ITALIANI SOTTO CONTROLLO?
dalla rivista Computer Magazine di Febbraio 2009
Un indirizzo IP "legato" a ogni abbonato a Internet: la proposta del Ministro Maroni ha scatenato proteste e preoccupazioni nel mondo degli appassionati di internet ronti alla censura. Ma è cosi difficile controllare le comunicazioni sul Web? A ben guardare, non lo è affatto. I provider, per motivi squisitamente tecnici, hanno accesso a una gran quantità di informazioni che si prestano a diversi usi. In pratica, tutte le informazioni e gli strumenti per imporre una pesante censura esistono già. È sufficiente che un governo imponga di eseguire i controlli. Le informazioni cosi disponibili sono tante: per prima cosa è possibile vedere tutti i siti che abbiamo visitato e computer con cui abbiamo scambiato Informazioni, file e messaggi. Ma c'è di più. I dati relativi ai collegamenti, per esempio quelli che fanno riferimento alle connessioni con il router Wl-R, indicano anche informazioni aggiuntive, come il tipo di dispositivo usato per il collegamento. Consultando anche in remoto il LOG di connessione, quindi, è possibile sapere se alla rete si è collegato un computer portatile o uno smartphone, ma anche sapere se si trattava di un modello BlackBeiry o di un iPhone, consentendo, per esempio, dì scoprire in un attimo dove sono stati scaricati dei file. Le funzioni di deep scanning sul traffico dati, invece, dicono molto riguardo l'uso che facciamo di Internet, consentendo di capire, per esempio, se abbiamo usato la nostra connessione per navigare sul Web, scaricare la posta elettronica o scambiare file attraverso un circuito P2P. A peggiorare le cose ci si sono messe le varie leggi anti-terrorismo, che in molti paesi hanno inasprito le regole per la gestione delle connessioni a Internet. Anche se la funzione principale è prevenire atti terroristici e garantire l'ordine pubblico, si tratta di un meccanismo che potrebbe trasformarsi facilmente in un formidabile strumento di censura. Il caso italiano Sul tema della rintracciabilità dei computer connessi a Internet è intervenuto recentemente anche il Ministro degli Interni Italiano, suscitando un vero vespaio con la proposta di assegnazione di un indirizzo IP "personale" per tutti i cittadini italiani. Al momento, infatti, solo una parte delle connessioni usano indirizzi IP fissi. La maggior parte, per esempio quelli usati di solito nelle comuni connessioni ADSL casalinghe, sono dinamici. Questo significa che al computer viene assegnato un indirizzo IP diverso ogni volta che si collega a Internet. La proposta del Ministro Maroni punterebbe, quindi, a eliminare gli IP dinamici per rendere più facile l'identificazione di chi naviga sul Web. Al di là delle considerazioni legate al fatto che una simile operazione somiglia un po' troppo a una schedatura di massa dell'intera popolazione Web italiana, a sconsigliare una soluzione simile ci sono anche delle macroscopiche contro-indicazioni di carattere squisitamente tecnico. Per prima cosa, l'utilità. Anche se un IP è dinamico, infatti, risalire al computer cui era assegnato un determinato indirizzo in un preciso momento è facilissimo: tutte queste informazioni sono registrate dai singoli provider, che possono individuare il proprietario del computer attraverso User Name e password di accesso. È vero che per avere queste informazioni è necessario l'ordine del giudice, ma se anche si volesse eliminare questa procedura di garanzia per gli utenti, assegnare un IP unico a tutti i cittadini italiani sarebbe come decidere di scavare un tunnel di 20 Km per superare una collinetta. In secondo luogo, esiste un problema di carattere economico. L'uso degli indirizzi IP dinamici, infatti, rappresenta un sistema usato da provider per ridurre i costi di gestione. Questi ultimi, infatti, pagano una sorta di canone per l'uso di ogni indirizzo IP a loro disposizione, che possono gestire assegnandolo di volta in volta ai loro clienti. Il numero di "concessioni" a disposizione di un provider, però, è di solito inferiore ai clienti effettivamente serviti. Difficilmente, infatti, tutti gli utenti saranno collegati contemporaneamente usando così tutti gli indirizzi IP disponibili. I provider, in questo modo, spendono meno di quanto farebbero se dovessero acquisire un indirizzo IP per ogni abbonato. Cosa succederebbe se venissero obbligati per legge ad acquisire un indirizzo unico per ogni cliente? Controllo e mercato Se in molti paesi i controlli sono gestiti per iniziativa stessa dei governi, nelle nazioni "democratiche"sono più spesso le aziende a imporre sistemi di controllo del traffico Internet. Basti pensare, per esempio, alla questione legata alla possibilità di riprodurre le opere digitali e le sue conseguenze sulla protezione del diritto d'autore, a partire dalle "citazioni" di contenuti altrui nei siti Web, per arrivare alla questione della circolazione di musica e video nei circuiti di File Sharing. Proprio le pressanti richieste per il blocco degli scambi illegali di file hanno provocato un aumento dei controlli nel traffico Web, arrivando all'uso sistematico del cosiddetto Deep Scanning, un sistema di analisi dei dati trasmessi e ricevuti che consente di "mappare" le trasmissioni e individuare quelle illegali (o potenzialmente illegali) per limitarle o segnalarle. Quest'ultimo aspetto è rilevante per quanto riguarda la qualità del servizio, spesso compromessa sulla base di politiche di gestione piuttosto discutibili. È il caso delle limitazioni imposte da alcuni provider italiani, che in alcuni casi limitano la disponibilità di banda per le comunicazioni attraverso li protocollo UDP, usato dalle applicazioni Peer To Peer, con un duplice scopo: favorire la normale navigazione su Internet e scoraggiare l'utilizzo dei software di File Sharing. Censura indiretta Negli ultimi mesi, la cronaca ha registrato fenomeni nuovi, legati allo sviluppo del cosiddetto "Web 2.0", ovvero tutta quella parte di Rete che si alimenta della passione di persone che sfruttano il Web per pubblicare i loro contenuti. Dopo la prima reazione di entusiasmo per l'esplo-sione del fenomeno, però, sembra proprio che questo modo di intendere la Rete non piaccia più di tanto a chi cerca guadagni dalla Rete. Il fulcro del problema sta nel fatto che i vari Social Network, da MySpace a FaceBook e YouTube, vivono di pubblicità e le aziende che pubblicano annunci non gradiscono affatto che non ci sia alcuna forma di controllo sui contenuti che compaiono di fianco ai loro spot pubblicitari. Il caso più eclatante è quello che ha coinvolto YouTube. In seguito alle pressioni degli inserzionisti, infatti, il popolare sito ha introdotto un sistema di controllo sui video pubblicati per escludere dalle sue pagine il materiale pornografico e qualsiasi video che alluda, anche vagamente, al sesso. L'elemento curioso, in questo caso, è che il controllo è stato affidato in buona parte agli stessi visitatori del sito, che sono invitati a segnalare contenuti offensivi o disdicevoli. Considerato che esistono decine di motivi per cui un visitatore potrebbe voler cancellare un video dal sito, è probabile che il sistema di censura di YouTube porti solo a una gran confusione e finisca per danneggiare il sito stesso.
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