Invece la situazione è ben diversa: l'uomo perde la sua capacità di autodeterminazione e diviene un consumatore passivo, condizionato nei suoi giudizi e valori da organizzazioni manipolatrici; resta così vittima sia dell'eccedere dei bisogni, a causa di un sistema industriale che cerca la crescita indiscriminata dei suoi prodotti, sia della complessità delle istituzioni che si occupano della produzione, ma che finiscono per accentuare la dipendenza dell'uomo ordinario dallo specialista.
"Descolarizzare" la società
La scuola non fa eccezione: anzi, il sistema scolastico finisce con l'imporre un modello di apprendimento standardizzato il cui programma non è che la riproduzione dei valori dell'èlite dominante. Il vero apprendimento - secondo Illich - dovrebbe avvenire attraverso il contatto diretto e l'esperienza, in un libero gioco di influssi sociali e culturali, senza che la scuola incanali tutto su binari precostituiti. Invece la scuola tende a monopolizzare il processo di formazione restando autoritaria, burocratica, passivizzante al punto da incrementare la disuguaglianza sociale. Infatti, secondo Illich, la scuola estrania i poveri dalla loro cultura, diffondendo i modelli di vita della classe media, inducendo falsi bisogni e conseguenti frustrazioni. Illich propone una descolarizzazione per sottrarre l'educazione a un canale troppo manipolabile e restituirla ad un approccio meno impersonale. L'istruzione andrebbe restituita all'azione pedagogica meno professionalizzata, come può essere nell'ambito delle relazioni interpersonali.
Anche il sistema sanitario è una delle maschere della società distruttiva: prendendosi a carico l'individuo, gli sottrae ogni possibilità di controllo del sistema stesso. Si diffondono angoscia, insicurezza e bisogno di dipendenza: c'è una nemesis medicale, per cui il servizio espropria il volere dell'uomo e lo mantiene in uno stato di allerta a vantaggio del sistema industriale. La "medicalizzazione della vita" è un eccesso di organizzazione medica che serve soprattutto agli interessi degli addetti del settore................
Convivialità invece di esistenze manipolate
Celebre è anche la critica illiciana al sistema dei trasporti: esso assorbe all'utente medio più tempo di quanto l'aumento virtuale della velocità non faccia guadagnare. Più la quantità di energia consumata è abbondante, più si produce dipendenza dalla tecnocrazia, e l'individuo si riduce a utente di servizi ai quali non si può sottrarre. Ma il trasporto meccanico, superata una certa soglia di velocità, satura lo spazio di strade e vetture, sottraendo alla gente quel tempo che prometteva di dare. Questi sistemi pervadono ogni spazio vitale manipolando le esistenze secondo le esigenze di istituzioni ipertrofiche.
Illich pensa invece alla creazione di una situazione sociale in cui gli individui possano utilizzare in forma conviviale gli strumenti idonei a creare beni e servizi. Ognuno dovrebbe essere messo in grado di produrre i propri valori d'uso secondo i suoi bisogni reali, sottraendone il monopolio alla casta degli specialisti. L'uomo è stato sopraffatto dagli strumenti che ha creato per vivere meglio: le istituzioni vanno capovolte.
Resta più che mai attuale la proposta illiciana di una società conviviale, in cui "lo strumento è al servizio della persona integrata alla collettività, non al servizio di un corpo di specialisti" e la tecnica rispetta la soglia dell' equilibrio tra uomo e ambiente.
Ricordi di Ivan Illich
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La Convivialità
26 luglio 2011 di adminLascia un commento »
di Ivan Ilich
INTRODUZIONE
Nel corso dei prossimi anni mi propongo di lavorare a un epilogo dell’età industriale. Vorrei tracciare il profilo delle storture e delle ipertrofie intervenute nel linguaggio, nel diritto, nei miti e nei riti, in quest’epoca nella quale uomini e prodotti sono stati assoggettati alla pianificazione razionale. Vorrei ritrarre come è venuto declinando il monopolio del modo di produzione industriale, e la metamorfosi subita dalle professioni che esso genera e nutre.
Nel corso dei prossimi anni mi propongo di lavorare a un epilogo dell’età industriale. Vorrei tracciare il profilo delle storture e delle ipertrofie intervenute nel linguaggio, nel diritto, nei miti e nei riti, in quest’epoca nella quale uomini e prodotti sono stati assoggettati alla pianificazione razionale. Vorrei ritrarre come è venuto declinando il monopolio del modo di produzione industriale, e la metamorfosi subita dalle professioni che esso genera e nutre.
Soprattutto intendo dimostrare questo: che i due terzi dell’umanità possono ancora evitare di passare per l’età industriale se sceglieranno sin d’ora un modo di produzione fondato su un equilibrio postindustriale, quello stesso al quale i paesi sovraindustrializzati dovranno ricorrere di fronte alla minaccia del caos. E nella prospettiva di un tale lavoro che io sottopongo questo abbozzo di analisi all’attenzione e alla critica del pubblico.
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