giovedì 18 aprile 2013

LE PROBLEMATICHE PSICOSOCIALI DELLA DISOCCUPAZIONE


Ricerche & Contributi
orso castano : la situazione rispetto al tempo di queste riucerche e' molto cambiata. La viosione sintomatologica ed ortopedica di Crepet si e' sfarinata. I Centri per il lavoro rischiano di offrire, se propongono psicoteraoie con psicologi npiu' o meno indicati dalle ASL , offrire dicevo quello che una volta gi operai  chiamavano "vaselina". Cioe' imbonitori e distributori di pannicelli caldi per mitigare la rabbia operaia!. I Centri per l'impiego non dovrebbero utilizzare osicilogi psicoterapeuti. I disoccupati vogliono il lavoro e l'autorganizzazione , vogliono autoorganizzarsi per combattere per il lavoro. non debbono esse rintronati da psicoteraoie inutili dispensate da psicologi disoccupati pure loro e raccomasndati dalle asl. 



Dott.ssa Maria Concetta Cirrincione - Psicologa
Tra i problemi economici e sociali più rilevanti che, negli ultimi tre secoli, hanno recentemente attirato l’attenzione e fatto discutere gli studiosi sociali sia in tempo di crisi che di crescita vi è la disoccupazione. Negli ultimi dieci anni i mercati del lavoro del mondo industriale e postindustriale hanno subito profondi mutamenti. Tra questi figurano le variazioni del tasso di attività (calato fra gli adulti più giovani e più anziani e aumentato fra le donne), la rapida espansione del terziario, la spinta inesorabile verso la flessibilità e la proliferazione di modalità lavorative atipiche (ad esempio contratti a tempo determinato, lavoro interinale o a tempo parziale, collaborazioni esterne e lavoro autonomo). Questi cambiamenti legati ai processi di trasformazione economica e sociale, uniti al malessere sociale e al bisogno di una più profonda conoscenza del vivere civile hanno dato impulso all’indagine sociale e sospinto la scienza ad interrogarsi sulle implicazioni economiche, sociali e psicologiche della condizione del disoccupato.
La disoccupazione è un tema del quale la ricerca psicologica si è occupata sin dagli anni '30, quando l'Istituto di Psicologia di Vienna promosse una ricerca sulla comunità di Marienthal, un piccolo villaggio austriaco nel quale la chiusura di una filanda aveva causato, per quasi tutti gli abitanti, la perdita del lavoro (Jahoda, Lazarsfeld, Zeisel 1986.).
La maggior parte delle ricerche in quest’ambito, dagli anni ’30 in poi, hanno tentato di valutare l'impatto della perdita o della mancanza di lavoro sul benessere biopsicosociale di individui, famiglie e comunità, tentando di individuare i fattori in grado di moderare gli effetti negativi di questa esperienza.
Depolo e Sarchielli hanno individuato un’ampia gamma di variabili dipendenti considerate come i principali effetti della disoccupazione sui soggetti e sui gruppi sociali (Depolo, Sarchielli, 1987). Tale gamma può essere suddivisa in sei categorie ognuna delle quali corrisponde a un argomento specifico di ricerca sugli effetti della disoccupazione. Possiamo così individuare una prima categoria di variabili che riguardano indagini individuali e/o relative a gruppi specifici come per esempio la famiglia in cui vive il disoccupato. L’oggetto di ricerca consiste prevalentemente nelle modificazioni, indotte dalla disoccupazione, sulla stabilità delle relazioni familiari, sugli stati emotivi, sul benessere psicologico e sullo sviluppo psicosociale del disoccupato, sulla stima di sé, ecc. (Amundson e Borgen, 1987; Rife e Belcher 1993; Schwarzer, Jerusalem e Hahn, 1994),
Da un punto di vista psicosociologico si può dire che l’individuo tende a costruire una rappresentazione di sé sulla base dei ruoli che sente più caratteristicamente propri: sulla base di queste selezioni si sviluppano il prestigio, la sicurezza in se stessi e altre dimensioni importanti per l’integrazione sociale, mentre dalla sensazione di essere in grado di adempiere in modo soddisfacente ai ruoli sentiti come più propri si sviluppa l’autostima. Queste formulazioni portano a prevedere che gli effetti del lavoro e del non lavoro si produrranno a due livelli:- a livello dell’integrazione sociale, connesso con il prestigio, la sicurezza in se stessi, ecc.
- a livello dell’immagine di sé e dell’identità, connesso con l’autostima;
L’intensità di questi effetti sarà proporzionale al significato maggiore o minore che il ruolo lavorativo ha per i diversi individui ( Orpen, C. 1994).
Una seconda serie di variabili, è relativa allo stato di salute fisica e mentale del soggetto disoccupato. Questa serie rappresenta una sottocategoria degli effetti psicologici della disoccupazione e riguarda fondamentalmente i disordini mentali e psicofisici che possono insorgere in conseguenza dell’ingresso di un soggetto nello stato di disoccupazione. Numerose ricerche in psicologia (Crepet, 1990) hanno dimostrato che l’evento perdita del lavoro e il periodo di disoccupazione influenzano l’incidenza di malattie e disturbi vari come depressione, ansia, instabilità psichica, stress e sintomi conseguenti (ipertensione arteriosa, rischio elevato di patologia coronarica, insonnia, malattie dispeptiche, ecc.).
Come ci ha indicato Paolo Crepet, bisogna guardare la disoccupazione come uno stressor e allo stesso tempo sottolineare l’importanza del mutamento nella vita materiale di chi perde la propria occupazione e non riesce a trovarla. Le conseguenze più dirette di tali eventi consistono in cambiamenti delle abitudini personali di vita più rischiosi per la salute: aumento del fumo, dell’alcool e/o di sostanze stupefacenti, crescita dell’isolamento sociale, diminuzione dell’esercizio fisico, ecc. Possono così insorgere sia disturbi della salute psichica (ansia, depressione, ideazione suicidarla) che fisica (bronchiti, cancro al polmone, malattie cardiovascolari, ipertensione, incidenti, gravidanze a rischio e nascita di bambini sottopeso) (Fraser C., 1980). Da alcune ricerche condotte in Italia (Depolo, Sarchielli, 1983) è emerso che gruppi di cassaintegrati che hanno perso definitivamente l’occupazione hanno mostrato punteggi elevati ad un questionario di salute generale evidenziando di essere in preda all’ansia e alla depressione.
Una terza serie di variabili prese in considerazione dagli studi sulla disoccupazione riguarda la dimensione temporale e le diverse fasi dell’esperienza soggettiva del disoccupato. E’ stato osservato un percorso comune o successione di fasi psicologiche che si origina dal momento in cui i soggetti perdono il lavoro. Secondo l’interpretazione di Enrico Pugliese (Pugliese, 1986) la successione delle fasi dovrebbe essere la seguente: prima c’è stupore, in particolare se il soggetto non è mai stato disoccupato; poi paura, con una rinnovata speranza quando il lavoratore si rimette alla ricerca attiva del lavoro; poi ansietà. Ma quando sparisce la sorpresa, il disoccupato ha la sensazione che "la vita lo ha dimenticato" e diviene apatico. La lunga durata della disoccupazione rende il soggetto ancora più apatico. L’ultimo stadio consiste in una riduzione generale delle attività e della stessa vita accompagnata da una restrizione dei desideri e dei bisogni.
Anche la dimensione temporale subisce modifiche e restrizioni. Come hanno affermato i ricercatori del citato studio su Marienthal, il tempo libero dei disoccupati si rivela un tragico dono. I lavoratori tagliati fuori dal loro lavoro perdono gli incentivi materiali e morali a servirsi del loro tempo. Siccome non sono più sottoposti a nessuna pressione, non prendono nessuna nuova iniziativa e scivolano progressivamente fuori da una vita ordinata, in una vita sregolata e vuota. Se si chiede loro di ricordare un qualsiasi periodo di questo tempo libero, non riescono a farsi venire in mente nulla che valga la pena di dire.
La disoccupazione induce così nel soggetto che ne viene colpito l’effetto di destrutturazione dell’organizzazione del proprio tempo di vita. In un’indagine operata dall’ISFOL (ISFOL, 1983) ,è stato chiesto a 91 lavoratori della FIAT, in cassa integrazione, di descrivere le loro giornate. Le attività riferite sono state poi suddivise in categorie e assegnato a ognuna un valore percentuale. Il 30% del tempo è risultato occupato da uno stato di inerzia, non ascrivibile a nessuna attività o svago.
Una quarta area di studio si propone di mostrare la modulazione degli effetti della disoccupazione ovvero le differenti vulnerabilità e sensibilità di determinati gruppi sociali all’impatto con la perdita o con la mancanza del lavoro. (Warr, Jackson 1985,) Questo punto di vista dà importanza alle variabili socio-anagrafiche, di contesto, legate alla storia personale e lavorativa del soggetto correlate a quelle di tipo temporale (durata della disoccupazione, periodicità, ecc.). In breve si cerca di dimostrare che esistono differenze nelle modalità soggettive di risposta allo stato di disoccupazione. (Roskies, E.; Fournier,1993)
Quali sono i fattori individuali ed ambientali maggiormente responsabili nella determinazione e nella caratterizzazione della psicopatologia sopra descritta? E’ ampiamente dimostrato che le reazioni allo stato di disoccupazione possono differire da soggetto a soggetto per cause relative a diverse dimensioni soggettive e di contesto.
In un recente saggio Paolo Crepet (Crepet P, 1992) ha individuato alcune variabili responsabili delle differenze di vulnerabilità mostrate dai diversi soggetti alla mancanza o alla perdita del lavoro. Tra esse possiamo distinguerne cinque più importanti: l’età, le relazioni sociali, il sesso, la classe sociale e la vulnerabilità individuale.
Per quanto riguarda l’età è stato rilevato che l’associazione tra gli effetti psicopatologici della disoccupazione e l’età segue un andamento curvilineo. Analizzando i punteggi ottenuti dal GHQ somministrato ai disoccupati, ripartiti per classi di età, si è ottenuto un andamento che tocca il suo massimo intorno ai quarant’anni e i minimi tra i più giovani e i più anziani. Seguendo queste persone per un certo periodo di tempo è emerso che i punteggi tendono a crescere (si ha cioè un peggioramento delle condizioni di salute mentale) tra i disoccupati con età intermedie mentre tra i più giovani e i più anziani si è registrato un miglioramento. Ciò perché i giovani e gli anziani sentono meno dei lavoratori di mezza età le responsabilità finanziarie (per sé stessi e per la famiglia) derivanti dalla perdita o dalla mancanza del lavoro (Crepet P, 1992)
Anche le relazioni sociali sono un indicatore di grande importanza nello studio delle differenti vulnerabilità alla disoccupazione. Come hanno affermato Warr e Jackson (Warr, Jackson, 1985) lo stato di stress in una persona disoccupata è inversamente proporzionale al tempo passato con i propri amici nel mese precedente la rilevazione del dato. Siccome il benessere psichico di chi ha perso il lavoro è statisticamente correlato all’ampliamento dei contatti sociali, si può concludere che perdurando lo stato di disoccupazione il disagio mentale va peggiorando man mano che le relazioni sociali si indeboliscono.
Per quanto riguarda la variabile sesso poi, la ricerca sui disoccupati di Marienthal aveva già individuato marcate differenze di reazione, tra i maschi e le femmine, al disagio derivante dallo stato di disoccupazione. Come hanno affermato gli autori stessi, il termine "disoccupato" in senso stretto si applica solo agli uomini dal momento che le donne sono semplicemente non pagate ma non realmente disoccupate. Esse hanno da gestire la casa e questo occupa la loro intera giornata. Il loro lavoro, con tutta una serie di compiti, incombenze e funzioni precise che lo rendono regolare, ha uno scopo ben definito. Per esse la giornata è carica di lavoro: cucinare, pulire, cucire, occuparsi dei bambini, tormentarsi per far quadrare il bilancio. Quindi resta ben poco tempo libero da dedicare a sé stesse e anche se si lamentano di aver perduto il lavoro non c’è alcuna traccia del fatto che il senso del tempo sia stato distrutto così come è accaduto per gli uomini. Secondo Crepet, di contro, le differenze riscontrate tra i sessi possono condurre a commettere errori interpretativi se non si analizzano i sottogruppi di disoccupati. Secondo questo autore è importante ricordare la diversa percezione della perdita del lavoro che hanno le donne e le diverse prospettive di vita che spesso la disoccupazione implica per loro. Da altre ricerche (Breakwell, Harrison, 1984) è emerso che il livello del disagio psichico registrato in un gruppo di giovani donne, che avevano perso il lavoro, era molto più alto di quello riscontrato in un gruppo di donne non occupate per propria scelta. Inoltre la sintomatologia riguardante lo stato di ansia e il livello di autostima del primo gruppo è risultata assolutamente simile a quella di un gruppo di uomini disoccupati della stessa età. E’ evidente che un’altra variabile interviene nella determinazione degli effetti psicopatologici della disoccupazione sulle donne. Infatti se prendiamo in considerazione lo stato civile emerge che tra le donne sposate non ci sono differenze significative tra le occupate e le disoccupate.
Spostando l’attenzione sulla variabile classe sociale poi, alcuni studi sulle relazioni esistenti tra la condizione psicopatologica e la classe sociale dei disoccupati (Payne, Warr, Hartley, 1984) hanno rilevato che non vi sono differenze significative tra gruppi di impiegati, dirigenti ed operai in quanto a condizione psicopatologica riscontrata. Se teniamo conto che la condizione di benessere psicologico è molto più diffusa tra le classi alte e medie, si potrebbe concludere che la disoccupazione incida maggiormente sull’equilibrio psicologico di questi soggetti che non su quello della classe operaia. La ricerca ha dimostrato, di contro, che le rinunce economiche derivanti dalla perdita del lavoro provocano effetti negativi, finanziari e sulla salute, più tra i lavoratori a basso reddito che tra gli altri. Comunque è stato rilevato che una maggiore reattività psicologica è strettamente correlabile con una storia di malattia sia fisica che psichica sopravvenuta nei due o tre anni precedenti la disoccupazione. Esiste infatti una soglia di salute mentale individuale, la cui stabilità consente di prevedere una migliore risposta agli eventi stressanti. L’abbassamento, in un dato soggetto, di tale soglia comporta un maggiore rischio psicopatologico (Crepet P., 1992).
In conclusione vediamo quali sono i fattori ambientali che possono influire sulla sintomatologia psicopatologica correlata allo stato di disoccupazione. Sempre secondo Paolo Crepet (Crepet P., 1990) esistono almeno nove aspetti che legano i fattori ambientali alle diverse condizioni della salute mentale delle persone disoccupate: la possibilità di controllare la situazione, la possibilità di utilizzare la propria abilità e/o capacità, gli obiettivi proposti dall’esterno, la molteplicità delle opportunità, la chiarezza delle condizioni ambientali, la disponibilità di denaro, la sicurezza dell’incolumità fisica, l’opportunità di contatti interpersonali, il valore sociale legato alla posizione lavorativa. La presenza di questi fattori impedisce il progressivo degrado della condizione psichica del disoccupato, la loro assenza ne alimenta l’entità.
Una quinta linea di riflessione riguarda le immagini sociali della disoccupazione e le attribuzioni di causalità. Quest’area di studio tenta di produrre conoscenza sulle immagini e i tipi di giustificazione adottati dai diversi gruppi sociali per valutare la disoccupazione. Vengono prese in considerazione variabili culturali di contesto in grado di influenzare le modalità di reazione alla perdita del lavoro.
Infine una sesta area di analisi cerca soluzioni pratiche attraverso la sperimentazione di interventi di aiuto ai disoccupati. (Parker, Chmiel, Wall, 1997). Gli interventi possono essere di varia natura: in primo luogo vi sono le proposte di politica economica e di politica dell’occupazione volte alla creazione di nuove occasioni lavorative per i disoccupati. Esse possono variare in relazione agli interessi socio-economici e di classe o ceto e quindi alla tendenza politica e ideologica di chi se ne fa portavoce. In secondo luogo esistono tentativi di attuare programmi di azione rientranti in una politica socio-sanitaria che richiama ai principi della prevenzione primaria e secondaria della salute mentale. Inoltre, siccome la disoccupazione prolungata induce effetti di deprofessionalizzazione si dovrebbero attuare programmi di riabilitazione, riconversione professionale e addestramento allo scopo di sopperire alle carenze sul piano motivazionale e alla perdita progressiva delle capacità tecniche.

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