domenica 23 dicembre 2012

definizioni di riformismo

Treccani  :  Enciclopedia delle Scienze Sociali (1997)


Zeffiro  Ciuffoletti


sommario: 1. Definizione di riformismo. 2. Il riformismo dispotico illuminato. 3. Il riformismo liberal-radicale. 4. Il protoriformismo: associazionismo e democrazia. 5. Il riformismo cesaristico e il riformismo conservatore o dall'alto. 6. Socialismo e riformismo: l'antitesi ambigua fra riforme e rivoluzione. 7. Dalla 'Progressive era' al 'New deal'. 8. Dal Welfare State al modello laburista. 9. La crisi del Welfare State e il ripensamento del riformismo. □ Bibliografia. 

8. Dal Welfare State al modello laburista
Tuttavia anche in Europa i difficili problemi della riconversione dopo la prima guerra mondiale e ancor di più i traumi provocati dalla grande crisi del 1929 avevano dimostrato tutta l'insufficienza delle politiche tradizionali e la drammaticità sociale e politica degli effetti della crisi. L'intervento dello Stato sembrava lo strumento più idoneo per orientare le strategie dello sviluppo economico e per la realizzazione di un regime di pieno impiego della manodopera. Le politiche di pianificazione adottate dallo Stato sovietico e dallo statalismo autarchico dei regimi fascisti costituivano la variante totalitaria alle teorie adottate in alcuni paesi europei per affrontare la grande depressione. Solo in Svezia la socialdemocrazia cercò di coniugare una politica economica di chiara ispirazione keynesiana con una strategia riformatrice, mentre in Inghilterra si realizzò una certa convergenza fra le stesse teorie keynesiane e la tradizione laburista. Più contrastata fu la politica delle riforme di struttura proposta in Francia dai socialisti e dai comunisti nel 1936 dopo il successo del Fronte popolare; mentre in Belgio, il partito operaio guidato da De Man e Spaak, vide nel planismo, nella socializzazione delle industrie monopolistiche e delle banche, la chiave di volta per superare, da un lato, l'inerzia del riformismo tradizionale, e per giungere, dall'altro, a una revisione del marxismo. Il riformismo degli anni tra le due guerre si presentava in Europa quantomai eterogeneo e contraddittorio, non solo in relazione alle diverse esperienze nazionali, ma anche ai contrasti ideologici fra le diverse componenti della sinistra, dove i comunisti, pur avendo abbandonato la teoria del socialfascismo, s'erano trovati ad abbracciare, dopo la svolta del Comintern del 1934-1935, la politica dei Fronti popolari per motivi tattici e senza una reale convinzione riformista.
Solo nel dopoguerra in Europa si cominciarono ad adottare politiche di programmazione economica e di estensione delle funzioni dello Stato nel quadro di un processo di estesa democratizzazione politica e di politiche di sviluppo. Il caso inglese si presentò, allora, come un punto di riferimento centrale del socialismo riformista europeo nel periodo della ricostruzione. I laburisti, saliti al potere nel 1945, ripresero i progetti della commissione Beveridge del 1942 per la creazione di un sistema di assicurazioni sociali e di un servizio collettivo di assistenza sanitaria. Il risoluto programma di riforme sociali, che ebbe come protagonista il premier Clement Attlee e il ministro della Sanità Axeurin Bevan, nel contesto di una politica che si richiamava alla teoria keynesiana della complementarità fra misure monetarie e misure fiscali, pose le fondamenta di un moderno Stato sociale. A questo modello si ispirarono, sia pure con diverse sfumature, alcuni partiti socialdemocratici nordeuropei a capo di governi monocolori o di coalizione. In particolare in Svezia si arrivò alla definitiva istituzionalizzazione del principio della concertazione fra capitale e lavoro in materia di formazione professionale e di condizioni di lavoro, e alla graduale estensione dell'intervento pubblico nei settori della comunicazione e delle risorse naturali. Anche in Norvegia e Danimarca i socialdemocratici adottarono politiche di perequazione fiscale e di costruzione di moderni sistemi di sicurezza sociale.
Tutte le iniziative riformatrici e i progetti di programmazione formulati dai laburisti e dalle socialdemocrazie dell'Europa nordoccidentale, diventate ormai forze di riferimento anche dei ceti medi, obbedivano a modelli empirici e a criteri funzionali, come del resto avvenne in Olanda sotto l'influenza delle scelte socialiste ispirate agli orientamenti pragmatici della scuola di Tinbergen.
A questo modello si richiamò anche la nuova socialdemocrazia tedesca, specialmente dopo il congresso di Bad Godesberg (1959), che portò all'abbandono esplicito di ogni legame con la tradizione marxista, ponendo la socialdemocrazia tedesca quale punto di riferimento riformatore nell'ambito del sistema capitalista. Ormai i socialdemocratici si ponevano il compito di controbilanciare l'economia di mercato, rinunciando a sostituirla e puntando, invece, alla difesa e allo sviluppo delle garanzie dello Stato sociale e della democrazia secondo il modello del Welfare State.
Un modello nel quale si ritrovavano tutti i socialdemocratici che avevano abbandonato il marxismo, ma anche tutti i liberali che si riconoscevano nella tradizione per cui chiunque voleva uno Stato compiutamente liberale non poteva esimersi dal metter mano a riforme sociali. Una tradizione liberale che si era irrobustita teoricamente grazie alla critica del totalitarismo, a partire da pensatori come Karl Popper, teorico della "società aperta" (cfr. The open society and its enemies, London 1945), per il quale solo la democrazia può rendere efficace il controllo sui governanti e rendere possibile l'attuazione di riforme senza violenza.
Nel secondo dopoguerra, accanto al paradigma riformistico del Welfare State, che, come si è visto, trovò un punto di riferimento centrale nel laburismo inglese durante il periodo della ricostruzione, si assistette a una rinascita del riformismo strumentale, ma su basi nuove, come variante occidentale del movimento comunista internazionale. Il riformismo strumentale manteneva la contrapposizione fra democrazia formale e democrazia sostanziale, e vedeva nella richiesta di riforme sempre più avanzate e di struttura lo strumento di lotta in grado di far scoppiare le contraddizioni delle società capitalistiche e l'inevitabile conflitto fra democrazia e capitalismo. 
9. La crisi del Welfare State e il ripensamento del riformismo
L'esaurimento del socialismo e la scomparsa di ogni credibile alternativa teorica alla democrazia liberale costituiscono, oggi, una sfida per il riformismo, specialmente in presenza dell'offensiva neoliberale contro il Welfare State.
Per quasi due secoli il riformismo ha cercato di contrastare l'estremismo rivoluzionario e lo spirito reazionario. Le due culture che più hanno agito nel dare forma e senso alla società moderna sono state il liberalismo e il socialismo, ma proprio queste due culture, quando si sono irrigidite nel dogmatismo ideologico, sono state fortemente divise e antagonistiche, quando, invece, si sono incontrate hanno alimentato il moderno riformismo. Alla fine del XX secolo la vera questione che si pone non è quella del rapporto fra liberaldemocrazia e socialismo, che ancora nel 1942 un liberale come Joseph Schumpeter aveva sostenuto essere decisiva per le sorti dell'Occidente, bensì quella del rapporto fra democrazia e capitalismo. Dopo il crollo dei regimi comunisti dell'Est, i destini della modernità (il capitalismo e la democrazia) sono ormai inseparabili. Si tratta di capire se ci sia spazio per una concezione della democrazia che non sia totalmente subordinata al modello del mercato e alla sua logica concorrenziale. Non è difficile, tuttavia, constatare che se la libertà non esiste senza mercato, nessuna società democratica, a cominciare dalla più capitalistica (gli Stati Uniti), può funzionare senza una vasta rete di ridistribuzione sociale. Nel senso stretto, economico del termine, oggi non esistono più, né a Oriente né a Occidente, società puramente liberali o società puramente socialiste. Del resto nemmeno le riforme neoliberiste di Reagan e della Thatcher hanno prodotto il completo smantellamento del Welfare State. Il riformismo ha potuto agire meglio quando le istituzioni liberaldemocratiche hanno lasciato aperto il campo alla dialettica politica e sociale, e al cambiamento indotto dal processo di modernizzazione e dallo sviluppo dell'economia di mercato. L'accettazione della democrazia formale costituisce non solo il vero discrimine fra il riformismo forte e il riformismo strumentale, ma il banco di prova del riformismo possibile. Nuovi problemi e nuove emergenze, a partire dal rovesciamento del rapporto tra crescita economica e aumento degli occupati nell'industria, l'inizio della loro diminuzione da un lato e, dall'altro, il loro passaggio dall'area debole della società a quella protetta e del benessere ("la società dei due terzi"), impongono una seria revisione dello Stato sociale. Si è interrotto il circolo virtuoso dello sviluppo economico e della progressiva estensione del Welfare, che ovunque ha prodotto deficit insostenibili e inefficienze, oltreché perdita del senso di responsabilità collettiva e individuale. I costi della solidarietà orizzontale sono stati scaricati, attraverso il deficit pubblico, sulle generazioni future. Inoltre la politica di inclusione nella cittadinanza non può più avere una dimensione esclusivamente nazionale, né può trascurare il fenomeno dell'immigrazione, ossia della presenza di vaste fasce sociali prive non solo di diritti sociali, ma di tutte le prerogative della cittadinanza, compresi i diritti politici (v. Zincone, 1992). La sfida ambientale, il disordine internazionale, il declino demografico dei 'paesi ricchi' dell'Occidente, il sorgere di nuovi movimenti sociali e nuovi soggetti politici, la sfida della diversità etnica e culturale, richiedono una nuova definizione del riformismo e una nuova capacità progettuale. La nota tesi di Keynes, secondo cui le idee finiranno per prevalere sugli interessi, dovrà cimentarsi in un contesto ancora più complesso e difficile per dimostrare che il Welfare State si può ancora oggi considerare l'acquisizione più alta della cultura riformista e l'artificio migliore, ancorché imperfetto, per ridurre sia il privilegio che la povertà. (V. anche Benessere, Stato delComunismoLiberalismo;MarxismoRivoluzioneSocialismo). bibliografia

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