mercoledì 8 maggio 2013


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Intervista Siamo ciò che viviamo

Lo stress, l'alimentazione, le condizioni ambientali possono variare l'attività dei geni senza cambiare la sequenza del dna. Che cosa comporta? Lo spiega Sir David Charles Baulcombe, pioniere dell'epigenetica 
di Valeria Fraschetti
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Siamo ciò che viviamo. Al punto che i nostri figli possono ereditare non solo gli occhi verdi del papà e i capelli ricci della mamma, ma anche il loro vissuto. Stress, malattie, stili di vita possono lasciare il segno, di generazione in generazione. Persino la nostra alimentazione può influenzare le informazioni genetiche che trasmetteremo. Perché il nostro patrimonio di geni non è statico, ermetico, racchiuso uguale a se stesso nel dna vita natural durante, accada quel che accada. Gli scienziati la stanno studiando da oltre mezzo secolo, ma è solo da qualche anno che quella branca chiamata epigenetica (che studia i meccanismi molecolari mediante i quali l'ambiente crea cambiamenti ereditabili nei geni, senza però modificare le sequenze di dna) sta catturando un'attenzione più ampia. L'ultima prova arriva dalla Fondazione Internazionale Premio Balzan che promuove "nel mondo la cultura, le scienze e le più meritevoli iniziative umanitarie e di pace", assegnando ogni anno quattro premi. Quello del 2012 è stato vinto, tra gli altri, da Sir David Charles Baulcombe che, oltre a essere capo del dipartimento di Scienze Botaniche all'Università di Cambridge, professore della prestigiosa Royal Society britannica, vincitore del Premio Laskar nel 2008 e tanto altro, ha sfiorato il Nobel per la Medicina. Era il 2006 e la commissione del premio scelse di assegnarlo ad Andrew Fire e Craig Mello. Anche se in molti ritengono che la loro scoperta su quei piccoli filamenti di RNA chiamati "RNAi" non sarebbe stata possibile senza i risultati ottenuti da Baulcombe sul "silenziamento genico". Ovvero, sulla capacità naturale delle cellule di disattivare un determinato gene. Baulcombe rilevò che era un meccanismo adottato dalle piante per difendersi dai virus. E, insieme, questi risultati hanno rivelato un potenziale davvero prodigioso. Tanto che, dice Baulcombe, "la possibilità di "spegnere" i geni è uno degli strumenti più potenti a disposizione della ricerca di oggi". Questa possibilità è stata negli anni riscontrata in ogni genere di organismi viventi: dai lieviti agli uomini. E, in futuro, la sua riproduzione in laboratorio permetterà di curare patologie come il tumore e l'Hiv. Così, il 14 e 15 novembre, la Fondazione Balzan premierà a Milano lo scienziato britannico "per il suo contributo fondamentale alla comprensione dell'epigenetica". Professore, in cosa consiste esattamente questa branca della genetica? "L'epigenetica ci aiuta a capire come l'ambiente influenzi il dna. Normalmente crediamo che la natura sia determinata dai geni, che influenzano il colore dei capelli, l'intelligenza, la salute. Di fatto, pensiamo ai geni come a qualcosa di fisso, immutabile. Invece l'epigenetica ci dice che esiste una serie di processi non influenzati dai nostri geni, ma da qualcosa che al dna si aggiunge. Uno dei più grandi misteri della biologia è come sia possibile che da una piccola quantità di geni derivino organismi tanto complessi, giusto? Pensate: noi esseri umani abbiamo lo stesso numero di geni di una pianta di riso, 33 mila. Ebbene, una delle ragioni sta in queste informazioni ulteriori, create da fattori ambientali, che contribuiscono ad arricchire la natura genetica di ognuno di noi". Quindi il dna non è così importante come abbiamo sempre creduto? "Il dna resta indubbiamente il cardine, la matrice di ciò che siamo. Ma esistono anche importanti, seppur piccole, molecole che si legano al dna durante la nostra vita. E quando, nel processo di riproduzione, il dna è copiato, lo sono anch'ese. Ecco perché gli effetti dell'ambiente in cui viviamo possono arrivare ai figli". Quali fattori ambientali influenzano le nostre caratteristiche ereditabili? "La dieta, per esempio. Uno studio ha dimostrato che gli effetti di una carestia su una popolazione sono stati trasmessi alle generazioni successive, attraverso la linea maschile. In quel caso, l'effetto fu un cambiamento nella statura della progenie". E lo stress? "Sullo stress, quello comunemente inteso, non ci sono evidenze scientifiche. Ma, per esempio, il focus principale della mia ricerca è stata la reazione delle piante ai virus. Quando uno viene inoculato, la pianta produce piccole molecole di RNA che possono avere effetti epigenetici, come produrre un cambiamento nell'aspetto fisico del vegetale. E in alcuni casi questa conseguenza è stata visibile nei "figli" della pianta, e nei figli dei figli. In sostanza, l'esperienza dell'esposizione a un virus cambia le caratteristiche ereditabili di una pianta. Non modifica i geni nel suo dna, ma le caratteristiche ereditabili sì". Il cancro è una malattia causata da mutazioni del dna. L'epigenetica, quindi, non ha alcun peso nella comparsa dei tumori maligni? "Al contrario. Diversi risultati scientifici dimostrano che alcuni effetti epigenetici possono essere coinvolti nello sviluppo di un tumore e di altre malattie. Purtroppo, però, ancora non siamo in grado di mettere in relazione un effetto genetico specifico a una patologia tumorale precisa". Nel suo lavoro sulle piante, lei ha osservato che pezzetti di RNA giocano un ruolo determinante nell'espressione genica. Inoltre possono proteggere da un virus disattivando certi geni. Perché i suoi risultati sul "silenziamento genico" sono cruciali anche per noi uomini? "Le piccole molecole di RNA si trovano anche negli uomini, e si suppone che si comportino allo stesso modo che nelle piante. Negli anni, il silenziamento ha rivelato la sua importanza al di là dei meccanismi di resistenza alle malattie. Tanto da diventare uno degli strumenti più potenti a disposizione della ricerca. Può aiutarci nella cura delle malattie dell'uomo, ma anche nella comprensione delle sue caratteristiche ereditabili. In campo terapeutico, avremo l'opportunità di trattare le patologie disattivando i geni che le provocano, ma lasciando intatti quelli sani". Nella pratica, quali applicazioni mediche prevede? "Un esempio è proprio il cancro. Ci sono buone possibilità che il nostro studio ne faciliterà la diagnosi. Come? L'analisi dei pezzetti di RNA presenti nel tumore ci permetterà di identificarne la natura e di "spegnere" i geni colpiti dalle mutazioni responsabili del cancro". Per quali altre patologie la ricerca rappresenta una speranza? "Per le malattie virali, come l'Hiv o l'aviaria. Quello che dovremmo presto essere in grado di fare è produrre sinteticamente molecole di RNA da usare come farmaci. Il principio è lo stesso: inoculare queste piccole molecole nel paziente per sopprimere il virus, inibendo il gene che lo provoca. Sono in corso diversi studi in proposito. E so che una società, la Alnylam, ha già avviato i test clinici". Tra quanto tempo possiamo realisticamente pensare di avere farmaci anti-virali del genere? "Direi almeno una decina d'anni". Torniamo alle piante, la sua passione. Che ruolo può giocare il silenziamento genico nella possibilità di aumentare la produzione agricola, di fronte a una popolazione mondiale in costante aumento? "Quella della produzione agricola è una sfida difficile, che richiede varie soluzioni. Ma sono certo che il silenziamento genico sarà tra queste. Per il momento, stiamo cercando di migliorare la coltivazione di nuove varietà di piante. Non voglio annoiarvi: è complicato da spiegare. Posso dirvi che stiamo lavorando sui pomodori, il vegetale più amato dagli italiani". Una delle particolarità del Premio Balzan è che i vincitori devono destinare metà del premio in denaro (circa 620mila euro) a progetti di ricerca condotti da giovani studiosi. Lei chi aiuterà? "Una ricerca su una piccola alga chiamata Chlamydomonas. Che presenta numerosi meccanismi epigenetici simili a quelli delle piante e delle persone, ma ha un ciclo di vita molto corto. E può risultare utile nella produzione di biocarburanti".

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