domenica 16 agosto 2009

Cindy Sherman , fotografa (di se stessa) e regista

http://www.powerset.com/explore/go/storytelling di Adriana Polveroni Andy Warhol ci ha fatto vedere che la distanza dì sicurezza tra l'immaginario popolare e le figure del potere sì poteva colmare. Così sono nate le icone: Mari-lyn, Liz, Jackie, Mao e tante altre, rimaste nell'empireo artistico per anni. Con noi tuttoché guardiamo loro e continuiamo a celebrarle anche se i loro volti hanno i colorì acidi, il rossetto screziato e altri graffi pop. Invece Cindy Sherman. americana quanto Andy Warhol rna che al mondo dell'arte arriva una decina di anni dopo, salta il fosso. Fa anche lei immagini, quasi sempre volti, a volte figure intere. Ma guai a trovarci una celebrità. Lei fotografa l'altra metà (e passa) del mondo, i comuni mortali (più o meno comuni) che guardano, e a volte adorano, le celebrità. Cindy Sherman, ìnsomma, ha capito che la società dello spettacolo, di cui Warhol è stato un fantasioso cantore, ha compiuto un salto dì qualità, perché in un certo senso sì è avverato proprio ciò che l'eccentrico ragazzo, biondo e brufoloso, di Pìttsburgh aveva vaticinato: "Ognuno avrà il suo quarto d'ora di celebrità". Cindy dunque ci fa vedere che la storia, la celebrità, magari solo per un quarto d'ora, siamo noi. Semplicemente perché il pubblico siamo noi, e in un mondo in cui l'arte, soprattutto quella contemporanea, è diventata fenomeno dì massa che penetra, pervade ovunque, riti e miti, quel "noi" conta più o meno quanto "loro". L'uno non potrebbe esistere senza l'altro...............

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