giovedì 12 febbraio 2009

Censura web :In Europa e USA i controlli sul Web mirano a proteggere gli interessi delle aziende

ITALIANI SOTTO CONTROLLO?

dalla rivista Computer Magazine di Febbraio  2009

Un indirizzo IP "legato" a ogni abbonato a Internet: la proposta del Ministro Maroni ha scatenato proteste e preoccupazioni nel mondo degli appassionati di internet ronti alla censura. Ma è cosi difficile controllare le comunicazioni sul Web? A ben guardare, non lo è affatto. I provider, per motivi squisitamente tecnici, hanno accesso a una gran quantità di informazioni che si prestano a diversi usi. In pratica, tutte le informazioni e gli strumenti per imporre una pesante censura esistono già. È sufficiente che un governo imponga di eseguire i controlli. Le informazioni cosi disponibili sono tante: per prima cosa è possibile vedere tutti i siti che abbiamo visitato e computer con cui abbiamo scambiato Informazioni, file e messaggi. Ma c'è di più. I dati relativi ai collegamenti, per esempio quelli che fanno riferimento alle connessioni con il router Wl-R, indicano anche informazioni aggiuntive, come il tipo di dispositivo usato per il collegamento. Consultando anche in remoto il LOG di connessione, quindi, è possibile sapere se alla rete si è collegato un computer portatile o uno smartphone, ma anche sapere se si trattava di un modello BlackBeiry o di un iPhone, consentendo, per esempio, dì scoprire in un attimo dove sono stati scaricati dei file. Le funzioni di deep scanning sul traffico dati, invece, dicono molto riguardo l'uso che facciamo di Internet, consentendo di capire, per esempio, se abbiamo usato la nostra connessione per navigare sul Web, scaricare la posta elettronica o scambiare file attraverso un circuito P2P. A peggiorare le cose ci si sono messe le varie leggi anti-terrorismo, che in molti paesi hanno inasprito le regole per la gestione delle connessioni a Internet. Anche se la funzione principale è prevenire atti terroristici e garantire l'ordine pubblico, si tratta di un meccanismo che potrebbe trasformarsi facilmente in un formidabile strumento di censura. Il caso italiano Sul tema della rintracciabilità dei computer connessi a Internet è inter­venuto recentemente an­che il Ministro degli Interni Italiano, suscitando un ve­ro vespaio con la proposta di assegnazione di un in­dirizzo IP "personale" per tutti i cittadini italiani. Al momento, infatti, solo una parte delle connessioni usano indirizzi IP fissi. La maggior parte, per esem­pio quelli usati di solito nelle comuni connessioni ADSL casalinghe, sono dinamici. Questo signifi­ca che al computer viene assegnato un indirizzo IP diverso ogni volta che si collega a Internet. La proposta del Ministro Maroni punterebbe, quin­di, a eliminare gli IP dina­mici per rendere più facile l'identificazione di chi na­viga sul Web. Al di là delle considerazioni legate al fatto che una simile ope­razione somiglia un po' troppo a una schedatura di massa dell'intera po­polazione Web italiana, a sconsigliare una soluzione simile ci sono anche delle macroscopiche contro-in­dicazioni di carattere squi­sitamente tecnico. Per prima cosa, l'utilità. Anche se un IP è dinami­co, infatti, risalire al com­puter cui era assegnato un determinato indirizzo in un preciso momento è facilissimo: tutte queste informazioni sono regi­strate dai singoli provider, che possono individuare il proprietario del compu­ter attraverso User Name e password di accesso. È vero che per avere queste informazioni è necessario l'ordine del giudice, ma se anche si volesse elimi­nare questa procedura di garanzia per gli utenti, as­segnare un IP unico a tutti i cittadini italiani sarebbe come decidere di scavare un tunnel di 20 Km per su­perare una collinetta. In secondo luogo, esiste un problema di carattere economico. L'uso degli indirizzi IP dinamici, infat­ti, rappresenta un siste­ma usato da provider per ridurre i costi di gestione. Questi ultimi, infatti, pa­gano una sorta di canone per l'uso di ogni indiriz­zo IP a loro disposizione, che possono gestire asse­gnandolo di volta in volta ai loro clienti. Il numero di "concessioni" a disposizione di un provi­der, però, è di solito inferio­re ai clienti effettivamente serviti. Difficilmente, infat­ti, tutti gli utenti saranno collegati contemporanea­mente usando così tutti gli indirizzi IP disponibili. I provider, in questo modo, spendono meno di quan­to farebbero se dovessero acquisire un indirizzo IP per ogni abbonato. Cosa succederebbe se venisse­ro obbligati per legge ad acquisire un indirizzo uni­co per ogni cliente? Controllo e mercato Se in molti paesi i controlli sono gestiti per iniziativa stessa dei governi, nelle nazioni "democratiche"sono più spesso le aziende a imporre sistemi di con­trollo del traffico Internet. Basti pensare, per esem­pio, alla questione legata alla possibilità di riprodur­re le opere digitali e le sue conseguenze sulla prote­zione del diritto d'autore, a partire dalle "citazioni" di contenuti altrui nei siti Web, per arrivare alla que­stione della circolazione di musica e video nei circuiti di File Sharing. Proprio le pressanti ri­chieste per il blocco degli scambi illegali di file hanno provocato un aumento dei controlli nel traffico Web, arrivando all'uso sistema­tico del cosiddetto Deep Scanning, un sistema di analisi dei dati trasmessi e ricevuti che consente di "mappare" le trasmissioni e individuare quelle illegali (o potenzialmente illegali) per limitarle o segnalarle. Quest'ultimo aspetto è ri­levante per quanto riguar­da la qualità del servizio, spesso compromessa sul­la base di politiche di ge­stione piuttosto discutibili. È il caso delle limitazioni imposte da alcuni provider italiani, che in alcuni casi limitano la disponibilità di banda per le comunicazio­ni attraverso li protocollo UDP, usato dalle applicazioni Peer To Peer, con un duplice scopo: favori­re la normale navigazione su Internet e scoraggiare l'utilizzo dei software di File Sharing. Censura indiretta Negli ultimi mesi, la crona­ca ha registrato fenomeni nuovi, legati allo sviluppo del cosiddetto "Web 2.0", ovvero tutta quella parte di Rete che si alimenta della passione di persone che sfruttano il Web per pub­blicare i loro contenuti. Dopo la prima reazione di entusiasmo per l'esplo-sione del fenomeno, però, sembra proprio che questo modo di intendere la Rete non piaccia più di tanto a chi cerca guadagni dalla Rete. Il fulcro del problema sta nel fatto che i vari Social Network, da MySpace a FaceBook e YouTube, vivo­no di pubblicità e le azien­de che pubblicano annunci non gradiscono affatto che non ci sia alcuna forma di controllo sui contenuti che compaiono di fianco ai lo­ro spot pubblicitari. Il caso più eclatante è quello che ha coinvolto YouTube. In seguito alle pressioni degli inserzioni­sti, infatti, il popolare sito ha introdotto un sistema di controllo sui video pub­blicati per escludere dal­le sue pagine il materiale pornografico e qualsiasi video che alluda, anche vagamente, al sesso. L'elemento curioso, in questo caso, è che il con­trollo è stato affidato in buona parte agli stessi vi­sitatori del sito, che sono invitati a segnalare conte­nuti offensivi o disdicevoli. Considerato che esistono decine di motivi per cui un visitatore potrebbe voler cancellare un video dal si­to, è probabile che il siste­ma di censura di YouTube porti solo a una gran con­fusione e finisca per dan­neggiare il sito stesso.

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