I servizi, in questa direzione, devono assumere una funzione di supporto e di catalizzatore. Interventi di rete, sviluppo di opportunità e possibilità di scelta, presa in carico appropriata e personalizzata, capacità di ascolto e di dare voce, flessibilità degli interventi, esserci nei tempi lunghi, saper riconoscere e valorizzare la salute dentro ed oltre la malattia, essere accessibili, presenti e coinvolti diventano strumenti / percorsi finalizzati ad una clinica "recovery-oriented" (9). II concetto di recovery, in psichiatria, è alla base del superamento del pessimismo clinico e prognostico, possibile peraltro solo nella consapevolezza della necessità di innovazione dei paradigmi, degli strumenti, della organizzazione dei servizi e della stessa ricerca (10). In tal senso la riflessione maggiore deve riguardare la ridefinizione del concetto di guarigione: "In passato, la pratica della salute mentale era ispirata dal convincimento che i soggetti affetti da gravi malattie mentali non potessero guarirne.... La ricerca, nel corso degli ultimi trenta o quarant'anni, ha sconfessato tale convinzione, dimostrando che per molti soggetti è possibile raggiungere l'obbiettivo della guarigione. Molte persone con gravi malattie mentali hanno reso pubbliche le proprie esperienze e rivendicano la necessità di una evoluzione dei servizi orientata in tale direzione" (11). E cosa aiuta a guarire se non la convinzione da parte, di chi cura, che nella relazione va ritrovato il nuovo senso del ri-trovamento? Ricercare e sostenere le parti sane, coinvolgere il paziente in una relazione di reciprocità, supportare le scelte, mantenere viva la speranza, favorire la partecipazione. E ancora: pensare a servizi "coraggiosi", che rischiano di fallire ma non negano opportunità e tentativi, che non bloccano speranze e aspettative, che ricercano la salute nella malattia. E questo è avere il coraggio di porsi delle domande sull'etica di che cosa si fa, nei nostri ambulatori, nei nostri studi, nei nostri reparti? Per non concludere II nostro cammino di pensiero ritorna così al concetto iniziale di etica della cura, nel momento in cui l'attenzione era posta alla necessità di vigilare sui diritti fondamentali della persona, in tutte le sfaccettature della medicina, in psichiatria e in psicologia soprattutto. Perché il pregiudizio e la categorizzazione sono sempre inagguato, anche laddove è in discussione il diritto di autodeterminazione di una persona con grave insufficienza renale o cardiaca o respiratoria - solo per nominare situazioni eclatanti ma non rare -, ma si fa più scivoloso, negante, ideologico quando si parla di situazioni limite, che forse paradossalmente richiamano sia le difficoltà psicologiche nelle difficili scelte - per es. di inizio e fine vita - sia le malattie della mente. E' per questo, usando uno sguardo ampio e 'complice', che crediamo utile farci guidare dall'invito di Benasayag e Schmit verso una clinica di/sui confini, una clinica del legame, dell'accoglienza e dell'ascolto, dell'affettività e del desiderio, dell'impegno e del coraggio.(12) BIBLIOGRAFIA (1) Spinsanti S., Petrelli F. Scelte etiche ed eutanasia, Milano, ed. Paoline, 2003 (2) Battaglia L., La tutela dei soggetti deboli: aspetti di bioetica, in La follia sociale, AA.VV., Genova, Libe-rodiscrivere, 2005 (3) Fried L.P., Conference of thè physiologic basis of fragilty, Aprii 28, 1992, Baltimore, Maryland, U.S.A., Introduction, Aging (Milano), 1992,4:251-2 (4) Ferrandes G., Ferrannini L., Etica di fine vita ed etica della cura: riflessioni e domande, in Psicogeriatria, n.2,2008,p.7-10 (5) Constati C.flandbuch der Medizinischen Klinik, in Stanghellini G., Antropologia della vulnerabilità, Milano, Feltrinelli Ed, 1997 (6) Gislon M.C, Manuale di psicoterapia psicoanalitica breve, Bergamo, Dialogos Ed.,2005, p.27 (7) Nussbaum M, Giustizia sociale e dignità umana. Da individui a persone, trad. it., Bologna, il Mulino, 2002 (8) Blais L., // soggetto che non è, e la verità (che non è) creduta, Rivista Sperimentale di Freniatria 2005; vol.CXXIX; allegato al fascicolo 3 (9) Ferrannini L., I servizi e gli operatori tra continuità ed innovazione, in Psichiatrìa di Comunità, n.4, 2008, p.181-4 (10) Slade M. e Hayward M, Recovery, Psychosis and psychiatry: research is better then rhetoric, in Acta Psych. Scand, 2007 (11) Farkas M., La concezione attuale della guarigio-ne:che cos'è e qual'è il suo significato nei servizi, in World Psychiatry, 2007, 6: 4-10 (12) Benasayag M., Schmit G, L'epoca delle passioni tristi, Milano, Feltrinelli Ed., 2004 orso castano : in chiusura l' articolo si fa piu' aperto, si allontana un po' dai sentieri della clinica psichiatrica, si avvicina ad altre patologie piu' organiche che con grande probabilita' portano con se' sofferenza psicologica, assolutamente e non necessariamente clinica, quindi non etichettabile e non trattabile con i sistemi tradizionali psichiatrici, e lascia intravedere che un possibile campo di intervento potrebbe essere , ad esempio, quello dell'adolescenza invischiata, suo malgrado, in sistemi familiari frantumati, laceranti, conflittuali , con figure genitoriali labili o periferiche, in sostanza soli di fronte ad una progettualita' esistenziale sempre piu' complessa, nonostante questa societa' porti un certo livello di benessere materiale,( ma sarebbe piu preciso dire di oggetti che simboleggiano nella cultura corrente "il benessere"), insomma una psichiatria che finalmente si avvicini ai problemi (come giustamente dice il titolo dell'articolo) dell'etica, dei valori, delle scelte esistenziali distanti dalla clinica ma tremendamente importanti. E' qui' che , probabilmente, la psichiatria , con la sua non piccola (anzi!!) esperienza si giochera' la sua partita in futuro.....
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