martedì 20 agosto 2013

"paradigma" ambiente/stress" : i bioindicatori ambientali

orso castano : il libro coordinato da Sartori andrebbe letto o ampiamente consultato. Un po' datato, puo' essere preso come ottima base di partenza per la conoscenza del "paradigma ambiente/stress , cioe' lo studio, il monitoraggio dell'ambiente incui l'uompo e gli animali vivono come fattore di sviluppo sia di potenziali malattie , ma anche , se protetto e curato, fattore di buona salute e di equilibrio fisico e psicologico. Certo moltissimo resta da scoprire, ma , pur essendo questi i primi passi del "paradigma", gli elementi che emergono hanno una carica "euristica" non da poco. Questo paradigma e' in grado di far fare un salto al "sapere" dell'uomo, e , di conseguenza, all'immagine stessa dell'essere umano immerso in un'ecosistema con forti interscambi con esso. 

...............Non si sa con precisione quando e dove la vita sia iniziata sulla Terra. È probabile
che già 3 miliardi di anni fa le prime rudimentali espressioni di vita fossero presenti sul nostro pianeta, in ambienti particolari e circoscritti. Da allora, con una progressione inesorabile, la vita si è diffusa in tutti gli ambienti terrestri. Per diffondersi essa ha inventato una impressionante varietà di forme, con caratteristiche e
specializzazioni adattative diverse, abbandonando ed eliminando quelle aventi caratteri non più congruenti e competitivi. La storia della vita, a noi nota solo in parte, evidenzia una spiccata capacità degli esseri viventi di comportarsi in modo utilitaristico, reagendo, adeguandosi o trasformandosi, secondo la teoria evolutiva attraverso casuali errori di riproduzione, per selezionare forme in grado di vivere
nelle diverse condizioni ambientali.
La correlazione stretta che esiste tra espressioni di vita e tipi di ambiente fa del
materiale biologico un descrittore dell’ambiente stesso. Tali correlazioni sono da
tempo note ai biogeografi ed agli ecologi. Come d’altra parte la paleontologia ci
informa della sterminata quantità di forme viventi scomparse nel passato, eliminate da una selezione spietata. Intesa in questo senso, cioè come testimone di determinate condizioni ambientali presenti o passate, ogni forma di vita è un “indicatore” di quelle condizioni e di quel periodo.
Negli ultimi decenni, la definizione di indicatore biologico, o bioindicatore, è riferita soprattutto alle strutture biologiche in grado di indicare, attraverso correlazioni di causa-effetto tra risposte del bioindicatore e variazioni ambientali, un’alterazione della situazione ambientale, riconducibile a una probabile attività antropica, soprattutto di tipo negativo. 
Bioindicatori 
Pur nella diversità di sfumature, quasi tutti gli Autori concordano nel paragonare il
bioindicatore a una sorta di raffinato e complesso strumento in grado di evidenziare le
variazioni ambientali. 
Divergenze tra gli Autori si riscontrano invece riguardo alla natura del bioindicatore. Per alcuni questo è soprattutto un organismo, normalmente identificato a livello di
specie, o a livelli sistematici sovraspecifici (genere, famiglia) ovvero a livelli sistematici subspecifici (sottospecie o, più frequentemente, c u l t i v a r e cloni); per altri, anche le
popolazioni, le comunità o il paesaggio, nel loro strutturarsi nel tempo e nello spazio,
possono essere assunti come bioindicatori; infine, per altri Autori ancora, il ruolo di
indicatore biologico può essere svolto anche da parti del corpo di un organismo. Ovviamente, dalla diversa interpretazione della natura del bioindicatore discende anche il diverso modo di definire le risposte da considerare come segnali utili per la valutazione biologica. In questo libro viene presa come riferimento la definizione di bioindicatore proposta da Iserentant e De Sloover (1976): “organismo o sistema biologico usato pervalutare una modificazione – generalmente degenerativa – della qualità dell’ambiente, qualunque sia il suo livello di organizzazione e l’uso che se ne fa. Secondo i casi il bioindicatore sarà una comunità, un gruppo di specie con comportamentoanalogo (gruppo ecologico), una specie particolarmente sensibile (specie indicatrice), oppure una porzione di organismo, come organi tessuti cellule o anche una soluzione di estratti enzimatici”. Altri Autori hanno ripreso, sviluppato e riformulato tale definizione, tuttora ampiamente accettata dalla letteratura scientifica. Datele finalità del libro, non è questa la sede per svolgere un discorso su tali temi, tuttavia con la citazione sopra riportata si intende recuperare una definizione “storica”,
sostanzialmente corretta.I requisiti di un buon bioindicatore variano con la natura dello stesso, con il tipo di
risposta che è in grado di esprimere, con il tipo e la durata dell’alterazione ambientale che si intende rilevare. 
Nei capitoli che seguono i diversi specialisti elencano e valutano tali aspetti in ragione del tipo di biondicatore considerato. Comunque sia, un parametro irrinunciabile è l’accertata sensibilità nei confronti di una azione perturbatrice, chiaramente identificata rispetto a tutta una serie di stress ai quali l’indicatore è costantemente sottoposto (tabella 1); sensibilità che può esprimersi con un’ampia gamma di risposte: alterazione biochimica e fisiologica, disturbo dei bioritmi, modificazione anatomico-morfologica, variazione della composizione della biocenosi per la morte degli individui e delle specie sensibili, fino alle trasformazioni territoriali che hanno diretti effetti sul paesaggio, sulle sue forme e sul suo funzionamento.Il tipo di risposta del bioindicatore varia in relazione al livello di organizzazione biologica del sistema assunto come bioindicatore e al tempo di esposizione alla causa che provoca lo stress e la conseguente risposta (tabella 2). I tipi di bioindicatori, le modalità diversificate di risposta e le condizioni ambientali da rilevare permettono una vasta scelta di uso. I bioindicatori di basso livello di organizzazione biologica, sono soprattutto usati come sensori e con le metodiche di un vero e proprio strumento di rilevamento. I bioindicatori identificantesi con organismi di scarsa o nulla mobilità, selezionati in modo da avere un patrimonio genetico il più possibile uniforme per dare risposte omogenee agli stimoli ambientali, sono generalmente usati come test. I bioindicatori nati in natura,
danno invece informazioni di massima che devono essere rilevate da un operatore adeguatamente addestrato, in quanto il segno di risposta potrebbe essere mascherato, esaltato o depresso dalla concomitante eventuale presenza di altre azioni più o meno occulte di stress ambientale non direttamente collegate con quella che si intende rilevare. 
Infine, quando l’indicatore biologico si comporta anche da bioaccumulatore, perché accumula in parti vecchie o morte del suo corpo la sostanza inquinante, le informazioni deducibili possono essere anche di tipo storico.
Biovalutazione e misure strumentali
L’interpretazione e valutazione della risposta del bioindicatore all’azione di disturbo ambientale che si intende rilevare rientra nelle procedure di biovalutazione. 
Soprattutto quando si tratta di inquinamento e di alterazione degli ambienti, è legittimo fare un confronto tra biovalutazione e misure strumentali al fine di definire al meglio pregi, vantaggi ed eventuali possibilità di integrazione dei due metodi. 
La biovalutazione differisce dalla misura strumentale, perché:
• fornisce stime indirette, che hanno una minore precisione e una minore oggettività
delle misure dirette di tipo strumentale;
• la sua risposta non è selettiva, ma è mediata e sintetizza l’azione di tutte le componenti ambientali; per contro lo strumento di misura è selettivo e preciso, ma non
è in grado di evidenziare gli effetti sinergici; in particolare la biovalutazione può
evidenziare effetti combinati delle sostanze su più bioindicatori, consentendo valutazioni incrociate; operazione meno facile e sicuramente più dispendiosa se fatta con strumenti;
• il bioindicatore può sviluppare un buon grado di adattamento all’inquinamento,
attraverso l’attivazione di barriere selettive, forme di inertizzazione, meccanismi
di espulsione rapida delle sostanze tossiche, falsando il risultato della biovalutazione; gli strumenti di misura, se mantenuti efficienti, non subiscono variazioni
nelle prestazioni;
• spesso le misure sono il risultato di una attività stagionale, mentre lo strumento
può funzionare tutto l’anno;
• il bioindicatore risponde alle azioni di disturbo con reazioni diversificate per la diversa irritabilità biologica non solo dei gruppi sistematici, ma anche degli individui; lo stesso individuo può variare la sua risposta alle azioni di disturbo da periodo a periodo o da un anno all’altro; lo strumento di misura, correttamente tarato ed efficiente, è coerente nelle misure;
• permette di evidenziare gli effetti di più tipi di inquinanti, segnalano anche la presenza di sostanze inquinanti nuove; gli strumenti rilevano solo le sostanze per le
quali sono stati progettati;
• chi raccoglie il dato deve avere una adeguata preparazione; mentre la semplice tura del dato strumentale in genere richiede una sommaria conoscenza tecnica
dello strumento; 
• il bioindicatore può essere vantaggiosamente usato per valutare parametri non
misurabili strumentalmente, come la complessità biologica, il valore ecologico, il
valore estetico, la qualità e il senso (progressivo o regressivo) delle trasformazioni
dinamiche delle comunità, gli effetti delle azioni di cura degli ecosistemi, i processi di accumulo del danno che portano a manifestazioni di deperimento del bioindicatore e alla scoperta di forme striscianti di inquinamento;
• è meno costosa del rilevamento strumentale e la sua economicità e speditezza di
applicazione aumenta: con l’aumentare del territorio da rilevare, con il protrarsi
del tempo di indagine, negli studi di gradiente, quando la sorgente dell’alterazione o dell’inquinamento è puntiforme, negli studi su vasta scala, quando l’inquinamento è diffuso;
• pur con tutte le precauzioni del caso, la biovalutazione si presta anche a efficaci applicazioni didattiche e di informazione della popolazione.
I due tipi di rilevamento sono alternativi nei metodi, ma non nei fini, perché si integrano: la biovalutazione permette indagini estensive più o meno empiriche e diffuse sul
territorio, mentre la misura strumentale è pur sempre da integrare in una rete di punti di
rilevamento; conseguentemente, la biovalutazione rappresenta una sorta di semeiotica
ambientale che permette di indirizzare e guidare l’approfondimento strumentale, facendo risparmiare tempo e denaro, consentendo indagini mirate e più oggettive.
B i o m o n i t o r a g g i o
Il monitoraggio affascina. Dallo sport al mondo degli affari, dalla valutazione dello
stato di salute di persone e di popoli a quella della qualità della vita, dalla bontà di un
prodotto ai sondaggi sull’opinione dei cittadini, non vi è settore che sfugga alla tentazione di fare classifiche e di controllare come queste si modifichino nel tempo. In talune attività sono ormai consolidati certi indicatori universali, come per esempio il Prodotto Interno Lordo delle nazioni usato in macroeconomia; in altre attività, gli indicatori scelti per controllare l’evoluzione di fenomeni sociali, fisici, o biologici sono ancora opinabili e oggetto di dibattito. 
Il monitoraggio è un processo di sistematica raccolta di dati qualitativi e quantitativi fatta con una procedura standardizzata in un periodo di tempo, necessario a raccogliere i dati previsti. La biovalutazione protratta nel tempo, secondo metodiche definite e con scopi precisi di controllo dello stato dell’ambiente, soprattutto per quanto
attiene le azioni di sostanze inquinanti, viene detta biomonitoraggio. Esso tende a verificare le deviazioni da una situazione che si ritiene normale o di base, stabilendo i limiti di accettabilità dei risultati; esso si distingue in questo dalla semplice sorveglianza, che prevede pure un programma esteso nel tempo di osservazioni qualitative e
quantitative, ma che mira solo a valutare se avvengono variazioni, senza formulare
giudizi sulle stesse.
Le fasi del monitoraggio sono:
1. precisa definizione dell’obiettivo;
2. selezione degli indicatori chiave e del segnale che si vuol cogliere in dipendenzadegli obiettivi prefissati e la conseguente definizione di una scala di valori di riferimento;
3. selezione di un approccio praticabile, per non intasare di dati il sistema, permettendogli tuttavia di apprendere dai dati stessi, ponendo domande significative; 
4.disegno dei punti di controllo e organizzazione della rete di distribuzione territoriale del monitoraggio; la distribuzione spaziale dei bioindicatori deve essere tale
da cogliere tutte le possibili sfumature del fenomeno e, nel contempo, ridurre a un
numero minimo significativo le località sotto controllo;
5.stesura di un piano esecutivo, con definizione dei tempi di raccolta dei dati e della durata dell’azione; • il bioindicatore deve essere affidabile e avere avere un buon potere discriminante
rispetto agli stimoli che deve monitorare; 
• il biomonitoraggio è tanto più efficace e speditivo, quanto più il bioindicatore presenta facilità di identificazione, di delimitazione spaziale, di reperibilità e di campionamento;
• se si usano bioindicatori test posti in località diverse del territorio è necessario prevedere difese contro i vandalismi, i parassiti o altri nemici naturali e prevedere anche
interventi di cura, per esempio innaffiature, se trattasi di piante in vaso o trapiantate.
Per la fase 5, il piano d’azione deve tener conto dell’eventuale dinamismo interno
del bioindicatore, dei suoi bioritmi e della sua velocità di risposta allo stimolo sotto
monitoraggio e delle eventuali fluttuazioni nel tempo del fattore di stress (figura 1).
Per la fase 6, valgono le seguenti osservazioni:
• i metodi di campionamento devono essere standardizzati con la preparazione di
precisi protocolli di rilevamento e con addestramento del personale addetto;
• va verificata la modalità di uso di eventuali vecchi dati disponibili;
• si deve valutare se è il caso di operare monitoraggi cruenti (con mutilazione o morte del bioindicatore) ovvero solo monitoraggi stressanti (quali la cattura di animali), o preferire i monitoraggi incruenti, di sola osservazione;
• il campionamento deve essere rappresentativo della realtà che vuole descrivere e
deve avvicinarsi al dato reale;
• deve essere messa a punto la tattica di campionamento, con predeterminazione
del numero di campioni e delle caratteristiche del materiale da campionare;
• se la fonte di inquinamento è localizzata, il bioindicatore deve essere posto in condizioni di ecologia uguali, ma di concentrazione di inquinanti diversa. 
Prospettive del biomonitoraggio
Accettata la necessità di quadri conoscitivi di base, la scelta degli strumenti ottimali
per la stima e il monitoraggio dell’ambiente è funzione dell’avanzamento dello stato
delle ricerche delle varie discipline e dell’applicabilità reale delle soluzioni proposte e
dell’informazione che l’indicatore dà. 
La ricerca è aperta in svariati settori e su più fronti: dallo studio della biologia dell’indicatore e della sua risposta all’inquinamento alla “costruzione” di organismi o di strutture ex novo, dalla messa a punto di indici sintetici di valore il più vasto possibile al miglioramento del metodo di campionamento, dalla integrazione e correlazione del dato
strumentale con quello biorilevato al miglioramento delle conoscenze tassonomiche e
biogeografiche, dal miglioramento delle conoscenze ecologiche alla individuazione degli organi bersaglio più sensibili e al chiarimento del ruolo della variabilità genetica. 
Come dimostrano i capitoli del libro, sono praticabili metodi e ricerche molto promettenti, ma lo studio e l’uso dei bioindicatori è lontano dall’essere esaustivo. Questo
non significa che si tratti di un’utopia. Ci basta applicare, magari empiricamente,
quanto si conosce, utilizzando tutte le risorse che la natura ci offre, anche se imperfette. D’altro canto, anche la specie uomo è un bioindicatore e un bioaccumulatore, da
millenni studiata e da un numero enorme di ricercatori valutata, eppure l’eziologia di
certe patologie e l’interpretazione di certi comportamenti resta misteriosa.
«Troverai più nei boschi che nei libri. Gli alberi e le rocce ti insegneranno cose che nessun maestro ti dirà» - (Bernardo di Chiaravalle) da WIKIPEDIA , portale ecologia -ambiente

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