sabato 8 dicembre 2012

emancipazione , azione che permette a una persona o a un gruppo di persone di accedere a uno stato di autonomia attraverso la cessazione dell'asservimento a una qualche autorità


orso castano : dovere della "sinistra" , se guardiamo il "muoversi sistemico" delle idee politiche e del "fare" politico dell'Europaa in un mondo globalizzato , e' studiare quello che produce la "cosidetta destra ideologica politica" . Sarkosy, Merkel e Cameron, non vanno disprezzzati o semplicemente attaccati, maa conosciuti nel loro fare politico che piu' di ogni parola esprime lo sforzo di costruire (sistemico, ma non sempre)  un pensiero politico si spera innovativo , alternativo ed aal contempo sistemicamente e parlamentarmente complementare all'opposizione.  


Kant, la Merkel e la necessità di cambiare paradigma politico*

La crisi è sempre questione di squilibrio tra cause ed effetti, e trova – o meno – la sua soluzione in un “riaggiustamento” delle cause, e tale è la presente crisi economica che investe tutto il vigente modo di produzione, quello dell’economia politica, o capitalismo. Secondo Marx le crisi economiche sono crisi di sovrapproduzione, che investono periodicamente il capitalismo e che sempre tendono ad aggravarsi ad estendersi, e sono dovute alle contraddizioni squilibranti tipiche del capitalismo stesso, di cui la piú importante è la caduta del saggio medio di profitto[1] – per Ricardo, invece, la crisi era una conseguenza finale che maturava lentamente e progressivamente in conseguenza della stessa accumulazione.
La prima fase del presente modo di produzione è l’accumulazione precapitalista, a partire dalle città-Stato del Basso medioevo. In tale realtà se ne svilupparono alcuni presupposti essenziali: dalla libertà concorrenza all’accumulazione indefinita della ricchezza finanziaria, dal calcolo razionale del profitto alla ricerca di sempre nuovi sbocchi commerciali.
La seconda fase si ha a partire dal XVI secolo, in cui appaiono gli artefici di quello che poi sarà il capitalismo moderno: uomini votati alla loro missione, non spinti dall’amore per il “dio denaro”, ma per i quali, anzi, l’accumulazione della ricchezza era soltanto un sottoprodotto della loro attività. Secondo Weber, costoro erano ispirati da una disciplina morale (com’è noto, Weber pone etica protestante e moderno spirito del capitalismo in rapporto di causa-effetto), in una sorta di “ascesi mondana”, che li spingeva a identificare la loro religione con l’adempimento della loro vocazione o professione e, cosí, anche ad accumulare ricchezze, che però potevano investire solo in quella stessa vocazione o professione, dato che respingevano lusso, sperpero, ambizione sociale[2].
Tuttavia, il protestantesimo esprimeva una disciplina uniforme: nella sua concezione venivano a combinarsi le idee di vocazione o professione in quanto compito – come canoneper Kant -, consacrato dal fatto che era dio che chiamava a svolgerlo.
Ma, in fondo, che cos’altro è la «disciplina di bilancio»? E che cos’è il «patto di stabilità e crescita»? Non è il «compito» – il «canone»?
Il premier Mario Monti afferma: «l’Italia punta al pareggio di bilancio nel 2013. Per riuscirci è necessario evitare politiche keynesiane illusorie e di vecchio stampo che favoriscano espansione di deficit di bilancio». Qui vediamo in atto il pensiero economico del protestantesimo: un «compito», un «canone» – il canone del «giudizio morale», ricordando Kant. E precisamente tale «canone» è al centro dell’economia tedesca di Angela Merkel. In tal modo l’economia è posta quale imperativo. Si ricordi cosa scriveva Kant (questa sorta di Mosè della nazione tedesca) riguardo all’imperativo: tutti gli imperativi sono espressi da un «dover essere» [Sollen] e denotano il rapporto di una legge oggettiva della ragione con la volontà, la quale, per la sua costituzione soggettiva, è determinata. Quando penso un imperativo in generale – dice Kant – non so ciò che conterrà finché non ne sia data la messa in atto. Se invece penso un imperativo categorico, so immediatamente che cosa contiene, poiché non esprime altro che la necessità, in base alla «massima» (cioè, secondo Kant, la regola pratica, ossia il principio, valido per ogni essere ragionevole, secondo cui agire) di essere conforme alla legge della ragione, senza che tale legge sottostia a nessun’altra condizione: di conseguenza non resta che l’universalità di una legge in generale, a cui deve conformarsi la «massima» dell’azione, ed è soltanto questa conformità che l’imperativo presenta come propriamente necessaria.
Possiamo qui vedere quanto rileva Zizek: piú obbedisci al comando del super-io, e piú sei colpevole. E l’economia è diventata oggi questo super-io, che rappresenta la censura morale della coscienza, l’insieme dei divieti, derivante dall’identificazione con il mercato (quasi come il padre, secondo la psicanalisi) e le sue regole.
L’ubbidienza vale ancora piú del sacrificio. L’economia – questa economia – è l’assoluto dovere, è l’uniformazione planetaria di unificazione del mondo sotto il segno dell’Occidente (capitalistico). Nella società attuale l’individuo è completamente isolato in un sistema che manipola il suo immaginario tramite la pubblicità e la propaganda, e il suo comportamento tradisce un conformismo assoluto, un’obbedienza a tutte le mode.
Ma possiamo parlare ancora effettivamente di economia? Secondo il senso che questa aveva nell’analisi «classica» o anche nella critica marxista, no. Perché il suo motore non è piú la struttura della produzione materiale, e nemmeno la sovrastruttura, bensí la destrutturazione del valore, la destabilizzazione dei mercati, il dissesto delle economie reali.
L’economia cessa cosí di esistere sotto i nostri occhi, per trasformarsi in debito-economia della speculazione (che diviene necessità, od omotropia). Assume il carattere del bisogno, con significato di domanda, ovvero connette il soddisfacimento del bisogno con qualcun altro che soddisfa il bisogno – come la banca -, mettendo a latere la legge del valore, il plusvalore, le leggi del mercato, la logica classica del capitale – e la stessa produzione concreta.
Il debito diviene un satellite della terra, che sta in orbita e circola da una banca all’altra, da un paese all’altro. L’economia, oggi – basta vedere che cosa succede in Europa -, è un’economia virtuale, gioca su curve di flessione e funziona sul ricatto e come ricatto. E in Europa interi paesi appaiono presi in ostaggio da emissari di noti gruppi terroristici, quali la Bce e il Fmi, mentre i cittadini vivono la «sindrome di Stoccolma», quella condizione psicologica che porta le vittime a solidarizzare con i carnefici.
Eppure in Grecia si era sviluppato un altro sistema economico. La Grecia non è mai passata attraverso un vero feudalesimo, e ha mantenuto un carattere cosmopolitico, anche e proprio in epoca bizantina, in cui la città – pur a regime oligarchico – partecipava al processo politico attraverso l’intermediario dalle koinà, i locali o settoriali comuni, cioè un sistema economico che faceva dipendere la relazione tra lavoro e capitale non dalla proprietà, ma dalla partecipazione in partenariato di ciascuno sulla base del proprio contributo al processo di produzione.
Questo sistema collegava la produzione con una permanenza di democrazia tramite la chiesa (la chiesa era pervenuta a rappresentare il démos) e con l’esercizio comune della relazioni necessarie alla vita. È il synamphòteron (è questo un termine che troviamo da Aristotele fino a Gregorio Palama), cioè l’«ambedue insieme».
Non c’era nessuna “autorità superiore”, nessuna “rivelazione” che garantiva la «verità secondo ragione». La verità si poteva raggiungere soltanto tramite l’esercizio delle relazioni comuni, condotte secondo ragione.
Nel Medioevo greco, proprio nei testi dei padri della chiesa ortodossa troviamo il terminealleloperichòrese, ovvero la reciproca «inter-penetrazione». La parola vuole indicare che la politica mira a liberare l’essere umano, a permettergli di accedere alla propria autonomia per mezzo di un’azione collettiva, la quale ha come oggetto anche la trasformazione delle istituzioni. Questo pensiero politico si chiama apofatismo nella tradizione gnoseologica greca – che implica il rifiuto di esaurire la conoscenza nella formulazione della stessa, ivi compreso quello di identificare la comprensione dei significanti con la conoscenza dei significati. Cosí, per esempio, Giovanni Crisostomo e Ambrogio si opposero al dispotismo imperiale in quanto strumento di oppressione e di corruzione della gente semplice. Nella chiesa ortodossa greca si parla di ingiustificato arricchimento, le grandi ricchezze – ripetono i padri – sono sospette: da dove vengono se non dall’ingiusto sfruttamento dei poveri (Basilio Magno). E Teologo Gregorio parlerà di esigenza dell’isonomia[3] anche di fronte alla ricchezza.
Nella società greca era fondamentalmente la sympolitéia, che si basava sul sistema dellekoinà-città e che è continuato, nella Grecia metropolitana, dal III secolo fino al tempo dei primi leaders della Guerra di Indipendenza.
In Europa si parla adesso di «riordinamento», ma tale «riordinamento» assomiglia tanto all’organizzazione di una sorta di nuova Santa Alleanza – riprendendo in tal modo il cancelliere austriaco Metternich, che elaborò tutte le “clausole” della realtà politica della Restaurazione. E la Merkel sta ricordando molto Metternich, in versione attualizzata: sogna un impero che sorga dalla dissoluzione degli Stati-nazione europei – mira, cioè, a una forma paranoide di sovranità, come la definisce Edgar Morin. La Merkel manifesta una visione totalizzante e livellatrice della politica (riprendendo la forma dei grandi «racconti di salvezza», secondo l’ideologia antimodernista di Volskich), vede la politica come inglobamento assorbente dell’economia (quale questa è diventata), quindi della società, dunque della vita. Ma questa ripresa dell’idealismo tedesco sul piano politico – inclusa l’ideologia antimodernista Volskich – non solo non può comprendere se stessa come assunzione di quella che, nel migliore dei casi, è soltanto un’ipotesi, un punto di vista, né può capire che la politica fattiva, vera, utile, si basa sul confronto e messa in discussione di diverse ipotesi e punti di vista, ma è anche devastante per la produzione concreta, per ogni possibile democrazia, per una vita decente: questo paradigma politico va assolutamente cambiato.
Apostolos Apostolu

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