martedì 26 marzo 2013

Alienazione parentale. Cassazione: sindrome non ha basi scientifiche solide


orso castano : l'affido condiviso, come purtroppo noto, e' poco applicato, spesso per responsabilita' di uno o entrambi i genitori, che si lasciano prendere la mano dalla litigiosita', o per criteri utilizzati dai Giudici, criteri che, pur volendo rispettare l'autonomia e la neutralita' costituzionale dei Giudici, alla prova dei fatti lasciano talora perplessi. Torneremo sull'argomento, delicato ed importante. Siamo per il valore della famiglia, anche se di fronte alla alta conflittualita o ai maltrattamenti, anche morali, l'affido puo' essere una soluzione utile per il minore.


Per la Corte l'ipotesi della Sindrome di Alienazione Parentale (PAS) “necessita di un conforto scientifico”. Altrimenti si corre il rischio “di adottare soluzioni potenzialmente produttive di danni ancor più gravi di quelli che teorie non rigorosamente verificate pretendono di scongiurare”. La soddisfazione della Sip.LA SENTENZA.

125 MAR - “L’ipotesi della Sindrome di Alienazione Parentale (PAS) necessita di un conforto scientifico” in assenza del quale si corre il rischio “di adottare soluzioni potenzialmente produttive di danni ancor più gravi di quelli che teorie non rigorosamente verificate pretendono di scongiurare”. È quanto affermato da una sentenza della Corte di Cassazione in merito alla vicenda del bambino di Cittadella (Padova) prelevato a forza da scuola e condotto in una casa famiglia perché, secondo i giudici del tribunale di Venezia, era affetto dalla sindrome di alienazione parentale (Pas). Secondo il tribunale il piccolo era stato plagiato ed era affetto da una forma di alienazione genitoriale. E per questo era stato rinchiuso in una casa famiglia per costringerlo a ripristinare i rapporti con il padre. In ogni caso, per la Cassazione, “non può ritenersi che, soprattutto in ambito giudiziario, possano adottarsi delle soluzioni prive del necessario conforto scientifico, come tali potenzialmente produttive di danni ancor più gravi di quelli che le teorie ad esse sottese, non prudentemente e rigorosamente verificate, pretendono di scongiurare”.

“La Sindrome di Alienazione Parentale non è riconosciuta dalla letteratura scientifica di riferimento e non è inclusa né nel DSM (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders) né nell’ICD (International Classification of Diseases) dell’Organizzazione Mondiale della Sanità” afferma il Presidente della SIP Giovanni Corsello. 

“La comunità scientifica si è già pronunciata contro l’uso improprio della PAS nelle sofferte e spesso laceranti controversie per l’affidamento dei figli”.
Questa sindrome, descritta per la prima volta nel 1985 dal discusso medico americano Richard Gardner, viene indicata come una grave condizione psichiatrica che affliggerebbe madre e bambino durante le cause di separazione e/o divorzio: la madre cercherebbe di interrompere la relazione padre/figlio attraverso una campagna di denigrazione dell’ex marito e il bambino, molto più di semplice vittima ed attivo protagonista, instaurerebbe una guerra contro il padre. La terapia consiste sostanzialmente in un provvedimento del giudice di sospensione dell’affidamento alla madre fino all’interruzione di ogni contatto col figlio, oltre all’ordine di una psicoterapia per entrambi. Nei casi più gravi il bambino deve essere allontanato dalla madre e inviato ad un “programma transizionale” in istituto, con incontri interrotti con la madre, fino a quando non sarà “pronto” ad essere trasferito nella casa del padre.
“Innanzitutto non esiste alcuna evidenza che un procedimento giudiziario possa determinare una sindrome psichiatrica”, spiega Maria Serenella Pignotti, pediatra e neonatologa autrice di un articolo sull’argomento pubblicato sull’ultimo numero della rivista SIP “Pediatria”.

 “Si diagnostica alla madre la PAS basandosi sull’esame dei figli e si prescrive un trattamento ai bambini basato sull’esame delle madri. Trattamento che invece di risolvere o alleviare il quadro clinico, è pura coercizione: imposizione di astenersi dal dare giudizi negativi sul padre, forzando il bambino ad agire in modo da dimostrare affetto. Un comportamento ottenuto con la minaccia continua di separare madre e bambino, fino ad interromperne ogni contatto”.
I pediatri ricordano che occorre sempre indirizzare gli sforzi  alla tutela del rapporto madre/bambino e dell’intera famiglia.  “Se i bambini soffrono per il divorzio dei genitori non devono essere etichettati con patologie, ma ascoltati, non obbligati ma aiutati. Se non vogliono vedere un genitore ci deve essere un motivo che va compreso”, conclude Corsello.  “Speriamo di non vedere mai più un bambino trascinato e portato laddove non vuole, nemmeno se si pensa che è per il suo bene”.

25 marzo 2013Padri.it | Associazione padri separati | Padri separati

L’affidamento condiviso può essere escluso a fronte di un comportamento gravemente denigratorio di un genitore nei confronti dell’altro

Corte di Cassazione, 11 agosto 2011, n. 17191Corte di Cassazione, 11 agosto 2011, n. 1719
.........5. Con il quarto motivo, il C. denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 155 cod. civ.,
commi 1 e 2 e dell'art. 155 bis cod. civ., nonché vizio di motivazione, in relazione al diniego
dell'affidamento condiviso della figlia minore D. . Sostiene che la Corte, aderendo alle valutazioni
espresse dai consulenti d'ufficio prima della entrata in vigore della L. n. 54 del 2006, avrebbe
disatteso le modifiche normative da questa introdotte, la cui ratio consiste nel diritto del minore alla
bigenitorialità, diritto del quale la Corte ha privato la minore D. senza dimostrare i motivi della
presunta contrarietà all'interesse della minore dell'affido anche al padre, la cui idoneità genitoriale
era stata accertata dai c.t.u. (ancorché con l'aggiunta di una valutazione negativa in ordine alla sua
capacità di svolgere il ruolo di genitore responsabile), in tal modo finendo per basare la negazione
dell'affidamento condiviso sulla mera conflittualità e ostilità tra i genitori, che il primo giudice aveva
ritenuto superabile proprio con la necessità, derivante da tale condivisione, di ricercare una via di
collaborazione e di aiuto reciproco nel superiore interesse della corretta crescita della figlia.
Osserva tuttavia il collegio che la sentenza impugnata non ha disatteso il diritto della
minore alla bigenitorialità nel momento in cui ha ritenuto pregiudizievole per l'interesse
della medesima l'affidamento condiviso. La corte di merito ha infatti rettamente incentrato
le sue valutazioni sull'interesse della minore, motivando il suo convincimento sugli effetti
pregiudizievoli che potrebbero derivare allo sviluppo psicologico della medesima
dall'affidamento condiviso, sia - in positivo- con riguardo alla capacità genitoriale
riscontrata nella M. sia - in negativo - con riguardo alla particolare situazione del rapporto
del C. con la sua famiglia di origine ed in tale contesto al comportamento gravemente
denigratorio da lui, e dalla sua famiglia, assunto nei confronti della M. . La sentenza non si è
dunque limitata ad un generico riferimento ad una mera conflittualità tra coniugi, ma ha
esposto un percorso argomentativo conforme all'orientamento di questa Corte (cfr. ex
multis Cass. n. 16593/2008; n. 1202/2006) e congruamente sostenuto dalla indicazione delle
fonti sulle quali si basa, cioè delle risultanze degli accertamenti in atti, la cui valutazione
non può in questa sede di legittimità essere oggetto di riesame nel merito.

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