da una ricerca di M. Malagoli Togliatti, A. Lubrano Lavadera, L. Caravelli, F. Villa , sulla rivista Minori Giustizia n°2/09 ,
.............................................. Discussioni e considerazioni in merito ai risultati principali L'obiettivo principale della ricerca era quello di esplorare le modalità di affidamento dei figli minori in caso di separazioni giudiziarie, andando ad indagare le richieste presentate dai genitori e quanto stabilito e motivato dai giudici del Tribunale ordinario di Napoli negli anni 2005 e 2006/2007. La scelta di esaminare le sentenze emanate in quei periodi deriva dal fatto che questi rappresentano un momento interessante per comprendere cosa sia avvenuto e come sia stato gestito il passaggio dalla vecchia alla nuova normativa in materia di affidamento dei figli minori. Data la lunga durata della fase istruttoria dei procedimenti sentenziati sia prima che dopo l'entrata in vigore della legge sull'affido condiviso, non ci si poteva attendere un sostanziale cambiamento e una immediata applicazione tra il prima e il dopo: in entrambi i campioni esaminati, infatti, l'istruttoria dei procedimenti giudiziali è avvenuta prima dell'introduzione della legge n. 54/2006. Ma non ci sono solo elementi relativi ai tempi del lavoro dei giudici, bisogna considerare che i cambiamenti nella prassi richiedono tempi più lunghi e possono addirittura non essere significativi se non vi è un mutamento a livello culturale nelle rappresentazioni sociali relative al fenomeno stesso da parte dei diversi protagonisti della vicenda separativa. Tali questioni sono comprensibili se pensiamo che l'approvazione di questa, come di ogni nuova legge, coincide con un momento molto delicato di cambiamento non solo a livello della prassi degli operatori della giustizia, ma anche a livello della cultura che nell'ambito sociale riguarda i comportamenti che una certa legge arriva a regolamentare. Nel caso specifico l'attenzione a mantenere una cogenitorialità anche dopo la separazione coniugale era stata recepita già nella legge sul divorzio del 1987 (legge n. 74/1987) dove si parlava esplicitamente dell'affido congiunto come modalità utile a tutelare l'interesse del minore. Nella dottrina e nella prassi tale forma di affidamento, salvo eccezioni particolari, era ed è stata applicata solo a condizione di assenza di gravi contrasti tra i genitori; erano di ostacolo la tenera età dei figli, la lontananza delle abitazioni dei due genitori o il mutamento della residenza di uno dei genitori o la sua convivenza con altro partner. La scarsa applicazione dell'affido congiunto sembrava legata al fatto che tale istituto rendeva più difficile il compito del giudice e soprattutto ai pregiudizi che gravavano attorno allo scioglimento del matrimonio come fallimento del progetto congiunto della genitorialità. Nel corso degli anni tali pregiudizi si sono andati smussando, con il contemporaneo affermarsi del principio della bigenitorialità tanto che gli affidamenti congiunti sono passati dal 2.8% del 1987 al 20% del primo trimestre 2006 (ovvero subito prima dell'entrata in vigore della nuova normativa), seppur con notevoli differenze tra il Nord e il Sud Italia. Contribuivano all'aumento in numero assoluto e in percentuale delle forme di affido congiunto soprattutto le sentenze relative alle separazioni consensuali, ad indicare un cambiamento da parte non solo dei giudici e degli avvocati, ma anche e forse soprattutto della cosiddetta "gente comune". Con l'introduzione della legge n. 54/2006 si è "accelerato" e in un qualche modo "indotto" un cambiamento la cui portata deve essere attentamente indagata. Per comprendere, comunque, la portata dei cambiamenti introdotti dalla nuova legge verso una cultura della bigenitorialità, nelle richieste delle partì e dei loro legali, nelle modalità di condurre l'istruttoria da parte dei giudici e di giungere alle conclusioni sarà necessario ripetere l'indagine tra due/tre anni in modo da seguire tutto l'iter di procedimenti giudiziari iniziati dopo l'introduzione della nuova normativa. Ritornando alla nostra ricerca notiamo che nel complesso i dati sembrano evidenziare una sostanziale continuità nei due periodi esaminati: nello specifico la parte preliminare relativa ai dati procedurali evidenzia una durata molto lunga dei procedimenti giudiziari,indipendentemente dall'anno di emissione della sentenza. La durata è lievemente inferiore nei procedimenti che sono diventati da giudiziali a consensuali e si sono conclusi nel 2006/07, probabilmente il raggiungimento di un accordo tra i coniugi può aver permesso di abbreviare il procedimento stesso ed avviarlo alla sua conclusione. Una ipotesi che potremmo fare riguarda il fatto che l'introduzione della nuova normativa può aver indotto i coniugi ad accordarsi in merito all'affidamento dei figli, trovando l'accordo sulle questioni economico-patrimoniali che sono, in genere, il motivo di conflitto presente in tutte le separazioni giudiziarie. Le fasi del ciclo vitale delle famiglie coinvolte nei procedimenti di separazione giudiziali maggiormente rappresentate sono quelle delle famiglie con figli in età scolare e preadolescenziale. Un dato che appare in continuità con altri lavori analoghi già citati in precedenza è l'aver riscontrato come la maggior parte dei contenziosi tra i coniugi riguardi l'aspetto economico-patrimoniale e molto meno l'affidamento dei figli. I casi di sentenze di separazioni giudiziali di entrambe le annualità in cui i figli sono contesi, anche nel Tribunale ordinario di Napoli, rappresentano una percentuale esigua rispetto alla maggioranza dei contenziosi esaminati in cui il conflitto si alimenta prevalentemente di altri contenuti. Ciò non ci deve comunque portare a sottostimare il coinvolgimento dei figli in quelle separazioni conflittuali senza una esplicita contesa, dove il conflitto è focalizzato su contenuti quali l'area economica, quella sociale e quella legale. Come era prevedibile, in entrambe le annualità prevalgono le richieste di affidamento esclusivo da parte di un genitore, in quanto tali richieste sono in tutti i casi precedenti all'entrata in vigore della nuova normativa. L'affidamento congiunto/condiviso è richiesto in una percentuale molto esigua di casi. Questi dati indicano che, nell'ambiente napoletano, la legge n. 54/2006, almeno rispetto ai genitori, si è inserita in un contesto culturale in cui con la separazione vengono meno i concetti di genitorialità condivisa e di bigenitorialità, ovvero sembra venir meno il principio per cui i figli hanno il diritto di mantenere una continuità affettiva ed educativa con entrambi i genitori. Il dato fa riflettere anche alla luce dell'età media dei figli presenti nel campione, ovvero figli in età scolare e preadolescenti, quindi non così "piccoli" da far prevalere lo stereotipo di madre che è specializzata nell'accudimento, come figura di riferimento primario. Del resto anche le ricerche in campo psicologico hanno evidenziato l'importanza delle relazioni triadiche (genitori-figlio), accanto a quelle diadiche (genitore-figlio) nello sviluppo dei minori. I processi triadici in cui il minore è coinvolto sono fondamentali nella costruzione del senso di identità e della sicurezza emotiva Andando ad analizzare le motivazioni che sottendono alle richieste avanzate al giudice nell'ambito del contenzioso sull'affidamento dei figli, esse sembrano rimandare alla volontà di favorire l'interesse del minore inteso come tutela da un genitore inadeguato. Anche in questo caso si rileva la difficoltà a pensare all'interesse del minore come alla necessità di mantenere una relazione stabile e continuativa con entrambi i genitori e la prevalenza di un approccio monogenitoriale. Del resto queste "resistenze" potrebbero essere un fenomeno attribuibile allo specifico contesto campano ed alla tipologia della conflittualità presente nelle sentenze esaminate. Per rispondere a tale domanda sarà necessario confrontare i risultati di questa indagine con quelli ottenuti negli altri tribunali in cui è stata svolta la ricerca in quanto i primi dati che sono pervenuti ci indicano differenze territoriali interessanti. Anche il dato relativo all'affidamento dei figli sembra andare in questa direzione, con i giudici che si trovano a decidere su procedimenti iniziati prima della nuova normativa, mantenendo il trend di affidamento alla madre come scelta principale, sia nelle sentenze del 2005 che in quelle del 2006/2007. Nonostante l'affidamento condiviso in base alla legge n. 54/2006 dovrebbe rappresentare, salvo gravi motivi contrari all'interesse dei minori, la regola in materia di affidamento dei minori, nella maggior parte dei casi esaminati nel 2006/07 esso rappresenta ancora una scelta residuale anche per i giudici, probabilmente perché tale scelta risulterebbe inappropriata in procedimenti caratterizzati negli anni da una così radicata cultura della monogenitorialità e da una visione tradizionale dei ruoli parentali che attribuisce alla madre il ruolo sociale di "genitore psicologico" attento ai bisogni emotivi, affettivi e responsabile della educazione dei figli, ed al padre il ruolo "strumentale" di gestione economica della famiglia. Comunque la tendenza al cambiamento comincia ad essere visibile anche nella nostra ricerca: l'affidamento condiviso è disposto più frequentemente nelle modifiche delle condizioni di separazione del 2006/07, ovvero quando a chiederlo sono entrambi i genitori. Gli stessi magistrati, in tal senso, potrebbero rischiare di rimanere ancorati al "pregiudizio" che ha accompagnato il difficile percorso della legge sull'affido condiviso e la carente applicazione della legge sull'affidamento congiunto, secondo cui il presupposto necessario per disporre l'affido congiunto/condiviso sia l'assenza di conflittualità tra le parti25. Il presupposto che accompagna. nelle intenzioni del legislatore, la legge n. 54/2006 è invece quello che si possa proporre l'affidamento condiviso anche alle coppie conflittuali, proprio con l'intento di porre fine al circolo vizioso della conflittualità e stimolare una collaborazione per una migliore gestione dei rapporti tra gli ex-coniugi. La scelta di limitare l'affidamento monogenitoriale ai casi residuali di inidoneità genitoriale capovolge completamente la prassi in vigore. Tuttavia, le resistenze verso l'accettazione di questo cambiamento radicale potrebbero comportare un paradossale incremento della conflittualità proprio nel tentativo di dimostrare l'inadeguatezza dell'altro genitore, nonostante la legge preveda "sanzioni" per il genitore che si faccia promotore di false accuse. Questo discorso apre anche ad altre considerazioni relative all'importanza della prevenzione e di interventi psico-giuridici non collusivi con la logica della conflittualità, dato che a livello psichico le "riparazioni" dei danni di aspre contese possono essere complesse e spesso restano parziali. Si pensi, ad esempio, ai casi di Sindrome di Alienazione Genitoriale o di sottrazione di un minore o di false accuse di abuso e maltrattamento: in queste situazioni i tempi giudiziali non coincidono con quelli psichici e possono contribuire a cristallizzare situazioni e fratture generazionali difficilmente modificabili a meno di ulteriori traumi per i minori (l'affidamento del minore al genitore "vittima" con cui il minore è in conflitto potrebbe rappresentare un'ulteriore rottura per il minore). Da notare, ancora, come primi risultati della nostra ricerca che rispetto alle motivazioni rilevate nelle sentenze pubblicate dopo la legge n. 54/2006 emerge una maggiore attenzione al minore. Continuano ad essere scarsamente rappresentate motivazioni che considerino la relazione del figlio con i genitori e tra i genitori. È interessante la totale prevalenza della motivazione "accordo tra i coniugi" nelle modifiche consensuali del 2006/2007 che può essere letta proprio alla luce della nuova normativa in materia di affido condiviso che. a differenza di quella precedentemente in vigore (in cui era stabilito che :ì giudice dovesse tener conto dell'accordo delle parti), afferma che "il giudice [...] prende atto, se non contrari all'interesse dei figli, degli accordi intervenuti tra i genitori" (art. 155, comma 2, cod. civ.). Al momento della rilevazione non sono stati riscontrati cambiamenti significativi rispetto alle modalità di incontro tra figlio e genitore non affidatario/non coabitante. Dall'altra parte non si vuole sottovalutare quello che al momento e' solo un trend per cui nelle giudiziali del 2006/2007 e nelle modifiche delle condizioni dello stesso anno prevalgono rispettivamente le modalità "altro" ed "ampio". In maniera ottimistica si potrebbe ipotizzare che in futuro non si parli più di "diritto di visita" - che di per sé implicava una situazione di svantaggio del genitore non affidatario -, ma si chieda al giudice di determinare i tempi e le modalità della presenza dei figli presso ciascun genitore in modo da garantire un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi.Un ulteriore aspetto della ricerca riguardava il ruolo di eventuali accertamenti specialistici. In questo caso l'obiettivo non era quello di evidenziare eventuali cambiamenti in seguito all'introduzione della nuova normativa, in quanto gli accertamenti specialistici si collocano nella fase istruttoria, con-clusasi per tutti i casi esaminati prima dell'emanazione della nuova normativa. I risultati, comunque, hanno messo in luce un ricorso moderato ad accertamenti specialistici quali le consulenze tecniche d'ufficio o le indagini dei servizi sociali. Si può ipotizzare che i giudici facciano riferimento ai servizi sociali per quelle situazioni familiari economicamente più svantaggiate e alla consulenza tecnica di ufficio nei restanti casi. L'analisi delle sentenze in cui vi è il ricorso alla consulenza tecnica ha messo in evidenza che per il 46.6% dei casi essa è stata richiesta nei casi di contesa dei figli, mentre solo nel 19% delle indagini psicosociali è presente una contesa esplicita. Si potrebbe ipotizzare anche che il giudice faccia ricorso ad un mezzo istuttorio come la consulenza tecnica di ufficio nei casi di contesa chiara, mentre il ricorso alle indagini psicosociali è pensato soprattutto quando necessitano informazioni più dettagliate circa il contesto ambientale e sociale in cui il minore si svilupperà. In più, nonostante la scarsa numerosità dei casi, si è riscontrato un lieve aumento di affidamenti condivisi decisi a seguito di una consulenza tecnica d'ufficio. Tale dato può far supporre che una maggiore conoscenza delle dinamiche relazionali e delle risorse della famiglia faciliti la scelta di soluzioni che permettono di valorizzare le risorse del nucleo familiare e la responsabilità cogenitoriale. In tal senso ci sembra importante ribadire la necessità in questi casi di integrare categorie psicologiche e giuridiche e quindi di un lavoro coordinato tra giudici ed esperti psicologi nelle situazioni in cui sono coinvolti i minori. Negli Stati Uniti, ad esempio, sono stati strutturati diversi progetti di intervento per le famiglie in separazione che prevedono la partecipazione di diverse figure professionali - magistrati, avvocati, psicologi - all'inizio dei procedimenti legali di separazione (Divorzio Collaborativo). In questa prospettiva abbiamo evidenziato che la consulenza tecnica di ufficio rappresenta l'unico momento in cui si ascolta il minore: nella nostra ricerca il giudice sia nelle separazioni giudiziali che in quelle di modifica delle condizioni non ha mai ascoltato il minore da solo, ma sempre tramite l'esperto. Crediamo che la presenza dell'esperto attualizzi il diritto del minore ad esprimere meglio le sue inclinazioni e ad essere più consapevole dei cambiamenti che influenzeranno l'evoluzione della sua vita. Questo sembra confermare numerosi riscontri e dati presenti in letteratura che spiegano come il giudice eviti di ascoltare il minore nel contesto giudiziario o per una forma di rispetto nei confronti del minore o per timore di incompetenza o per la consapevolezza delle triangolazioni che i figli potrebbero subire dai genitori.Raramente vi è la prescrizione o il suggerimento di interventi per la famiglia, sia nel 2005 che nel 2006/07; ancora una volta i dati evidenziano che tali interventi sono suggeriti e/o prescritti soltanto in seguito ad una consulenza tecnica d'ufficio. Tale fatto potrebbe essere spiegabile secondo due ipotesi: da una parte si potrebbe considerare che il giudice richieda una consulenza tecnica nelle situazioni più conflittuali e problematiche che successivamente necessitano di interventi di sostegno e di controllo della genitorialità. Dall'altra però si deve anche considerare l'ipotesi secondo cui la presenza stessa di una consulenza tecnica, quindi di un esperto che utilizza categorie valutative differenti da quelle del contesto giudiziario, permette di rilevare difficoltà e problematiche presenti nelle situazioni familiari. La necessità di promuovere una diversa cultura Premesso che i dati emersi non possono essere generalizzabili in tutto il territorio nazionale e sono riferibili al contesto campano, questa ricerca ha portato ad importanti considerazioni. Nel periodo di passaggio tra la vecchia e la nuova normativa in materia di affidamento dei figli, il contesto culturale in esame sembra essere ancora ancorato ad una visione tradizionale rispetto alla divisione dei ruoli genitoriali e, di conseguenza, caratterizzato da una accoglienza ancora critica e per certi versi "residuale" dei principi e degli obiettivi della legge sull'affidamento condiviso. Poiché il rischio di un'applicazione coatta dell'affidamento condiviso porterebbe probabilmente ad un acuirsi della conflittualità tra i coniugi ci sembra importante progettare interventi psico-giuridici volti all'informazione e alla promozione dei principi della bigenitorialità e cogenitorialità su cui si fonda la legge stessa. Nel nostro Paese, a parte singole e sporadiche realtà locali, sembrano mancare interventi coordinati a livello nazionale rispetto all'accompagnamento delle coppie che decidono di separarsi attraverso percorsi di aiuto e sostegno. La stessa mediazione familiare, oltre a non essere omogeneamente diffusa sul territorio, non rappresenta la panacea degli interventi soprattutto se effettuata in fase "riparativa" e non "preventiva". La sfida per gli operatori psico-giuridici è dunque quella di promuovere una cultura della condivisione della genitorialità a prescindere dalla fine del legame coniugale che tuteli l'accesso dei figli ad entrambi i genitori e soprattutto eviti che il minore divenga oggetto di contesa - diretta o indiretta - tra i genitori. Riteniamo importante replicare il presente lavoro a distanza di almeno 2/3 anni per avere un quadro più chiaro della ricaduta della legge n. 54/2006 ed il confronto dei dati attuali con quelli provenienti dalle altre realtà italiane in cui è in corso la ricerca al fine di individuare dei trend a livello nazionale. Altresì sarà interessante confrontare le prassi dei tribunali con le opinioni dei diversi protagonisti della vicenda separativa per capire quanto questi due piani siano interrelati nella determinazione dei fenomeni stessi.
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