martedì 19 giugno 2012

stress psicosociale (DSM 4 TR , asse 4)


PRECARIATO: ANSIA E DEPRESSIONE

1 febbraio 2011
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– PRECARI Psicologia/ PRECARIATO: ANSIA E DEPRESSIONEA cura della Dott.ssa Michela Rosati
Psicologa e Psicoterapeuta
michelarosati@yahoo.it -.
- Difendersi dai perversi meccanismi psicologici legati alla flessibilità - ..........................................I lavoratori atipici in Italia sono circa 3,5 milioni. Sono impiegati a termine, interinali, collaboratori, stagionali, tutti accomunati dall’instabilità del posto di lavoro. E si ammalano di più: secondo l’ultimo rapporto Eurispes, il 60% soffre di ansia e stress. Del resto, essere lavoratori “flessibili” implica un continuo adattamento a condizioni e contesti differenti, in termini di competenze, relazioni sociali, tempi e aspettative circa il futuro.
Il bicchiere è mezzo pieno o mezzo vuoto?
Alcuni individui riescono a trasformare questa situazione in qualcosa di positivo, interpretando la flessibilità come uno stimolo a migliorarsi. Sono generalmente persone con una grande fiducia in se stesse, disposte a sopportare la frustrazione e a sfruttare ogni occasione di crescita. Per altri, tuttavia, le cose non vanno affatto così. Passare da un posto di lavoro all’altro, con l’unico obiettivo di riuscire a sbarcare il lunario, può portare la persona a sentirsi davvero precaria, anche rispetto alla propria identità. Non si sa bene quale sia il proprio posto nella società. Ci si sente sottovalutati e costretti ad impegnarsi in qualcosa in cui non si crede, eternamente in bilico fra il desiderio di mollare tutto e l’ansia di essere mollati. La paura del licenziamento o del mancato rinnovamento contrattuale induce spesso ad accettare le condizioni più bieche, corrodendo poco a poco l’autostima. Dice una stagista di 27 anni: “tremo solo a pensare che cosa farò dopo questo stage”. Le continue preoccupazioni e frustrazioni sono fonte di notevole stress, che spesso si traduce in un disturbo d’ansia, come il disturbo di panico, o addirittura in depressione, soprattutto negli intervalli tra un’occupazione e l’altra.
Ecco come commenta la sua situazione un concittadino di 34 anni: “delusione totale! Mi sono laureato, ho studiato, pagato le tasse, mi sono negato i divertimenti  e che ho ottenuto? Una vita di privazione negli anni più belli e un futuro nero!”
Credere in sé e nei propri obiettivi: i consigli per non sentirsi “precari dentro”
Provare rabbia, paura e tristezza è del tutto normale quando ci si confronta con situazioni stressanti, ma nessuno è destinato a diventare vittima delle proprie emozioni spiacevoli. Quando si è arrabbiati e scoraggiati, quasi paradossalmente, si finisce con l’attribuirsi tutta la colpa dell’insuccesso professionale. Invece, i precari, esperti nell’affrontare una società tanto complessa, devono sentirsi orgogliosi di se stessi e credere di poter forgiare il proprio destino. La determinazione e la forza d’animo che dimostrano quando, ad esempio, decidono di metter su famiglia, nonostante tutto, sono aspetti della personalità sui quali si può e si deve puntare. Anche nei momenti di crisi, quindi, lasciarsi prendere dallo sconforto serve solo peggiorare la situazione. La mossa vincente, invece, consiste nell’aprirsi alla consapevolezza che ansia, delusione e umore nero, capaci di influenzare pesantemente anche l’atteggiamento nei confronti del lavoro, sono stati d’animo che possono essere completamente ribaltati. Esistono alcune tecniche, come quelle derivate dalla psicoterapia cognitivo-comportamentale o da altre branche della psicologia, che aiutano a cambiare gli schemi mentali, emozionali e di comportamento, consentendo alle persone di sperimentare una vita più soddisfacente, più completa e più ricca. Ognuno ha una sua idea di successo, ma tutti possono raggiungerlo, anche in tempi difficili come questi.
Per liberarsi di stati interiori dannosi e controproducenti è importante quindi:
  1. sapere che questo è sempre possibile
  2. individuare i propri valori e i propri obiettivi
  3. cercare l’aiuto di persone che possano fungere da modelli positivi
  4. puntare sul proprio benessere psicofisico
  5. celebrare i piccoli successi
  6. coltivare interessi e passioni al di fuori del posto di lavoro
  7. dedicare spazio alle relazioni interpersonali, creando una rete di sostegno
E proprio sul grande valore delle relazioni, Simonetta Piccone Stella, sociologa dell’Università di Roma “La Sapienza” e autrice del libro Tra  un lavoro e l’altro. Vita di coppia nell’Italia postfordista, ha condotto un’indagine, intervistando 156 coppie, formate per la maggior parte da persone tra i 30 e i 40 anni. Afferma la professoressa Piccone Stella: “in generale, le coppie che io stessa ho incontrato si sono mostrate molto coese e solidali, capaci di grande intesa, disponibili a gestire insieme orari e soldi con estrema lungimiranza. E’ ancora l’uomo ad essere considerato il pilastro della famiglia, ma, a differenza del passato, oggi elargisce sostegno e comprensione alla sua compagna, con grande generosità, permettendole di finire gli studi ed aiutandola nella ricerca di un’identità professionale. La donna può contare su un partner protettivo ed un padre affettuoso”. In certi casi, conclude la professoressa Piccone Stella, che ringrazio per il prezioso contributo, “le coppie sembrano in qualche modo rafforzate dalla precarietà”. Il precariato, quindi, può complicare l’esistenza, ma non deve necessariamente costringere le persone a mettere la loro vita in stand-by, aspettando giorni migliori. Anzi, si può approfittare di questa fase storica e sociale per crescere e rivalutarsi, accettando le sfide con coraggio, senza farsi bloccare dalla paura di un futuro, che, per sua stessa natura, è sempre e comunque incerto.
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