sabato 24 marzo 2012

tecnocrazia : il concetto nella enciclopedia treccani

Al concetto di tecnocrazia si fa riferimento per indicare il complesso di fenomeni che riguardano le trasformazioni dei rapporti tra Stato e società a partire dalla rivoluzione industriale, quando cioè: a) cresce la quantità di decisioni politiche concernenti questioni in senso lato tecniche, con un progressivo ma sostanziale mutamento dei contenuti del processo governativo e legislativo; b) gli apparati amministrativi pubblici e privati si trasformano in virtù dell'impiego di tecniche di organizzazione del lavoro volte a massimizzare l'efficienza; c) questi cambiamenti portano alla formazione di nuovi gruppi sociali di tecnici, managers, esperti, direttori amministrativi, grands commis che, pur nella loro distinzione e frammentazione oggettiva, tendono a coalizzarsi nell'esercizio del potere e nel conseguimento di privilegi (cfr. Ellul, in Maier e altri, 1971, p. 167)......... la tecnocrazia viene presentata come l'autentica realtà al di sotto della duplice illusione di cui ormai si alimentano i sistemi politici contemporanei: l'illusione dell'uomo politico che si crede in grado di guidare verso determinati obiettivi la macchina dello Stato, e l'illusione del cittadino che, confidando ancora nell'ideologia della sovranità popolare, pensa di partecipare con potere decisionale alla gestione degli affari pubblici, mentre ha soltanto facoltà di "designare e sorvegliare degli uomini essi stessi privi di potere" (v. Meynaud, 1964; tr. it., p. 194)....... frequentemente, le teorie dell'avvento della tecnocrazia si collocano all'interno di una diagnosi epocale sull'eclisse del politico. In tale contesto l'espressione è dilatata fino a designare semplicemente - e in modo spesso vago - il 'dominio della tecnica'. Ma in un'accezione più specifica essa sta a indicare, all'interno di sistemi politici complessi, una specifica struttura del potere - si è parlato esplicitamente di "tecnostruttura" (v. Galbraith, 1967) - e una forma di esercizio del potere ad opera di un soggetto definito: i tecnici. E propriamente, nel senso forte del termine, si dà governo dei tecnici in quel regime in cui i detentori del sapere tecnico-scientifico definiscono, in virtù della competenza che a ciò li legittima, non solo i mezzi ma anche i fini dell'azione sociale (v. Fisichella, 1997, p. 54). In quest'accezione più determinata il concetto evidenzia il potere di una specifica categoria dirigente - gli organizzatori, i managers, i direttori amministrativi -, per cui la teoria della tecnocrazia può essere considerata una variante della teoria delle élites, in particolare una teoria delle élites modernizzatrici (v. Teusch, 1993, p. 61). Giova però rilevare subito che i classici dell'elitismo furono tutt'altro che fautori dell'ideologia tecnocratica. Contro il predominio dei chierici-scienziati si delineò già all'interno del positivismo una reazione, ben esemplificata proprio dalla dottrina elitistica italiana, che non era solo reazione all'ideologia democratica ma anche alla tecnocrazia industrialistica dei teorici dell'estinzione dello Stato. La critica degli elitisti Mosca e Pareto al modello tecnocratico poggia su tre capisaldi, variamente evidenziati dai diversi autori: a) sottovalutazione del ruolo del politico; b) sopravvalutazione della funzione della scienza e della sua funzione di orientamento della prassi; c) sopravvalutazione, di conseguenza, delle capacità di governo dei ceti intellettuali........... la tecnocrazia è un'aristocrazia che si rinnova per cooptazione; in una terminologia più consona all'universo semantico contemporaneo essa è una meritocrazia, cioè una forma di potere basata su procedure rigorose di accertamento e di valorizzazione di qualità direttive che si contrappongono in linea di principio alla selezione fondata sul consenso dei molti. La democrazia è "governo dell'opinione", la tecnocrazia "governo del sapere" (v. Sartori, 1997, p. 42); la democrazia poggia sul consenso e la partecipazione, la tecnocrazia sulla competenza e l'efficienza. Grazie a queste determinazioni essa può essere accomunata alla burocrazia, al punto che sempre più spesso, anche in virtù dei processi di razionalizzazione amministrativa che hanno rivoluzionato gli assetti delle vecchie burocrazie, i due concetti si trovano fusi in un unico conio ('tecnoburocrazia'): in particolare il processo di integrazione europea è stato spesso descritto come vivaio di tecnoburocrazie svincolate dagli indirizzi delle politiche nazionali (ed è nato il neologismo 'euroburocrazia')............I tecnici non sono affatto una categoria omogenea, e piuttosto diverse e sfuggenti risultano le modalità di esercizio del potere tecnocratico. Rispetto alle classiche domande "chi governa?" e "come governa?" tende a subentrare nelle ricerche sui rapporti tra tecnica e politica la domanda "che cosa si governa?" (v. Winner, 1977). Oggi, più che alla teoria della tecnocrazia, le scienze sociali risultano interessate allo studio delle politiche della tecnologia o alla tecnopolitica, intesa come politica che si avvale delle nuove tecnologie della comunicazione (v. Rodotà, 1997), e quindi a porre la questione di quali cambiamenti politici la tecnica sia in concreto in grado di determinare,............ con la crisi dell'ideologia del piano, anche nelle sue forme più moderate e democratiche, cresce il disincanto nei confronti dell'uso della scienza e della tecnica come strumento di governo. Ciò che induce all'abbandono delle illusioni tecnocratiche è intanto il riconoscimento della fondamentale ambivalenza della tecnica, che non è monofunzionale ma persegue una molteplicità di scopi, che possono entrare tra loro in conflitto, e produce effetti non intenzionali che possono essere assolutamente imprevedibili o possono risultare negativi, o comunque possono introdurre per l'agire politico nuove costrizioni (v. Winner, 1977, pp. 91 ss.). L'assunzione che era alla base della dottrina tecnocratica classica - il ricorso al sapere degli esperti e al loro problems solving neutralizza il conflitto sociale e politico - finisce così per essere largamente ridimensionata (v. Collingridge e Reeve, 1986). Ma la diagnosi può essere ulteriormente radicalizzata: se lo 'Stato tecnico' della terza rivoluzione industriale è quello in cui ormai sono i mezzi a determinare i fini e non viceversa - secondo le note diagnosi di Freyer (v., 1955) e Schelsky (v., 1965) - allora esso non configura tanto un 'governo dei tecnici' quanto un regime in cui i politici semplicemente si sottomettono agli automatismi e alle costrizioni della tecnica (e per questa ragione Schelsky preferisce parlare, differenziando la sua posizione da quella di Ellul, di 'Stato tecnico' anziché di 'Stato tecnocratico')....... Ogni macrosistema è una rete (una rete con duplice finalità: di servizio e di comunicazione interna), ma è anche un sistema di centri di regolamentazione, che non può rinunciare a una struttura minima di tipo gerarchico. E lo Stato supervisore è appunto l'unica forma-Stato adeguata a sistemi che abbiano sostituito ai modelli di decisione piramidale modelli di decisione a rete. Se la rete è "un insieme di elementi interconnessi attraverso i quali circolano flussi materiali e immateriali" (v. Gras, 1993; tr. it., p. 49), la tradizionale struttura burocratica con monopolio della coercizione appare uno strumento antiquato per esercitare un efficace controllo. Per i teorici della complessità sistemica, d'altro canto, questo controllo ha da essere prevalentemente di tipo cognitivo e non normativo. Si delinea così un modello (blandamente) pedagogico e terapeutico di indirizzo politico che, nonostante l'esplicita polemica nei confronti dell'ideologia tecnocratica (classica), ne riproduce in forma indebolita almeno un caposaldo, quello del primato del potere fondato sul sapere. ..........A una considerazione realistica il ruolo pubblico degli esperti non va sopravvalutato. L'esperienza, ampiamente documentata dalla ricerca, di processi decisionali nei quali i politici sono indotti a sollecitare il supporto di giustificazioni tecniche da parte di esperti, senza peraltro attribuire a questi alcun potere decisionale, o disattendendone clamorosamente le indicazioni in caso di conflitto, rende scettici sia sull'effettiva influenza della scienza nel processo politico sia sulla sua utilità nell'indirizzo delle scelte politiche. Sicuramente, nel corso del secolo, i fautori dell'ingegneria sociale hanno assegnato ahttp://www.treccani.it/enciclopedia/tecnocrazia_(Enciclopedia-delle-Scienze-Sociali)/lla scienza un crescente ruolo di orientamento. Ma va anche rilevato come, contro le autoillusioni dell'"illuminismo applicato', si sia sostenuto con buone ragioni che il modello ingegneristico poggia su un triplice fraintendimento, concernente la natura delle scienze sociali, quella del decision making politico e le modalità di condizionamento reciproco fra teorie scientifiche e agire politico...........Postulare l'impermeabilità delle arene politiche alla penetrazione di logiche tecniche e scientifiche significherebbe fatalmente, nella cornice della società del sapere, condannare le istituzioni a un'arretratezza che finirebbe per favorire soltanto la disgregazione sociale. Anche l'ingegneria costituzionale sembra del resto orientata oggi a porsi l'obiettivo di rendere le istituzioni recettive nei confronti del sapere dei tecnici e a mettere in atto quegli accorgimenti che potrebbero risultare utili nel neutralizzare i rischi della strumentalizzazione politica del sapere (e dei tecnici) e nell'accrescere la trasparenza dei processi decisionali, onde evitare che rilevanti decisioni politiche siano prese sotto la copertura della 'ragione tecnica'..    

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