dalla rivista L'Altro , n°2 magg.-ago., 09 , di Guido Di Sciaselo, Azienda Ospedaliero Universitaria "Policlinico Consorziale " - Bari, Rossella Melpignano", Scuola di Specializzazione in Psicologia Cllnica -Università di Bari : stralci dell'articolo, "Le previsioni dell'Organizzazione Mondiale della Sanità segnalano per il 2020, il passaggio della Depressione .........(oggi) si persegue... la.. scomparsa della sintomatologia ma anche il pieno recupero della funzionalità sia personale che sociale della persona ammalata e la minimizzazione dei rischi di ricaduta o recidiva della malattia. Ricordiamo a tal proposito che l'uso di questi ultimi termini (ricaduta e recidiva) è quello derivante dal classico schema di Kupfer che assegna al primo il significato della riacutizzazione della sintomatologia nel corso dello stesso episodio di malattia (nella stragrande maggioranza dei casi per un'inadeguata condotta terapeutica) ed al secondo il valore di un nuovo episodio di malattia che compare a distanza di tempo dalla precedentemente ottenuta guarigione. La maggior parte dei pazienti che presenta un episodio di Depressione Maggiore, avrà nel corso della vita almeno una recidiva. Il rischio di recidiva aumenta con l'avanzare del tempo e con ciascun episodio depressivo successivo; inoltre, con l'aumentare del numero di recidive, gli episodi depressivi tendono a divenire più frequenti e i loro sintomi più gravi. La durata dell'episodio depressivo prima dell'inizio del trattamento, e la permanenza di sintomi residui dopo la risposta al trattamento stesso, rappresentano ulteriori fattori che possono essere associati con una maggiore probabilità di recidiva. I sintomi residui peraltro, sono considerati da alcuni autori il più importante fattore di rischio di recidiva depressiva, in un elenco che comprende gli eventi stressanti, il sesso femminile, una anamnesi personale e familiare di depressione, la precocità dell'età di esordio, lo stato civile di "single", e l'interruzione della terapia antidepressiva. Benché la terapia di mantenimento antidepressiva a lungo termine possa non risultare necessaria per tutti i pazienti affetti da Depressione Maggiore, essa è fortemente raccomandata per i pazienti che abbiano manifestato episodi depressivi ricorrenti. La maggior parte delle linee guida, tuttavia, non fornisce indicazioni precise e stringenti in merito alla durata specifica del trattamento, lasciando quindi al clinico la possibilità di stabilirla di volta in volta, basando la propria scelta sull'anamnesi e sulle caratteristiche cliniche del paziente. Il carattere recidivante della Depressione Maggiore rappresenta oramai un dato scientificamente molto solido. Studi naturalistici riportano percentuali di recidiva del 40% nel corso del primo anno di malattia e lo studio "Collaborative Program on thè Psychobiology of Depression" del National Institute of Mental Health indica nell'85% la percentuale di recidive a quindici anni dal primo episodio. Tra i pazienti eutimici per cinque anni, questa percentuale, secondo i dati emersi dallo stesso studio, raggiunge il 58%...........i sintomi residui dopo una risposta al trattamento, la presenza di comorbidità mediche o psichiatriche e la persistenza di fattori negativi di carattere psicosociale...........raccomandano di continuare la somministrazione di terapia antidepressiva, dopo la risoluzione della fase acuta, per un periodo di mantenimento non inferiore ad un anno. Questa procedura è indicata soprattutto nelle situazioni cliniche caratterizzate dalla permanenza di sintomi residui dopo una risposta al trattamento o dopo una remissione, e dalla pre-esistenza in anamnesi di episodi depressivi ricorrenti. Per ottenere dati nel lungo termine sull'efficacia della terapia farmacologica nella prevenzione delle recidive, è stato disegnato e condotto lo studio PREVENT (Pre-vention of Recurrent Episodes of depression with venlafaxine for Two years study). I punti di partenza essenziali dello studio PREVENT sono così riassumibili:
-- la Depressione Maggiore ha tassi di recidiva del 40% a un anno e dell'85% a quindici anni; -- le recidive sono associate all'aumento della disabilità funzionale, della morbilità e della mortalità; -- solo pochi studi hanno valutato l'efficacia di antidepressivi oltre il termine di un anno sulla prevenzione delle recidive. Il disegno dello studio è multifasico e prevede un confronto di Venlafaxina RP con Fluoxetina e placebo. Il trial ha incluso pazienti con almeno due episodi di Depressione Maggiore negli ultimi 5 anni, con sintomatologia depressiva presente da almeno un mese ma a distanza di almeno tre mesi dalla fine del precedente episodio ed esclude pazienti con depressione bipolare e/o resistente. Lo studio è condotto su pazienti che, nella fase acuta del trattamento (che non prevede l'uso del placebo), abbiano ottenuto risposta o remissione con i due composti attivi. Dopo le dieci settimane di trattamento in acuto, anche nei sei mesi di continuazione il trattamento è stato condotto solo con farmaci attivi. Nel primo anno della fase di mantenimento, il gruppo dei pazienti trattati con Venlafaxina RP si divide al 50% tra il farmaco attivo ed il placebo; nel secondo anno quel 50% di pazienti trattati con Venlafaxina RP si suddivide ulteriormente con il passaggio di un altro 50% al trattamento con placebo. I pazienti trattati con Fluoxetina continuano invece stabilmente il farmaco per l'intero periodo dei due anni. Naturalmente i pazienti che presentino ricadute o recidive nel corso dello studio, o che esperiscano severi eventi avversi, escono dallo stesso. La probabilità di recidiva durante l'intera fase di mantenimento di due anni è apparsa significativamente inferiore nell'ambito dei pazienti che hanno continuato il trattamento con Venlafaxina RP rispetto ai pazienti passati a trattamento con placebo. Le percentuali di risposta e di remissione sono state significativamente più elevate tra i responders che hanno continuato il trattamento con Venlafaxina RP che non tra quelli passati a trattamento con placebo. I risultati di ulteriori valutazio-ni di efficacia secondaria e di qualità di vita hanno riflesso la significativa superiorità di Venlafaxina RP rispetto al placebo. Un ulteriore periodo di trattamento di mantenimento, di dodici mesi, con Venlafaxina RP si è rivelato efficace nel prevenire la recidiva della depressione in pazienti con Depressione Maggiore già trattati con successo con Venlafaxina RP durante la fase acuta, di continuazione e di mantenimento iniziale (primi 12 mesi). Pertanto il trattamento di mantenimento continuo con Venlafaxina RP per 24 mesi si è dimostrato efficace per i pazienti che avevano risposto favorevolmente alla Venlafaxina RP nel corso del trattamento della fase acuta e di continuazione. Il dosaggio di impiego di Venlafaxina RP nel corso dello studio è stato di circa 220 mg/die. I dati di tollerabilità e sicurezza appaiono estremamente rassicuranti anche per ciò che riguarda l'effetto collaterale specifico più temuto, specie con utilizzo di dosi quotidiane superiori ai 200 mg, e cioè l'aumento dei valori pressori, che naturalmente bisogna continuare a mo-nitorare nei soggetti a rischio: quindi nei pazienti già ipertesi e quelli in età avanzata. I risultati dello studio PREVENT evidenziano in modo assolutamente convincente la maggior efficacia della Venlafaxina RP rispetto al placebo nella prevenzione delle recidive depressive nei due anni di terapia di mantenimento continuata. I dati pubblicati evidenziano in modo particolare come il rischio di recidiva risulti dell'8% per la Venlafaxina RP rispetto al 44,8% per il placebo. Dallo studio emerge inoltre anche l'ottimo profilo di tollerabilità della Venlafaxina RP, che ha mostrato effetti indesiderati sovrapponibili a quelli evidenziati nel gruppo di pazienti trattati con placebo. Le interruzioni dello studio dovute a eventi avversi sono state addirittura più rappresentate nel gruppo trattato con placebo. Quest'ultimo elemento è tanto più importante quando si pensi che nei sempre più frequenti trattamenti a lungo termine della depressione, la tollerabilità di un antidepressivo finirà probabilmente col divenire il fattore di scelta più determinante per il medico al momento della prescrizione della cura.
orso castano : a caso dal sito Farmacovigilanza.org (clicca) un articolo tra i molti sugli effetti secondari degli antidepressivi e sulle precauzionioni che devono essere usate :
"Fluvoxamina. Avvertenza del Ministero della Salute canadese (maggio 2004) La Solvay Pharma ha inviato una “Dear Health Care Professional letter” agli operatori sanitari per comunicare importanti informazioni sulla sicurezza riguardanti la possibilità che gli SSRI e altri nuovi antidepressivi possano essere associati ad alterazioni comportamentali ed emozionali, compreso il rischio di autolesionismo. Di seguito è riportato il contenuto dell’avvertenza inserita nel foglietto illustrativo: Potenziale associazione con l’insorgenza di alterazioni comportamentali ed emozionali, compreso l’autolesionismo Bambini: Dati dei trial clinici placebo-controllati Recenti analisi dei database sulla sicurezza nei trial clinici placebo-controllati riguardanti SSRI e altri nuovi antidepressivi suggeriscono che l’impiego di tali farmaci nei pazienti con meno di 18 anni può essere associato ad alterazioni comportamentali ed emozionali, compreso un aumento del rischio di idee e di comportamenti di suicidio superiore rispetto al placebo. Il piccolo denominatore nel database dei trial clinici, così come la variabilità della frequenza associata a placebo, impediscono di arrivare a conclusioni affidabili sui relativi profili di sicurezza fra questi farmaci. Adulti e bambini: dati aggiuntivi Nei trial clinici e durante il periodo post-marketing sono state riportate segnalazioni di eventi avversi tipo agitazione severa associata ad autolesionismo o a danno verso altri in seguito a terapia con SSRI e a nuovi antidepressivi in bambini e in adulti. Gli eventi tipo agitazione comprendono: acatisia, agitazione, comportamento disinibito, labilità emotiva, ostilità, aggressione e depersonalizzazione. In alcuni casi, gli eventi si sono verificati nell’arco di diverse settimane dall’inizio del trattamento. Nei pazienti di tutte le età, si consiglia un monitoraggio clinico rigoroso per le idee di suicidio e per altri indicatori dei possibili comportamenti di suicidio. In particolare si consiglia di monitorare le alterazioni emozionali e comportamentali tipo agitazione. Sintomi da sospensione I pazienti che stanno assumendo fluvoxamina NON devono interrompere bruscamente il trattamento, a causa del rischio della comparsa di sintomi d’astinenza. Quando si decide di sospendere la terapia con SSRI o con altri nuovi antidepressivi, si raccomanda di ridurre la dose gradualmente e di non sospendere il farmaco bruscamente. E’ da notare che non è stato stabilito un ruolo causale degli SSRI e degli altri nuovi antidepressivi nell’induzione di autolesionismo o danno verso altri. La possibilità di tentato suicidio è insita nella depressione e negli altri disturbi psichiatrici e può persistere finché non si verifica la remissione. Pertanto, i pazienti ad alto rischio devono essere attentamente valutati per tutta la durata della terapia considerando in modo appropriato la possibile necessità di ospedalizzazione. L’avvertenza informa i medici che tutti i pazienti in trattamento con SSRI e altri nuovi antidepressivi devono essere monitorati in modo rigoroso per il peggioramento clinico o per insorgenza/peggioramento di eventi avversi tipo agitazione o per altri indicatori per possibile comportamento di suicidio. La fluvoxamina non è indicata per l’impiego nei bambini."


II concetto di recovery, in psichiatria, è alla base del superamento del pessimismo clinico e prognostico, possibile peraltro solo nella consapevolezza della necessità di innovazione dei paradigmi, degli strumenti, della organizzazione dei servizi e della stessa ricerca (10). In tal senso la riflessione maggiore deve riguardare la ridefinizione del concetto di guarigione: "In passato, la pratica della salute mentale era ispirata dal convincimento che i soggetti affetti da gravi malattie mentali non potessero guarirne.... La ricerca, nel corso degli ultimi trenta o quarant'anni, ha sconfessato tale convinzione, dimostrando che per molti soggetti è possibile raggiungere l'obbiettivo della guarigione. Molte persone con gravi malattie mentali hanno reso pubbliche le proprie esperienze e rivendicano la necessità di una evoluzione dei servizi orientata in tale direzione" (11). E cosa aiuta a gu
nelle difficili scelte - per es. di inizio e fine vita - sia le malattie della mente. E' per questo, usando uno sguardo ampio e 'complice', che crediamo utile farci guidare dall'invito di Benasayag e Schmit verso una clinica di/sui confini, una clinica del legame, dell'accoglienza e dell'ascolto, dell'affettività e del desiderio, dell'impegno e del coraggio.(12)
BIBLIOGRAFIA
(1) Spinsanti S., Petrelli F. Scelte etiche ed eutanasia, Milano, ed. Paoline, 2003
(2) Battaglia L., La tutela dei soggetti deboli: aspetti di bioetica, in La follia sociale, AA.VV., Genova, Libe-rodiscrivere, 2005
(3) Fried L.P., Conference of thè physiologic basis of fragilty, Aprii 28, 1992, Baltimore, Maryland, U.S.A., Introduction, Aging (Milano), 1992,4:251-2
(4) Ferrandes G., Ferrannini L., Etica di fine vita ed etica della cura: riflessioni e domande, in Psicogeriatria, n.2,2008,p.7-10
(5) Constati C.flandbuch der Medizinischen Klinik, in Stanghellini G., Antropologia della vulnerabilità, Milano, Feltrinelli Ed, 1997
(6) Gislon M.C, Manuale di psicoterapia psicoanalitica breve, Bergamo, Dialogos Ed.,2005, p.27
(7) Nussbaum M, Giustizia sociale e dignità umana. Da individui a persone, trad. it., Bologna, il Mulino, 2002
(8) Blais L., // soggetto che non è, e la verità (che non è) creduta, Rivista Sperimentale di Freniatria 2005; vol.CXXIX; allegato al fascicolo 3
(9) Ferrannini L., I servizi e gli operatori tra continuità ed innovazione, in Psichiatrìa di Comunità, n.4, 2008, p.181-4
(10) Slade M. e Hayward M, Recovery, Psychosis and psychiatry: research is better then rhetoric, in Acta Psych. Scand, 2007
(11) Farkas M., La concezione attuale della guarigio-ne:che cos'è e qual'è il suo significato nei servizi, in World Psychiatry, 2007, 6: 4-10
(12) Benasayag M., Schmit G, L'epoca delle passioni tristi, Milano, Feltrinelli Ed., 2004

Claudia ha 34 anni: appartiene ad una famiglia coesa, affettiva, ma fortemente attaccata da eventi luttuosi e di malattia. Il papa'- descritto come un uomo dolce, molto "presente", figura carismatica -si è ammalato di Corea di Huntington a cinquantacinque anni ed è morto dopo dieci anni di malattia qualche anno fa'. Nel frattempo si è anche ammalata la mamma di Sclerosi Multipla. Claudia e sua sorella Federica, maggiore di due anni, hanno trascorso la loro giovinezza molto coinvolte nel loro ruolo di assistenza, ma sono riuscite, in questo portentoso intreccio di forza e debolezza del loro nucleo, a non farsi invadere dall'angoscia, a non fermare il processo evolutivo, il percorso di vita. Hanno studiato, lavorano, hanno amici, amori. Consapevoli dell'ereditarietà della malattia paterna e del loro rischio genetico, hanno scelto entrambe di non sottoporsi a diagnosi pre-sintomatica. Finché non si presentano i primi sintomi di Corea in Federica. Inizia per Claudia un periodo di profonda crisi, che affronta nel percorso di consulenza genetica: ritornano domande impellenti su di sé, sul senso della vita, sugli affetti, sul futuro. Una vita d'assistenza? Ritorna drammatico il vissuto del rischio: "E se...?" Sapere se anche lei ha ereditato la mutazione assume ora un significato diverso, per ilpresente e per il futuro. In un misto di angoscia e responsabilità. Quale scelta può aiutarla a non cadere nella distruttività, a continuare ad essere supportiva e vitale? Può ancora aiutarla vivere nell'incertezza?
La storia di Claudia e della sua famiglia è una storia d'oggi. Laddove la scienza permette di andare oltre il presente, prefigurando il futuro e condizionando le menti. L'intreccio tra fattori di rischio - in ogni senso -e fattori protettivi della "salute mentale" è al centro dell'elaborazione psicologica, necessaria perché Claudia, e non altri, prenda una decisione.
Dalla guarigione al recovery
Dobbiamo ora chiederci qual'è la ricaduta sulla cura, qual'è la prospettiva per gli operatori della salute. Imparare a pensare in termini resilienti può aiutare a comprendere meglio proprio il disagio psicologico e la stessa psicopatologia? Può aiutare nel progetto terapeutico? Il concetto psicologico di resilienza ribadisce costantemente la centralità, nelle relazioni di cura, della persona e della sua soggettività, riproponendo l'attenzione ai principi fondanti l'etica: giustizia, autonomia, beneficialità. Invita a parlare di persone e non di pazienti, conduce alla riformulazione del concetto di malattia, con il rinforzo dello sguardo sui bisogni piuttosto che sui sintomi, permette, a proposito di cura e progettualità, di pensare anche alle possibili opportunità di cambiamento, alla qualità della vita piuttosto che alla guarigione, in un processo fluttuante e dinamico. Allora forse è possibile andare oltre le divisioni e le categorie (diagnostiche innanzitutto), in un sistema di cura ispirato primariamente dalla tutela dei diritti dei soggetti deboli.
Quale significato assume oggi il concetto stesso di cura di fronte ai soggetti che rischiano di "non essere" ?(8) I giovani ed i giovanissimi (la generazione Wireless, il discontrollo degli impulsi, la crisi della genitorialità), le donne (identità di specie? Vita di assistenza? corpo perfetto sempre e ad ogni età?), gli anziani ("costretti" a vivere? Psichiatrizzazione della fragilità?), ma in fondo tutti (fragili di fronte all'aumento del rischio traumatico, fragili in una cultura che nega la morte e la malattia, fragili di fronte alla paura del limite) Più volte altrove abbiamo collegato il concetto di resilienza al concetto di "Recovery": "inteso come recupero di senso dell'esperienza di sofferenza e di malattia che non si identifica con la guarigione cllnica, ma piuttosto con quella sociale
(categoria tuttavia ambigua e sfumata) e con l'esperienza di ritrovamento: percorso, ri-si-gnificazione, presa di coscienza, partecipazione, cittadinanza attiva e vissuta, relazioni di auto aiuto e, soprattutto, non restare soli, dentro e fuori. Categoria non cllnica, quindi, ma segnale del cambiamento del rapporto con la malattia, sviluppo di nuove capacità di coping, daffermazione del soggetto come persona, oltre e non contro l'identità determinata dalla malattia.

Franco, 54 anni, commercialista, coniugato con tre figli, una madre deceduta per tumore al colon, consapevole della possibile suscettibilità ad ammalarsi, non si sottopone mai a sorveglianza. Vince per anni la difesa intellettualizzante che legge la vita in visione fatalistica e nega la complessità della situazione. Persona rigida, dalla forte personalità, rigorosa, razionale, ai primi sintomi della malattia reagisce con incredulità prima, e con determinazione a curarsi poi, senza cenni di disagio, supportivo lui stesso nei confronti della famiglia. La malattia si complica e con essa il percorso di cura: Franco vacilla, all'improvviso "non riconoscendosi più" diventa emotivamente debole e indifeso. Rifiuta le cure. Durante la crisi emotiva esplode il sistema difensivo che ha retto per anni ed emerge la vulnerabilità anche emozionale, probabilmente anche per lui sempre intrecciata a quella organica.
La storia di Franco è quella di un adulto "competente", costretto a confrontarsi drammaticamente con la sua fragilità e per il quale è difficile comprendere il limite, di fronte al quale tende a fuggire o meglio a scegliere di fuggire. Debolezza?
Arrivano in Pronto Soccorso spaventate, bloccate, tremanti. Hanno nomi dolcissimi - Evelyn, Rose Mary, Christine, Èva - e cognomi per noi impronunciabili, ricchi di K, X, J, W..Vengono dalla Nigeria, dalla Somalia, dall'Albania, dalla Russia. Sono giovani, a volte giovanissime. Accompagnate di solito da una connazionale, da un vicino di casa, da un poliziotto, che ci forniscono scarne notizie : "Da qualche giorno non mangia, piange sempre" .... "L'abbiamo vista affacciata alla finestra, sembrava sì volesse buttare" .... "Camminava lungo i binari della stazione, era confusa ..." Sono curate nell'aspetto, hanno grandi occhi tristi e diffidenti. Si ritraggono impercettibilmente quando ti avvicini a loro, come un animale che si senta minacciato. Accettano il ricovero, si mettono a letto, si coprono il viso con le lenzuola. Non chiedono nulla. Non disturbano. Se piangono, cercano di non farsi notare. Parlano il meno possibile, hanno paura di dare troppe informazioni Mangiano con appetito, dormono profondamente, Riposano.
Noi ci confrontiamo con le nostre fantasie: di una vita difficile, a cui non erano preparate - pensiamo al marciapiede, allo sfruttamento, a minacce e percosse -, di una nostalgia lacerante, improvvisa, di insopportabile solitudine, povertà, miseria. Cerchiamo nel loro corpo - giacché l'anima si nasconde - gli indizi della loro storia, del loro dolore : lividi, ferite, contusioni, test di gravidanza, malattie infettive.
Dopo due - tre giorni chiedono di essere dimesse. Dicono di stare meglio, non piangono più. Qualcuno, a volte, viene a prenderle. Se ne vanno, lasciandoci la frustrazione che non abbiano potuto fidarsi di noi. Lasciano l'ospedale come si lascia un momentaneo rifugio, una tana calda, un riparo nella burrasca.La storia delle "fuggiasche" è storia della fragilità dell'oggi, in cui donne adulte, altrove competenti, si ritrovano in un altrove che le rende incompetenti. La prima spontanea domanda è se la fragilità non sia piuttosto comunitaria, sociale e se il vissuto di impotenza sia anche di chi non può che accogliere piuttosto che "curare".
Il concetto di adulto competente - e bene sottolinearlo -è oggi sempre più riferibile alla malattia cronica e quello che comporta innanzitutto sul piano delle relazioni -medico/paziente, familiare/paziente, famiglia/società. 


ma necessita di persone che lo sospingano vivendo nelle loro coscienze il richiamo del bene comune. Ogni decisione economica ha conseguenze di carattere morale. Ciò è ancor più vero nell’epoca della globalizzazione, che indebolisce l’azione nazionale di governo dell’economia e insidia così l’utilità della distinzione scolastica fra produzione della ricchezza e sua redistribuzione operata dalla sfera pubblica per motivi di giustizia. E’ possibile “internalizzare” la dimensione etica già nella fase della produzione, come mostra l’ampio spettro di attività economiche che sfuggono a una meccanica classificazione in profit e non profit e che si pongono anche obiettivi di natura etica e di utilità sociale...........................Su un piano più immediato, l’interdipendenza mondiale esige urgentemente una riforma dell’architettura finanziaria internazionale, finalizzata a un miglior funzionamento dei mercati. In questo senso vanno le proposte volte a garantire una maggiore trasparenza dei bilanci delle società, a indurre gli operatori a una maggiore sobrietà nell’accumulazione del debito, a una maggiore consapevolezza dei rischi insiti nel perseguimento del profitto e più generalmente dell’accettabilità sociale di certi comportamenti. Ma al tempo stesso questi sono obiettivi indissolubilmente connessi con il profilo etico, perché volti in ultima analisi alla protezione dei più deboli.
Uno sviluppo di lungo periodo non è possibile senza l’etica. Questa è una implicazione fondamentale, per l’economista, dell’amore nella verità – caritas in veritate – di cui scrive il Papa nella sua enciclica............................................
Le locuste arrivano come orde, mangiano tutto quello che trovano sul loro cammino e lasciano solo desertificazione e povertà. Gian Marco Bachi e Andrea Di Stefano si addentrano nei meandri della finanza cercando di svelare paradisi fiscali, truffe e giochi borsistici in Italia e all’estero. Una cronaca diversa dell’economia e della finanza nell’era della globalizzazione e del mercato come icona assoluta. Ogni martedì alle 8.35 su Radio Popolare o in streaming da www.radiopopolare.it o in podcast su www.valori.it A cura di Gianmarco Bachi con Andrea Di Stefano locuste@radiopopolare.it
Gli album ordine come Flickr raccolgono gli scatti di amanti della fotografia: alcuni scelgono di pubblicarli gratuitamente sul web, sostituendo al copyright («Tutti i diritti riservati») le licenze Creative commons. Sono strumenti legali che consentono diversi "livelli" di condivisione con il pubblico della rete: alla richiesta della semplice attribuzione dello scatto (by) si può aggiungere il divieto di utilizzo commerciale (nc) o di derivare altre opere. È un'idea lanciata da Lawrence Les-sig, professore a Stanford, che facilita la circolazione di sapere su internet. Ed è applicata a ogni forma di produzione culturale: testi, immagini, suoni, video. Gli autori di blog fanno ampio uso dei contenuti distribuiti con licenze Creative commons: se da un lato ricevono in questo modo risorse utili per esprimersi, dall'altro selezionano e rimettono in gioco conoscenze. Donando il proprio tempo libero alla comunità. Per condividere un filmato, inoltre, basta aggiungerlo su You-Tube, Rewere altri servizi di videosha-ring: le sequenze video possono diventare una finestra per il pubblico globale su paesaggi naturali e avvenimenti locali. I traduttori amatoriali, poi, hanno una ppssibilità in più con dotSub: è una sorta di YouTube multilungua che permette di sottotitolare brevi video da una lingua estera o viceversa. Una vera manna per chi vuole esercitare lingue rare come il Luo, parlato soprattutto nell'Africa orientale. E, allo stesso tempo, dotSub è un'occasione per partecipare alle iniziative per lo sviluppo 2.0 (Development 2.0), un movimento globale che riunisce progetti perla diffusione di memorie e di saperi utili (come i consigli per la semina e il raccolto attraverso podcast).
Creatività e ispirazione aiutano a comporre una canzone: ma come farla diventare un successo ? Alcuni archivi consentono l'accesso alla musica in modo gratuito e legale: da Jamendo e Wikimedia musica, per esempio, il pubblico può ascoltare e scaricare brani o interi album di una band emergente. Ma dono è anche la registrazione di un ballo tradizionale o di una leggenda popolare: memorie vocali che riportano in vita suoni di altre epoche. Sono esperienze in grado di rivelare il valore generato dalla «produzione comunitaria tra pari» (common.based peer production) descritta da YochaiBenkler, professore a Yale, nel libro «La ricchezza delle rete».
La passione di alcune comunità come Swivel e Many eyes sono dati statistici e grafici da pubblicare in rete, commentare e rielaborare, riunendo in un'unica banca dati informazioni arrivate da istituti di statistica nazionali e internazionali. Cifre e tabelle che hanno permesso di generare sette milioni di grafici, a loro volta utilizzati per le discussioni all'interno delle community o linkati da blog. I più pigri hanno a disposizione Boinc: è una rete di calcolo distribuito progettata dall'Università di Berkeley. Basta scaricare un software, scegliere il progetto (dalla ricerca di vita nella galassia alle previsioni dei mutamenti climatici) e lasciare che il proprio computer elabori una parte dei dati: una volta finiti i calcoli, i risultati saranno inviati automaticamente a Berkeley.
Prefazione, è il concetto forse più complesso e frainteso dell'autore della Struttura. Senz'altro è il tema che richiama più da vicino il dibattito filosofico sul concetto di significato. Il fatto è che secondo Kuhn, difendendo la propria proposta dagli attacchi dei suoi critici, incommensurabilità non implica incomparabilità. Due linguaggi o due misure risultano incommensurabili proprio sulla base della reciproca comparabilità, altrimenti sarebbe del tutto impossibile definirle parzialmente o totalmente intraducibili. Il concetto di incommensurabilità non resta però fisso nel corso degli anni: abbiamo per esempio negli anni '80 l'incommensurabilità "locale", che riguarda cioè solo una parte di un linguaggio, alcuni termini e le proposizioni connesse. Se, l'esempio è di Kuhn, cerchiamo oggi di tradurre nel linguaggio della chimica contemporanea un testo sul flogisto del diciottesimo secolo, scopriamo senza difficoltà che una gran parte dei termini è del tutto identica a distanza di secoli. Solo alcuni termini, tra cui senz'altro "flogisto", ma anche i termini "elemento" e "principio" usati per la resa in lingua moderna di "flogisto", risultano nel linguaggio della chimica oggi del tutto intraducibili. Il termine flogisto non ha più alcun significato perché non ha più alcuna funzione denotativa e i termini con cui oggi noi lo traduciamo per rendercelo chiaro nel nostro linguaggio devono usare termini quali "elemento" o "principio" i
n maniera del tutto diversa da come erano usati dal linguaggio della chimica settecentesca. Noi crediamo di aver tradotto il testo antico quando siamo riusciti a riprodurre nel nostro linguaggio i significati espressi da quello, sostituendo i referenti antichi con i referenti moderni o con circonlocuzioni apposite. Ma in questa maniera noi, probabilmente viziati dal fatto che già da sempre siamo "dentro" il linguaggio specialistico della chimica, dimentichiamo che la prima volta che abbiamo appreso il linguaggio della chimica del settecento abbiamo modificato o rivisto il linguaggio standard appreso in università, l'unico di cui eravamo in possesso. Senza questa modifica o aggiustamento del linguaggio noi non saremmo affatto in grado di operare "traduzioni" tra due linguaggi diversi. Kuhn dunque rifiuta il modello di interpretazione radicale proposto da Quine in Parola e oggetto. Se il manuale del perfetto traduttore comporta la trasferibilità di ogni parola da tradurre in una parola del proprio linguaggio e laddove ad una parola corrispondono più termini o insieme di termini, e anche nel caso in cui il manuale preveda i contesti e i requisiti d'uso di una o di un'altra possibilità, anche con uno strumento siffatto per Kuhn non è possibile alcuna traduzione. Insieme al possesso delle norme sintattiche e lessicali di una lingua sono necessarie le categorie tassonomiche, i modi di classificazione con cui definiamo i significati delle parole; in parole povere siamo costretti a risalire ai contesti intensionali e non più puramente denotativi del parlante o dello scrivente. Per tradurre da una lingua dobbiamo riconoscere le intensioni del parlante, dobbiamo conoscerne la cultura. Ogni traduzione è in questo senso un' interpretazione.
Assieme al tema dell'incommensurabilità si sviluppa il tema del paradigma, o, più precisamente, delle forme concettuali lungo la quale si sviluppa, prende forma e si afferma una nuova teoria scientifica. Dalla fase "preparadigmatica" alla fase "normale" avvengono una serie di distorsioni terminologiche, di memoria e di consapevolezza, che lo storico della scienza, Kuhn ammette esplicitamente l'influenza di Koyré, riesce a ricostruire molto meglio dello scienziato stesso. Kuhn riferisce a questo proposito dei suoi incontri con Bohr. Al grande fisico danese erano state poste per due volte a distanza di tempo, delle domande circa l'influenza del modello di Rutherford sul suo modello descrittivo dell'atomo di idrogeno, e entrambe le volte Bohr aveva dato segni di impazienza circa l'incongruità della domanda: prima dello studio degli spettri luminosi e prima della conoscenza della formula di Balmer, non avrebbe potuto in alcun modo formulare alcuna ipotesi sull'atomo di idrogeno; Questo era vero stando alla soluzione risultata poi "normale" cioè accettata come tale dalla comunità scientifica. Il fatto è che però lo stesso Bohr prima di conoscere la formula d Balmer aveva tentato una descrizione dell'atomo di idrogeno proponendo una versione quantizzata dell'atomo di Rutherford. In parole povere, come dice lo stesso Kuhn: "Quando scrisse la relazione che l'annunciava (la scoperta dell'atomo di Bohr, ndr.), egli (Bohr, ndr.) aveva in mente due modelli incompatibili, e qualche volta li confondeva, li mischiava.
Nessuna lettura delle sue prime relazioni sulla sua invenzione eliminerà le contraddizioni che ne risultano, e queste contraddizioni, che testimoniano la sua confusione, forniscono indizi essenziali per la ricostruzione del percorso che lo portò alla scoperta" (p. 90). Ora lo scienziato, dopo l'affermazione della norma, descrive la propria scoperta con il linguaggio modificato e non con quello del tempo della scoperta. Le contraddizioni le imputa alla confusione che allora aveva in mente. Questa è la prima parte dell'errore, secondo Kuhn. La seconda, più seria è quella descritta a proposito di Planck nella sua "confusa" descrizione del corpo nero. In questo caso siamo noi lettori ad attribuire allo scienziato quella confusione che attribuiremmo a noi stessi se ne fossimo vittime: la verità è che pensiamo alla scoperta con il linguaggio che si è avuto solo dopo l'affermazione della nuova teoria seguita alla scoperta; non siamo in grado di capire che la confusione è dovuta al fatto che chi fa una rivoluzione pensa il nuovo con il vecchio linguaggio, né potrebbe fare altrimenti. Occultare questo fatto e attribuirlo alla confusione dello scopritore è il peggiore servizio che potremmo fare alla scienza. Lo stesso Planck, prima che la legge della discontinuità si affermasse come canonica (e = hn) si credeva convinto che la discontinuità si sarebbe potuta eliminare, prima o poi. Lo storico della scienza giunge pertanto alla seguente rivoluzionaria conseguenza: la credenza che la scienza avanzi uniformemente, per accumulo e in maniera finalizzata ad una sempre più parziale avvicinamento alla verità, per quanto possa sembrare attraente e stimolante, è un mito. Non è questo punto ad essere aspramente criticato da Feyerabend bensì l'uso "antidemocratico" del paradigma. Kuhn, secondo Feyerabend, non distingue nella sua ricostruzione storica tra fatto e sua interpretazione, anzi ogni esperienza scientifica presa in esame viene interpretata come un fatto storico e come regola metodologica. Il particolare diventa generale, la storia è più razionale della scienza stessa. Mentre per Kuhn le scoperte sono il risultato di trasformazioni linguistiche, terminologiche e concettuali che riguardano non individui, ma gruppi e società, Feyerabend rifiuta, pace
Wittgenstein questa posizione. Feyerabend nega infatti del tutto la funzione del paradigma come dogma positivo. La funzione svolta dal paradigma nella fase normale è dovuta, secondo Feyerabend, al fatto che per Kuhn è come se lo scienziato non avesse la capacità "di prendere in considerazione varie ipotesi alternative e di discuterle appassionatamente [...] Credo di aver dimostrato che il fatto di prendere in considerazione un insieme di teorie mutuamente contraddittorie ma adeguate ai fatti aumenti il contenuto empirico di un qualunque elemento dell'insieme e questo per il semplice motivo che molti controlli presuppongono l'esistenza di un'alternativa! [...] Se le cose stanno così allora dobbiamo prendere una decisione: che cosa preferiamo, l'incremento del contenuto empirico delle teorie in nostro possesso, o quella unanimità di ricerca e il preciso adattarsi ad essa prodotto nei periodi che tu chiami normali? [...] Molti scienziati sembrano preferire la seconda alternativa - ma è abbastanza evidente che questa loro decisione non è vincolante per nessuno" (p. 235). È proprio la visione kuhniana della scienza normale che inquieta Feyerabend, che limita la sua idea di libertà di ricerca. Ancora nel saggio dedicato ai mondi possibili Kuhn affronta il tema della traduzione radicale di Quine per negarlo. Il linguaggio delle scienze naturali sviluppa i significati dei termini solo all'interno dei contesti e nel caso in cui con Putnam volessimo negare ai termini singolari la loro funzione denotativa non riusciremmo poi a salvare il realismo del linguaggio scientifico. Quine giunge infatti ad affermare che il traduttore impara un'altra lingua, ma si dimentica di concludere che imparare un'altra lingua non significa tradurre: il traduttore in questo caso
diventa piuttosto un antropologo fittizio, che indica i contesti culturali, sociali, comportamentali di un certo uso di parole, soprattutto quando queste sono le stesse, ma cambiano di senso in contesti diversi (come ad esempio "forza" nel sistema aristotelico o in quello newtoniano). Certo in questo caso corredare di note un testo è certo cosa meritoria per la comprensione ma è molto più di quanto ci sia debba legittimamente aspettare da una traduzione e comunque non è una traduzione.
Come ricorda Gattei nel suo saggio conclusivo, per Kuhn l'incommensurabilità è dovuta al fatto che una rivoluzione scientifica comporta un mutamento di tassonomia. Quando in un paradigma emergono anomalie sempre più gravi e importanti allora si assiste ad un momento di crisi. Nei periodi di crisi i termini di tipo, in particolar modo quelli tassonomici subiscono delle trasformazioni semantiche che obbligano a delle nuove definizioni lessicali di parte del corpus scientifico, certamente di tutti i termini sovrapponibili a quelli modificati. Anche su questo punto Feyerabend domanda criticamente chi stabilisce quando un'anomalia diventa grave. Anche in questo caso non la comunità, ma i singoli in seguito a situazioni particolari e tutto sommato fortuite. Non insomma attraverso una crisi di gruppo e di linguaggio, ma attraverso posizioni di potere, opportunità e mai in maniera assoluta. Per Feyerabend Kuhn resterebbe dentro ad una filosofia della scienza monista, per cui il paradigma entra in crisi e va sostituito da un altro paradigma, laddove, per esempio, Kuhn non prende in considerazione la possibilità per cui un paradigma potrebbe entrare in crisi a causa di un paradigma concorrente contemporaneo. Questo porta Feyerabend a concludere che la filosofia di Kuhn non è democratica (non ammette cioè molteplici paradigmi possibili simultaneamente). Le lettere di Feyerabend sono peraltro ricchissime di appunti critici estremamente dettagliati che consentono un confronto critico praticamente parallelo ai saggi della prima parte: questa lettura critica costituisce uno dei meriti principali del libro. L'impresa scientifica in Kuhn, nei saggi degli ani '80-'90 si configura per questi come un evoluzionismo non teleologico, un darwinismo senza scopo. Nella scienza non c'è qualcosa come un progresso che tende ad una sempre maggiore adesione alla realtà. Noi a nostra volta dipendiamo dal mondo, che altri per noi hanno definito e tramandato da generazioni, in determinati contesti culturali e mondi linguistici separati, distinti e tra loro incommensurabili. La scienza è uno di questi mondi, con delle proprie peculiarità e una propria importanza: ma ce ne sono altri e nessuno può dire quale sia quello vero e quale più importante, semplicemente perché non ne esiste uno più vero o più importante. Questo è il risultato più significativo dalla Struttura in poi: Kuhn definisce questa sua posizione kantismo postdarwiniano (p. 156). Di Kant si riprendono cioè le categorie, intese nel senso di apparati linguistici trascendentali, entro i quali pensiamo il mondo; allo stesso tempo post-darwiniano indica che l'evoluzione della scienza non è diretta verso uno scopo, ma è un continuo riadattamento del lavoro precedente.
Di fronte alle tentazioni cui molti "sedicenti" kuhniani sono stati trascinati, per cui la scienza non sarebbe altro che un'impresa socialmente determinata, da interessi culturali, personali, politici ed economici, Kuhn reagisce però in maniera estremamente decisa. La scienza non è accumulo di materiale empirico neutrale, fatti puri e semplici, indipendenti da ogni osservatore: essa è un'impresa dinamica, soggetta a continua interpretazione, entro certi limiti. Il fatto che la scienza non disponga più di un punto fisso, immodificabile, fuori dello spazio e del tempo, non comporta che la ragionevolezza e l'evidenza non siano continuamente coinvolte nel suo sviluppo. Solo questo sviluppo non tende ad un maggiore vicinanza con qualcosa come la realtà in sé: anzi a ben vedere noi non possiamo neanche capire che cosa s'intende con "avvicinamento alla realtà". In questo senso le due colonne portanti della scienza tradizionale: 1. prima i fatti poi le interpretazioni; 2. avvicinamento progressivo alla verità, non sono stati eliminati dall'approccio storico, bensì sono stati sostituiti da un processo evoluzionistico di "speciazione", cioè dal moltiplicarsi di campi specialistici di investigazione scientifica. L'impresa scientifica perde la sua presunta universalità arricchendosi in modo pressoché illimitato di nuove scienze; e questo processo in corso sin dall'antica Grecia, ha subito una straordinaria accelerazione dagli anni '50 del XX secolo in poi. Ad ogni rivoluzione si risponde con una moltiplicazione di scienze specialistiche.
A trent'anni dalla Struttura Kuhn definisce oggi "speciazione" quello che ieri chiamava
"rivoluzione". Questi saperi specializzati diventano tra loro progressivamente incommensurabili e, infine, questi mondi le "nicchie" di saperi indipendenti, mondi possibili: "Queste nicchie, che creano e al contempo sono create dagli strumenti concettuali e strumentali con cui i loro abitanti esercitano la propria attività, sono solide, reali, resistenti al cambiamento arbitrario, allo stesso modo in cui veniva considerato una volta il mondo esterno. Tuttavia, a differenza del cosiddetto mondo esterno, esse non sono indipendenti dalla mente e dalla cultura, e insieme non costituiscono un tutto unico e coerente di cui noi e gli specialistii di tutte le singole specializzazioni scientifiche siamo gli abitanti" (p. 180).
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