Un'impresa senza precedenti». Il tono con cui Ibm ha presentato al mondo il suo nuovo progetto di "cognitive) computing" non lascia spazio a1, equivoci: i ricercatori di Big Blue - in collaborazione con cinque prestigiose università - proveranno a costruire un computer che simuli il comportamento del cervello umano. Raccogliendo così una sfida che viene da lontano e che da tempo eccita le menti più fervide. «Perfino i pionieri della rivoluzione informatica come George Boole, Alan Turing e John von Neumann furono profondamente interessati al funzionamento del cervello e a come fosse possibile emularlo», dice a Nòva24 Dharmendra Modha, responsabile Ibm del team dedicato al cognitive computing. Fu la stessa casa di Armonk, nel 1956, a effettuare per la prima volta al mondo una simulazione corticale su larga scala (512 neuroni). Di recente, servendosi degli algoritmi di calcolo cognitivo e dell'enorme potenza di elaborazione del supercomputer «Blue Gene», Ibm ha simulato in tempo (quasi) reale il cervello di un piccolo mammifero. Ma questa volta si punta all'uomo, alla sua mente, al suo modo unico di pensare e ragionare. Un cambio di prospettiva epocale. Finora confinato a qualche film di fantascienza e poco più. Ora si fa sul serio. Ci si prova davvero. A testimoniarlo, cinque importanti università che hanno aderito al progettò (Stanford, Columbia, California-Merced, Wisconsin-Madison e Cornell), cinque milioni di dollari messi sul piatto dalla Darpa (Defense advanced research projects agency) per la sola prima fase dell'iniziativa Sy-Napse (Systems of Neuromor-phic Adaptive Plastic Scalable Electronics) e l'entusiasmo con cui Modha & Co. rivendicano l'unicità della sfida: «La mente ha la misteriosa capacità di integrare informazioni da diversi sensi quali vista, udito, tatto e olfatto e può creare facilmente categorie di spazio, tempo e interrelazioni - dice il manager Ibm -. Attualmente non c'è alcun computer che possa anche solo lontanamente avvicinarsi alle capacità della mente umana». Non c'è. Ma faremo in modo che ci sia. È tempo di provarci. Questo il messaggio che emerge a chiare lettere dal team di Big Blue. Già, ma perché proprio ora? «Ci sono tre ragioni per cominciare proprio adesso - dice a Nòva24 Modha -. Innanzitutto, per i progressi della neuroscienza, disciplina che sembra ormai matura e che offre una quantità di dati sufficiente a formulare ipotesi sul funzionamento e le dinamiche del cervello. Poi per il supercomputing, ora pronto a intraprendere simulazioni su larga scala. Infine, per le nano-tecnologie. Si sono evolute a tal punto da metterci in grado di riversare nell'hardware le principali funzioni computazionali delle sinapsi e dei neuroni, riuscendo a competere con la potenza e le dimensióni del cervello». E proprio le nanotecnologie sembrano essere la chiave di volta per il successo dell'esperimento: alla grande concentrazione di sinapsi e neuroni presenti nel cervello, infatti, si contrappongono il suo basso consumo energetico e le sue dimensioni ridotte. Ricorrendo ad appositi dispositivi in nanoscala, tali performance sono oggi emulatóri. Fino a che punto, vien da chiedersi. È possibile - cioè - che superino quelle umane, rendendo una macchina più intelligente dell'uomo e magari, un giorno, capace di sostituirlo? «Non potremmo mai avvicinarci completamente alla complessità e alla sofistìcatezza della nostra mente - chiarisce Modha -. Il cervello umano è una prodigiosa meraviglia della Natura con una superficie di soli 2.400 centimetri quadrati, uno spessore di circa 3 millimetri e un consumo pari a 20 Watt di potenza. Ma - al di là dell'abbondanza di sinapsi e neuroni - nasconde segreti finora mai svelati da far apparire palesemente inadeguati i modelli relativamente semplici attraverso i quali oggi tentiamo di simularne il funzionamento. Concettualmente, qualsiasi simulazione o implementazione hardware è sempre e soltanto un'approssimazione (una specie di cartone animato) basata su determinati presupposti». «Don't panic», dunque. Non stiamo andando verso una società di computer pensanti. Nessun rimpiazzo dell'uomo, nessuna sfida alla sua intelligenza. Solo il tentativo di «emulare le funzioni computazionali della mente». Solo e soltanto quelle. Individuando un nuovo paradigma computazionale che - rompendo quello di macchina programmabile convenzionale - indirizzi l'umanità verso la risoluzione di problemi e bisogni tecnologici reali. Primo fra i quali, la crescita esponenziale dei dati digitali: +60% all'anno, secondo Idc. Un flusso d'informazioni finora in gran parte inutilizzato per l'impossibilità di analizzarlo e reagire a esso in tempo reale. Problema che il cognitive computing, consentendo tanto alle imprese quanto ai singoli di gestire le ambiguità e rispondere in relazione al contesto, potrebbe risolvere da par suo attraverso decisioni automatiche, istantaneee, soprattutto, "intelligenti". E il momento, dice Modha, è particolarmente propizio: «Viviamo nel periodo ideale per iniziare a costruire chip cognitivi. Il processo di costruzione ci porterà faccia a faccia con nuove incognite. Saranno queste a determinare gli sviluppi futuri del cognitive computing».
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