo assoluto. Dopo le rivelazioni de "l'Espresso" sulle informazioni top secret contenute nei file di Edward Snowden, il silenzio del governo italiano è assoluto. Sì, perché dalle notizie ottenute dal nostro giornale, risulta che nei documenti di Snowden vengono elencati una serie di cavi sottomarini a fibra ottica intercettati dai servizi inglesi del Gchq, l'omologo britannico dell'americana Nsa e che con la Nsa ha una relazione speciale di collaborazione.
Tra i cavi intercettati dal Gchq ce ne sono tre che interessano il nostro Paese e che permettono di accedere ad alcuni dei dati più personali degli italiani: quelli delle loro interazioni sociali, ovvero telefonate, email, traffico Internet, incluso ogni sito che visitiamo ogni giorno, navigando sul web, e ogni interazione su social network come Facebook.

Già nel giugno scorso, appena scoppiato il caso Datagate, l'Espresso aveva rivelato come anche il nostro Paese fosse spiato dalla Nsa. E anche allora, mentre in tutto il mondo infuriava la polemica, la nostra politica brillò per l'assenza di reazioni ufficiali. Ora, però, che dai file di Snowden emergono informazioni circostanziate sull'Italia e sulle infrastrutture intercettate, il silenzio del governo italiano ha dell'incredibile. L'Espresso ha interpellato il senatore Vito Crimi del Movimento Cinque Stelle, membro del Comitato parlamentare per il controllo sui servizi di intelligence (Copasir).

Senatore Crimi, non è possibile che in Italia non succeda nulla. Il Movimento Cinque Stelle come pensa di agire?
«Io assicuro che al primo incontro del Copasir, immediatamente la settimana di rientro a settembre, questo argomento verrà posto all'ordine del giorno. E credo che questo caso potrebbe essere posto anche in aula. Sicuramente porremo l'attenzione su questo argomento, che non è più esclusivamente di intelligence, ma è ormai un argomento di rapporti tra stati. Avendo delle informazioni precise, credo che sia dovere del governo italiano chiedere al governo inglese conferma di questa informazione e, se è il caso, andare a verificare direttamente, fare le ricerche necessarie, se non si ricevono le risposte dagli inglesi». 

Al Copasir avete mai incontrato resistenze, omissioni su questo caso?
«In teoria no, tutto ci è stato dichiarato in maniera molto trasparente, chiara, lampante, tutto ci è stato spiegato. Il caso Datagate è stato fin dai primi tempi l'argomento principale delle nostre discussioni al Copasir, nel senso che in ogni riunione veniva fuori e noi abbiamo preso abbastanza seriamente il lavoro. Quello che ho da dire - ovviamente nei limiti di quelle che sono le informazioni che posso dare, visto il tipo di riservatezza che comporta l'incarico - è questo: il Copasir è, purtroppo, uno strumento parlamentare con le armi spuntate. Noi svolgiamo fondamentalmente il nostro lavoro facendo audizioni: ascoltiamo i responsabili o dei servizi di intelligence o di altro, per esempio abbiamo ascoltato anche il garante della privacy sul caso Datagate. Le audizioni cosa comportano? Che i responsabili dei servizi ci danno delle informazioni e sulla base di queste informazioni noi possiamo formulare il nostro controllo. In realtà è un meccanismo, diciamo, strano, perché è il controllato che ci fornisce gli strumenti per controllarlo. Non abbiamo, di fatto, strumenti ispettivi, che hanno invece altri tipi di commissioni, proprio perché si tratta di servizi segreti».

Dalle informazioni in possesso del nostro giornale risulta anche che nei documenti di Snowden si parla di un accordo di terzo livello (third party agreement) tra il GCHQ e l'Italia...
«Questo lo verificheremo, chiederemo in sede di Copasir accesso a questi atti, per capire di che si tratta, perché è vero che c'è uno scambio di informazione tra i servizi di intelligence, che è una cosa ordinaria e naturale- se non ci fosse non ci sarebbe il contrasto del terrorismo a livello internazionale- ma non è detto che questo scambio di informazioni contenga gli estremi del modo in cui vengono reperite quelle informazioni. Parlo formalmente del protocollo, poi informalmente io ho seri dubbi che l'intelligence italiana non fosse consapevole dei sistemi adottati dagli inglesi e dagli Stati Uniti per intercettare in maniera massiva il flusso di informazioni, e mi preoccuperei se non fossero stati almeno a conoscenza di ciò».

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