Ben volentieri riportiamo , di gianni riotta l'introduzione al dibattito del Sole 24 Ore del luglio 09 , stralcio dallintroduzione , che lucidamente fa il punto sinteticamente sulla situzione globale economica e no (il libro e' da leggere all'intero)
".......ottismo tardo kennediano, un po' più di spesa pubblica, un po' più di stato, un po' più di buona volontà e tutto andrà a posto.
Non più. Perché quel 1989 segnò anche l'era della globalizzazione, aperta dal grande Deng Xiao Ping che dice ai cinesi di arricchirsi e riscopre le virtù classiche asiatiche del lavoro e della comunità e dalla foga con cui piccoli affamati paesi, dalla Sud Corea a Hong Kong, sperano di vincere negli affari. Nei garages di Silicon Valley ragazzini come Jobs e Wozniak intuiscono che il computer, inventato per triturare numeri per gigantesche burocrazie può invece comunicare parole per individui e che la Darpanet, sistema nervoso militare via cavo progettato per resistere alle bombe termonucleari russe, può evolvere in internet e diffondere notizie, ricette della nonna, bilanci d'azienda e lettere d'amore. Nel tumultuoso passare di una generazione un miliardo di esseri umani muove dalla fame a un lavoro decente e mezzo miliardo di loro, tra India e Cina muta da contadini a ceto medio. Ieri una ciotola di riso era il sogno, oggi una borsa Fendi.
La velocità del mutamento travolge gli esperti. Nel saggio "The end of work" del 1995 Jeremy Rifkin preconizza fosco un mondo senza lavoro, giusto mentre Robert Rubin, segretario del Tesoro con il presidente Bill Clinton e veterano di Goldman Sachs, contribuisce a creare una dozzina di milioni di posti negli Usa e il pianeta intero lavora con una furia senza precedenti. E la speranza di un nuovo
ordine mondiale che viene però spezzata dalle fiamme su Washington e New York dell'n settembre 2001, culminate nelle guerre in Afghanistan e Irak mentre la Russia, ricca di petrolio, e la Cina, ricca di lavoro, tornano protagoniste.
Nel contesto di queste idee, di questi dubbi e angosce matura e scoppia la crisi finanziaria e economica del 2008. Provare a spiegarla solo in base a criteri moralistici, gli americani cicale il resto del mondo formiche (e, se mai, gli americani interpretavano negli anni del boom la favola antica in modo bizzarro, consumando sì da cicale ma sgobbando da formiche!), o solo economici e giuridici è fallace. La corsa di quello che il consigliere di Rea-gan, il falco Luttwak, per primo chiamò "turbocapitalismo" dalle colonne della "London Review of books" e la mancanza di regole per il lassismo di Rubin e del presidente della Federai Reserve Alan Greenspan si spiegano solo partendo dall'equilibrio precario della geopolitica 2000. Certo, d'intesa con Greenspan, già nel 1997 Rubin contrastò i freni ai derivati proposti da Brooksley Born, la giurista a capo della Commodity Futures Trading Commission: ma davvero qualcuno ritiene che quei poveri legacci alla piena della storia ne avrebbero fermato il corso?
Orfani di ideologie, angosciati dalla crisi industriale e dal nuovo terrorismo, milioni di esseri umani trovarono forza e slancio nella globalizzazione, arricchendosi in Occidente, o indebitandosi per consumare come se fossero ricchi, cambiando status sociale in Oriente e America Latina dopo secoli di sofferenze. Ma nessuna istituzione, nessuno stato, nessun sistema economico, nessuna dottrina politica offriva riparo davanti alla crescita tumultuosa, e alla sua tumultuosa versione dell'azzardo "turbofinanziario". Fallito l'ordine di Bush padre, esaurita la globalizzazione del boom di Clinton e impantanata a Kabul e Baghdad l'America di Bush figlio, ilondo alla soglia della crisi è confuso e senza progetto politico.
L'Europa ha bocciato la sua Costruzione e rinunciato a crescere isieme come comunità, non solo mercato. Nello storico discorso all'universita'di Humboldt di Berlino del 2000 il ministro degli Esteri tedesco Joschka Fischer lo dice con lietezza: l'euro è un progetto politico. Una comune valuta per un comune organismo politico del continente. Spenta questa strategia con il no alla Costituzione e lo shock seguito all'allargamento affrettato dell'Unione, l'euro non è più un
"progetto" di idee e politica, solo una monetà. Il dollaro, orfano di Bretton Woods ma anche dell'egemonia multipolare di Bush padre e di quella soft di Clinton, resta rifugio dei cinesi ma non è più la bandiera di un mondo. Qualcuno da Pechino sogna una divisa internazionale,moneta sonante di un ulteriore e auspicato ordine mondiale dopo la crisi. Ma la verita' è che il pianeta resta senza ordine né potenza egemonica e stabilizzante. Nel settembre 2008 i due candidati alla Casa Bianca, Obama e McCain, sono in volata, le curve dei sondaggi a poca distanza. È la crisi a spezzare l'equilibrio e far vincere il democratico, ma la buona volontà di Obama è per ora solo speranza, non poco in um'era che non sa più sperare, ma non ha ancora un progetto capace di economia vera. Questo vuoto ha reso devastante la crisi del 2008, che qualcuno calcola come peggiore dei danni delle due guerre mondiale in fila. Non la fine del mercato, di cui pure perfino il Financial Times ha discusso con serietà, né la fine del capitalismo o del modo di produzione post moderno o dell'impero tecnologico criticato da Severino. È la coscienza drammatica che senza un quadro d'ordine planetario - la storia dirà presto se condiviso o imposto, occidentale, orientale o multipolare, ccr istituzioni internazionali o attraverso gli stati classici - la somma dei desideri degli individui e la meccanica della crescita può indurre al caos.
La foga con cui economisti e altri studiosi si sono affrontati in questo dibattito de il Sole 24 Ore, magistralmente aperto e chiuso da Guido Tabellini e con interventi internazionali di eccellenza, darà spazio e alimento a ogni teoria corrente, keynesiani ed anti, regolatori e liberisti, classici e innovatori. Ciascuno troverà ràdici alle proprie teorie. Se manca ancora un punto di equilibrio condiviso è perché il quadro teorico seguito alla fine della Guerra Fredda resta in movimento. Il mondo non ha una sintesi né di idee, né di impero, né di forza consolidate Churchill propose
l'esercito comune europeo sessanta anni fa: non ce n'è ancora tràccia ; e restiamo in balia delle nostre pulsioni alla crescita, moltipllcate e confuse dal pantografo globale. Dal dibattito innescato da Tabellini e irradiato da tante firme insigni cito solo l'esemplare saggio del presidente Carlo Azeglio Ciampi che si chiede amaro, perché ci siam smarriti? Non chiedete la risposta solo agli economisti, né solo date a loro la colpa. La responsabilità è politica e storica, collettiva e individuale, di ciascuno di noi e dei nostri leader, tutti scolari confusi all'alba del XXI secolo. Come diceva Orazio nella sua Epistola all'amico tormentato Bullazio, 5trenua nos exercet inertia: navibus atque quadrigis petimus bene vivere... Un'inerzia irriducibile ci frustra e andiamo per mari e terre inseguendo la felicità...
gianni.riotta@sole24ore.com
II Sole 24 Ore LEZIONI PER IL FUTURO
orso castano : lucido l'articolo , di Gianni Riotta, introduttivo al libro , che andrebbe letto tutto. Come si suol dire "Buon sangue non mente"; l'ex direttore della Stampa mostra tutta la sua capacita' di analisi e di interpretazione degli avvenimenti economici finanziari dei nostri giorni.
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