domenica 5 maggio 2013

Psicologia di massa del fascismo: uno sguardo sociologico di Alberto Giasanti Intervento all’incontro “L’ombra del potere su Wilhelm Reich” (Università di Milano Bicocca, 26 e 27 ottobre 2007)


..................................I testi 
E veniamo ai testi. 
Perché nelle manifestazioni di piazza a Vienna come a Berlino i giovani operai subiscono passivamente e non reagiscono alle ingiustizie e ai soprusi, si chiede Reich? Non si tratta forse di una potenzialità legittima che solo la repressione sessuale riesce a incanalare su altri obiettivi?
In Psicologia di massa del fascismo Reich risponde affermando che gli uomini sono succubi elle loro condizioni esistenziali in un duplice modo: direttamente sono soggetti all’influenza della loro
posizione economica e sociale, indirettamente sono soggetti alla struttura ideologica della società.
Questo sta a significare che il lavoratore tedesco non è né rivoluzionario né reazionario, ma porta
con sé come un doppio in perenne contraddizione: rivoluzionario per condizione sociale, onesto cittadino e buon padre di famiglia per indottrinamento ideologico.
In questo modo Reich mette in evidenza l’ambivalenza psicologica e politica dell’operaio tedesco, proprio quella sulla quale fa leva e con successo la propaganda nazista rafforzando con l’ideologia nazionale e popolare l’inibizione borghese e l’identificazione con lo stato-capo dell’individuo proletario. Così una ideologia come quella nazista (simile ad un’altra ideologia apparentemente diversa: quella staliniana) ostile alla sessualità e al piacere rende, secondo Reich, ansiosi e timorosi verso l’autorità, statale o religiosa che sia; buoni e docili padri di famiglia in quanto ogni moto di ribellione porta con sé una considerevole dose di angoscia nevrotica; inibiti al ragionamento e incapaci di un atteggiamento critico in generale e, per ciò stesso, spinti a seguire passivamente l’autorità familiare, religiosa e civile, nonchè le organizzazioni politiche autoritarie. 
Quando una ideologia di questo tipo diventa dominante nella famiglia a scuola, sul lavoro, in chiesa, nei rapporti amicali e in quelli affettivi, allora si forma un tipo di cittadino tollerante dell’ordine esistente, nonostante la propria miseria e umiliazione materiale e morale. Reich intendeva dimostrare come il processo di socializzazione, nel deformare le pulsioni sessuali, interveniva nel rapporto tra essere e coscienza, portando alla conseguenza che individui appartenenti ad una classe si comportavano in modo del tutto opposto ai loro interessi di classe. Ma per comprendere questo aspetto sarebbe stato necessario fare riferimento a quella teoria psicoanalitica messa al bando, per ironia della sorte, come borghese dal movimento operaio di quegli anni. Movimento operaio che avrebbe così scoperto come il carattere conservatore dell’ideologia fosse il risultato del fatto che le coazioni e le norme sociali vengono interiorizzate dall’individuo attraverso la mediazione del super-io e che la trasformazione della pressione sociale esterna in pressione interna si compie nell’identificazione del bambino con gli educatori e nell’introiezione degli ordini e dei divieti dei genitori. E’ in sostanza il super-io dei genitori e degli educatori che diviene il garante psicologico di tutte le concezioni tradizionali dei valori e della morale che si trasmettono, in questo modo, per generazio-ni. Il super-io diventa una sorta di cavallo di troia che la società introduce in ogni singolo individuo
per riprodurre nella sua mente la stessa struttura sociale: quando ogni individuo arriva ad agire come poliziotto di se stesso, come polizia segreta di sé, allora la socializzazione attuata da quel particolare regime sì è perfettamente realizzata.
Da un altro punto di vista si potrebbe dire che il super-io provoca nell’economia psichica
dell’individuo lo stesso effetto vincolante di quello provocato dai rapporti di produzione rispetto alle
forze produttive nell’economia capitalista. Come le forze produttive, secondo l’analisi marxiana, si
trasformano, sotto la pressione dei rapporti di produzione, in forze distruttive, anche le forze pulsionali individuali, sotto la pressione del super-io, si trasformano in forze distruttive.
In fondo la psicoanalisi aveva in qualche modo avvertito di non sottovalutare la formazione del super-io in quanto se le ideologie degli uomini sono il risultato dei loro rapporti sociali, questa, ci ricorda Freud, molto probabilmente non è tutta la verità. L’umanità non vive mai soltanto nel presente, nelle ideologie del super-io continua a vivere il passato, la tradizione della razza e del popolo, che, soltanto a poco a poco cede il passo all’autorità del presente, a nuove modificazioni, e fino a che il passato agisce attraverso il super-io ha un ruolo importantissimo nella vita degli uomini, indipendentemente dai rapporti economici.
Naturalmente l’ideologia nazista, come in fondo anche quella staliniana del socialismo in un solo
paese, era ostile ad una dimensione psicologica della società. Patria e nazione erano le idee da inculcare nella nuova classe dei produttori senza accorgersi, ci ricorda Reich, che queste idee, nella
loro essenza soggettivo-sentimentale, sono le idee di madre e di famiglia, anzi la madre è la patria
del bambino nella borghesia, così come la famiglia è la sua nazione, in piccolo. Inoltre l’unità sostanziale fra ideologia familiare e quella nazionalistica può essere dimostrata ulteriormente considerando che le famiglie sono delimitate tra loro come le nazioni e, in entrambe, le basi sono di carattere economico. Inoltre la famiglia del piccolo borghese è ininterrottamente afflitta da preoccupazioni di carattere alimentare e da altre preoccupazioni materiali.
reich wilhelm - psicologia di massa del fascismoNe emerge, sostiene Reich, una tendenza espansionistica che riproduce l’ideologia per cui la nazione ha bisogno di spazio e di nutrimento. Di conseguenza il piccolo borghese è particolarmente incline all’ideologia imperialistica. Egli riesce ad identificarsi completamente con il concetto personificato di nazione. In questo modo l’imperialismo di stato si riproduce ideologicamente nell’imperialismo familiare.
Questa situazione, che si riferisce più in particolare alla realtà tedesca durante il nazismo, la si può estendere anche alla Russia sovietica degli Anni Trenta dove il colcosiano, nella sua duplice anima di salariato e di lavoratore indipendente, bene rappresenta il piccolo borghese di Reich. E il percorso successivo del socialismo staliniano sino alle vicende attuali testimonia dell’acutezza dell’analisi reichiana riguardo a come una società autoritaria si riproduca con l’aiuto della famiglia, importante istituzione di conservazione e di rafforzamento dell’autorità statale.
Reich mostra come i fattori sociali siano sempre più integrati con i complessi dell’inconscio e come
le cause delle nevrosi si possano cercare nei conflitti della civiltà. Si tratta di capire come i risultati
clinici della psicoanalisi si connettano a quelli socio-culturali della sociologia in un intreccio fecondo di conoscenze che ciascuna disciplina apporta. L’esempio dello sciopero, che Reich riporta nella
discussione con Fromm sui rapporti tra sociologia e psicoanalisi, è illuminante al proposito. Lo
sciopero è un fenomeno sociale che deriva dai rapporti relazionali tra operaio e capitalista e da una
serie di processi connessi: la situazione del mercato del lavoro, la concorrenza tra gli imprenditori,
la forza del sindacato e così via. Lo sciopero si realizza però con la volontà e la coscienza degli operai: il fatto sociologico trova, quindi, espressione a livello psichico. Ma l’analisi dell’inconscio di
uno o più scioperanti non ci dice nulla sullo sciopero come fenomeno sociale e sui suoi motivi di
fondo. Infatti se si cerca di utilizzare per la sua spiegazione gli elementi ricavati dall’analisi della
persona si potrebbe arrivare alla conclusione che lo sciopero è una rivolta contro il padre, ponendo
sullo stesso piano lo sciopero e il comportamento psichico nello sciopero.
Con la psicoanalisi si riesce infatti a capire il comportamento dell’operaio durante lo sciopero, ma
non lo sciopero stesso, anche se è evidente che i comportamenti, individuali e collettivi, determinano certamente l’esito dello sciopero, il che significa che i fattori psichici svolgono un ruolo importante. Ad esempio, lo sciopero può essere condizionato dalla mancanza di fiducia degli operai verso i promotori dello sciopero, dall’ascendente di un leader sindacale, dalla paura verso l’imprenditore o nei confronti delle difficoltà materiali che si possono incontrare. I motivi delle paure possono essere vari: da quello più superficiale di timore del licenziamento ad uno più profondo come quello della paura di ribellarsi all’autorità, sentimento che nasce dalla situazione familiare e sociale del soggetto coinvolto. Così, quando si parla di utilizzo del metodo psicoanalitico, quello che conta è sempre l’individuazione degli elementi intermedi fra il processo sociale e l’azione dell’individuo in questo processo. Quanto più il comportamento è razionale tanto più ristretto è il campo di indagine della psicologia dell’inconscio, mentre quanto più un comportamento appare irrazionale tanto più ampiamente la sociologia ricorre all’aiuto della psicologia. Non ci si deve, infine, dimenticare di rivolgere particolare attenzione alle piccole cose della vita quotidiana: nella camera da letto piccolo borghese acquistata dall’operaio o nel vestito da ballo che la moglie indossa per andare ad una festa
oppure nel colletto inamidato per andare al lavoro o ancora nell’uscita serale al bar come nella repressione familiare della donna c’è più verità sulla struttura caratteriale degli individui che non in
tante pubblicazioni sulle tendenze conservatrici delle masse, anche se vestiti, comportamenti e atteggiamenti familiari sono solo l’espressione esteriore di un processo in atto nell’individuo di cui si
parla, un segno della sua predisposizione ad accogliere ideologie conservatrici.
Ritornando al testo reichiano sul nazismo potremmo chiederci se la follia di Hitler si è trasformata
nella follia di un’intera nazione, se non addirittura di gran parte dell’Europa? E che esiste tra il
Fuhrer e il popolo tedesco un rapporto di reciprocità e di mutuo scambio tale per cui si potrebbe
considerare Hitler come l’espressione di una condizione mentale presente in milioni di persone e
non solo in Germania? E come è potuto accadere che settanta milioni di tedeschi siano stati sedotti
dall’incubo di uno psicopatico?
Se si ha a che fare con una intera comunità i cui membri sono stati esposti a influenze sociali, modelli familiari e modalità educative, condivisi nell’ambito di una data cultura o, quantomeno, da un suo strato sociale, un effetto possibile è quello per cui i membri di quella determinata comunità sociale tendono a pensare e ad agire in modo più o meno omogeneo, che si può configurare come un carattere culturale generale. Comprendere la natura delle forze sociali che influenzano lo sviluppo individuale dei membri della comunità è utile per capire meglio la frequenza e l’intensità con cui tali forze agiscono nel contesto collettivo. Se poi accade che l’individuo osservato sia il capo della comunità stessa ci si può aspettare di riconoscere in lui, in una forma esasperata, tutti i fattori psicologici in gioco con un rilievo più spiccato di quanto accadrebbe se avessimo a che fare con un
membro medio della comunità. Un capo ha successo solo quando la sua concezione personale, la
sua ideologia e il suo programma trovano riscontro nella struttura media di un largo strato di individui che fanno parte della massa. Si può dire che più l’individuo-massa, in seguito alla sua educazione, diventa impotente e maggiore è l’identificazione con il capo, più il bisogno infantile di appoggiarsi a qualcuno assumerà la forma di sentirsi-tutt’uno-con-il-capo .
Questa tendenza all’identificazione è la base psicologica del “narcisismo nazionale”, cioè della coscienza di sé presa a prestito dalla “grandezza della nazione”. Il piccolo borghese scopre se stesso
nel capo e, in base a questa identificazione, si sente un difensore della nazione; inoltre la sua situazione di miseria materiale e psicologica viene sublimata nell’idea che egli ha del “padrone e della sua geniale direzione”, non accorgendosi più di essere precipitato dentro una forma di sudditanza acritica e priva di significato. In questo senso è interessante notare, prendendo spunto dalla storia personale di Hitler, come l’origine piccolo-borghese delle sue idee coincidesse con le strutture caratteriali di quegli strati sociali, pronti ad accoglierle: strutture disposte alla sottomissione all’autorità e timorose della libertà degli uomini. Durante l’infanzia Hitler, totalmente carente di una figura guida, soffre della doppia personalità del padre: ubriaco e brutale a casa, solerte e fedele impiegato fuori. Anche la carriera militare fornisce un esempio della subalternità, sottomissione e servilismo di Hitler a uomini autorevoli, energici, disposti a guidarlo e a proteggerlo: l’arruolamento nell’esercito tedesco e la carriera di “polizia politica” successiva, con l’incarico di spiare e denunciare i commilitoni, sono i primi passi verso una sorta di adattamento sociale dopo il periodo di fame e di vagabondaggio a Vienna.
Da giovane nazionalista, che vive in Austria, Hitler è ostile alla casa regnante austriaca, rea di abbandonare la “patria tedesca alla slavizzazione” e il suo ideale diventa Bismarck per l’impegno profuso nell’unificazione della nazione tedesca. Dopo la sconfitta della Germania, dirà, in un passo del Mein Kampf, che si deve diffidare dell’intelligenza come della coscienza e riporre tutta la fede negli istinti, mentre, in un altro, scriverà che “era stato acceso un fuoco e dalle sue fiamme doveva un giorno scaturire la spada cui spettava il compito di riconquistare la libertà del Silgfrido tedesco e la vita della nazione germanica”. In questo processo di trasformazione della personalità Hitler,
nell’assumere quella nuova, sopprime per così dire la precedente, proiettandone tutte le caratteristiche negative e odiate all’esterno, sull’altro: l’ebreo. Per rafforzarsi nel suo nuovo ruolo e per vincere il proprio disagio egli deve continuamente provare a se stesso di essere il personaggio nuovo che crede di essere. Ne deriva un effetto a cascata dove ogni atto di brutalità, violenza e atrocità come anche di acquisizione di potere deve essere seguito da atti sempre maggiori in una spirale senza fine. Inoltre nei suoi discorsi, come riferisce Otto Strasser che è tra i fondatori del partito nazista, Hitler risponde alle vibrazioni del cuore umano con la sensibilità di un sismografo … che lo pone in grado, con una sicurezza di cui nessuna facoltà conscia potrebbe dotarlo, di agire come l’altoparlante che proclama apertamente i desideri più segreti, gli istinti più repressi, le sofferenze e le frustrazioni intime di un’intera Quasi individuasse e facesse appello al lato nascosto della personalità collettiva del ceto medio tedesco, cioè quella che trae gratificazione da un comportamento sottomesso, dalla disciplina e dallo spirito di sacrificio, incarnando invece, quello visibile, le caratteristiche di forza e di potenza. E’ come se Hitler potesse riuscire a bloccare le facoltà critiche dei propri concittadini assumendone su di sè il ruolo e diventando parte integrante della personalità dei suoi sostenitori con il dominio dei loro processi mentali. Così tutti coloro che stanno dalla sua parte combattono inconsciamente per ciò che ai loro occhi rappresenta la propria integrità psicologica ed è proprio l’atteggiamento di protezione e di fiducia delle masse nel capo carismatico che dà a questi e al ceto dominante la possibilità di “farcela”. Se le persone, che, come Hitler, sono possedute dai loro doppi, vivono le proprie esperienze in una dimensione paranoica (ne è esempio significativo il Sosia di Dostoevskij), attribuendone la responsabilità alla persecuzioni dei nemici, allora anche le parole di Sartre risultano significative: l’antisemita si è scelto criminale … ha censurato i suoi istinti d’assassino, ma ha trovato il modo di salvarli senza confessarli. Sa di essere perverso, ma poiché fa il Male per il Bene, poiché tutto un popolo attende da lui  la liberazione, egli si considera come un perverso sacro. In seguito ad una inversione di tutti i valori … è incline alla collera, all’odio, al saccheggio, all’assassinio, a tutte le forme di violenza che si collegano secondo lui alla stima, al rispetto, all’entusiasmo; e nel momento stesso in cui la perversità lo ubriaca, sente in sé la leggerezza e la pace che gli danno la coscienza tranquilla e la soddisfazione del dovere compiuto.
Ecco allora che una umanità così strutturata vive, ama e odia solo in modo meccanico, acquisendo
quegli atteggiamenti caratteriali che nella “peste” nazista hanno trovato la loro più matura espressione: una concezione gerarchica e burocratica della società, la paura della responsabilità, il desiderio di avere un capo, la schiavitù interiore, l’attesa di ricevere ordini, il sadismo come pulsione e un’amoralità nelle azioni di annientamento degli altri: ebrei, zingari, malati mentali, omosessuali,
minorati fisici, testimoni di Jehova e avversari politici.
Come fare allora per contrastare la peste nazista e per ridare la parola al movimento rivoluzionario,
si chiede Reich? In primo luogo si deve essere consapevoli che non è possibile rendere inoffensivo l’elemento fascista se non lo si rintraccia nel proprio essere e se non si riconoscono le istituzioni sociali che lo “covano” ogni giorno. In secondo luogo bisogna studiare e capire non perché la gente affamata ruba o perché gli operai sfruttati scioperano, ma perchè la maggioranza dei miserabili non ruba e perché i lavoratori sfruttati non scioperano. In terzo luogo si deve comprendere che la coscienza di classe si
costruisce solo a partire dal privato riuscendo a collegare aspirazioni, desideri e bisogni alla sfera
della politica: un’anticipazione dello slogan il personale è politico della fine degli Anni Sessanta. Dobbiamo così rivolgere molta più attenzione (ed è questo, a mio avviso, l’insegnamento reichiano più importante che emerge dall’analisi dei due testi) ai piccoli fatti della vita quotidiana nell’idea
che è lì che il nostro sacco si riempie, a poco a poco, di piccole ombre che poi, nel tempo, crescono e possono avere il sopravvento, se non siamo pronti al riconoscimento morale del Male dentro di noi e nella società e a contrastarlo, riconoscendolo e non negandolo.

Bibliografia 
B. Bettelheim, Il prezzo della vita, trad. it., Adelphi, Milano 1965.
B. Bettelheim Sopravvivere, trad. it., Feltrinelli, Milano 1981.
R.Blay, Il piccolo libro dell’ombra, trad.it., Red edizioni, Como 1992.
A. Carotenuto, Eros e Pathos, Bompiani, Milano 1993.
E. Galeano, A testa in giù. La scuola del mondo alla rovescia, Sperling & Kupfer, Milano 1999.
A. Guggenbuhl-Craig, La parte nascosta, trad. it., Moretti & Vitali, Bergamo 2002.
W. C. Langer, Psicanalisi di Hitler, trad.it., Garzanti, Milano 1973.
P. Levi, Se questo è un uomo, Einaudi, Torino 1992.
E. Lévinas, Alcune riflessioni sulla filosofia dell’hitlerismo, trad. it., Quodlibet, Macerata 1966
N.P. Nielsen, L’universo mentale “nazista”, Franco Angeli, Milano 2004.
W. Reich, Psicologia di massa del fascismo, trad. it., Mondatori, Milano 1977.
W. Reich, Che cos’è la coscienza di classe? (a cura di C. Giansiracusa), trad.it., Collettivo editoriale 10/16, Milano 1979.
J. P. Sartre, L’antisemitismo. Riflessioni sulla questione ebraica, trad.it., Edizioni di Comunità, Milano 1964

Nessun commento: