Si chiama dipendenza patologica professionale, una malattia pericolosa che, se non curata, può portare anche a soluzioni estreme. E spesso proprio i dottori non cercano aiuto e non si curano. Non è un caso che, in tutto il mondo, il tasso di suicidi tra i camici bianchi è due volte superiore a quello della popolazione generale tra gli uomini e addirittura quattro volte tra le donne. Numeri da brividi, che hanno origine proprio dalle dipendenze legate alla professione."Secondo quanto registrato in Spagna, Paese molto simile a noi anche nel sistema sanitario, i medici che trovano rifugio nell'alcol, nelle droghe e nel gioco d'azzardo, sono circa il 12%. Di questi, l'8% ha problemi con l'alcol". A riferirlo è l'allergologa dell'ospedale Sant'Anna di Torino Paola Mora, responsabile del Centro studi Albert Schweitzer, che ha organizzato un congresso nazionale sul tema dal titolo 'Ardere, non bruciarsi', in programma sabato alle Molinette di Torino. Un appuntamento che porrà l'accento proprio su quanto poco si è fatto e si sta facendo in Italia per affrontare questa emergenza. "Nel nostro Paese - spiega Mora - non si è fatto alcun tipo di indagine in questo senso. Non a caso i dati che abbiamo ci arrivano da oltreconfine. In Spagna, tanto per fare un esempio, da 10 anni il loro Ordine dei medici ha iniziato un programma specifico che si chiama 'El Paime'. Un programma dal quale è emerso che circa il 12% dei 165 mila camici bianchi spagnoli soffrirà almeno una volta in carriera di queste dipendenze. Stiamo parlando di circa ventimila professionisti". Adottando questa formula anche in Italia, sarebbero circa 40 mila i camici bianchi italiani alle prese con questi problemi. A finire nel tunnel della dipendenza sono soprattutto i medici più bravi e stakanovisti. "A cadere nella trappola - spiega Mora sono proprio i camici bianchi che dedicano tutta la loro vita al lavoro. Sempre pronti a correre in ospedale e sostenere turni massacranti". Professionisti 'scoppiati' che iniziano a essere depressi e a rifugiarsi nell'alcol o nella droga o in entrambi. Per far fronte a questo tipo di problemi ci si dovrebbe rivolgere a strutture assistenziali pubbliche "alle quali il medico non può rivolgersi, perché - spiega l'esperta - si ha paura di essere riconosciuti e di avere ripercussioni sulla carriera". Una vera emergenza che da noi sembra ignorata, ma non lo è negli altri Paesi. "Negli Usa - spiega - esiste un programma federale che dà ottimi risultati.Il 75% dei medici riesce infatti a risolvere i propri problemi". In Italia, secondo l'esperta, buio fitto o quasi. "In Piemonte - sottolinea Moro - il Centro torinese di solidarietà, l'Adimed (Associazione difesa del medico) e lo Schweitzer hanno elaborato il primo progetto destinato al personale sanitario in difficoltà". Un progetto ancora rimasto sulla carta. "Per renderlo operativo - conclude - chiediamo aiuto alle Istituzioni e alla Federazione nazionale degli Ordini dei medici. E anche all'Istat, affinché si cominci a fare delle rilevazioni anche da noi"
orso castano: il comportamento del "Rottamatore" "va a morire ammazzato" non e' qualificabile oltre che ingiustificabile. Attendiamo che i sindacati medici aprano finalmente le procedure per verificare l'incostituzionalita' dei suoi decreti!!
Nessun commento:
Posta un commento