di Stephen Jay GouId da Domenica , Sole24ore, del 1/2/09
Come paleontologo di professione e (davvero avrò il coraggio di dirlo?) liberal con tanto di tessera, ho trovato divertente, ma ancheun po' mortificante, la moda attualmente diffusa negli ambienti intellettuali conservatori di invocare Charles Darwin - la fondamentale icona del mio mondo professionale - come un flagello o, a seconda dei casi, come un alleato a sostegno delle proprie amate dottrine. Poiché, com'è logico, Darwin non può coprire entrambi i ruoli simultaneamente, e poiché il dato di fatto dell'evoluzione in generale (e la teoria délla selezione naturale iri particolare) non può, in ogni caso, offrire un legittimo sostegno a nessuna particolare filosofia morale o sociale, ho fiducia che egli, grandissimo fra tutti i biologi - rimarrà silenzioso, a prescindere dal volume delle voci conservatrici che si leveranno ad evocarlo. A un estremo, la flagellazione di Darwin - l'idea che se lo cacceremo lontanò da noi, allora potremo risvegliarci - ha animato una fazione religiosa che considera fondamentale, per un governo stabile e una società ordinata, il revival cristiano vecchio stile. In Slouching Towards Gomorrah, per esempio, Robert Borkc scrive: «II principale ostacolo che si oppone a un rinnovamento religioso è rappresentato dalle classi intellettuali ......le quali credono che la scienza abbia lasciato soltanto l'ateismo quale unica posizione intellettuale rispettabile. Stando alle descrizioni convenzionali, Freud, Marx e Darwin hanno messo in rotta i credenti. Oggi gli intellettuali hanno smesso di considerare Freud e Marx irrefutabili e pare che sia giunto per Darwin ormai il mento di subire una svalutazione». Poi, dimostrando una conoscenza della paleontologia pari a quella che io possiedo nel campo del diritto costituzionale - ossia zero- Bork cita come presunta prova dell'imminente declino di Darwin una scempiaggine tanto trita quanto assurda: «La documentazione fossile si sta dimostrando una fonte di grande imbarazzo per la teoria evqluzionista». Se Bork mi farà dare un'occhiata a quella famosa statua di sale subito fuori Gomorra, io sarò lieto di contraccambiare mostrandogli le abbondanti prove in nostro possesso di fossili intermedi che testimoniano fondamentali transizioni evolutive: quella dei mammiferi dai rettili, dei cetacei da progenitori che vivevano sulle terre emerse, e degli esseri umani da antenati affini alle antropomorfe. Nel frattempo, e a un estremo opposto, la celebrazione di Darwin, l'asserzione che se noi lo accogliamo, lui convaliderà i fondamenti determinati a venerare i dogmi politici conservatori come dettati della natura. Su «National Review», per esempio, John O. McGinnis ha recentemente sostenuto: «II nuovo sapere biologico ha il potenziale di offrire al conservatorismo un sostegno più forte di quanto abbia mai fatto qualsiasi altro corpus di nuove conoscenze. [...] Possiamo equamente concludere che una politica darwiniana è in larga misura una politica conservatrice». McGinnis poi elenca i fondamenti biologici - fra i quali cita l'egoismo, le differenze sessuali e la "naturale ineguaglianza" - quali altrettanti esempi del fatto che l'ideologia di destra si fonda sulla teoria evolutiva. Secondo McGinnis, oltretutto, il darwinismo sembra fatto apposta non solo per sostenere la politica conservatrice in generale, ma anche per convalidare, più in particolare, quella che lui stesso predilige. Per esempio, si serve di argomenti evoluzionisti speciosi per criticare aspramente il "libertarismo puro" e quindi invoca Darwin per asserire che lo Stato ha l'autorità legittima sia di obbligare i cittadini a risparmiare per gli anni della vecchiaia, sia di tenere a frenò le loro inclinazioni sessuali. McGinnis scrive: «II sé giovanile è connesso in modo talmente debole all'idea del sé più anziano (e questo principalmente perché nelle società di cacciatori-raccoglitori moltissimi individui non arrivavano alla vecchiaia) che con ogni probabilità sono in molti a non risparmiare a sufficienza pjérla vecchiaia. [...] Pertanto, un intervento statale che costringesse gli individui a risparmiare per gli anni della pensione potrebbe essere giustificato. [...] [Inoltre] la società potrebbe trovarsi nella necessità di "creare istituzioni perl'orientamento ed il contenimento dell'attività sessuale». L'uso improprio di Darwin non è rimasto confinato alla destra politica. Anche i liberal hanno adottato entrambe le strategie di gioco, peraltro contradditorie: negando Darwin quando trovavano sgradevoli le implicazioni della sua teorìa, e invocandolo per poter considerare i loro principi politici avallati dalla natura. Alcuni liberal se la prendono con Darwin perché fraintendono la sua teoria vedendo in essa la dichiarazione di una battaglia aperta e cruenta, in una perpetua "lotta per 'l'esistenza". In realtà, Darwin identificava questa "lotta" come esplicitamente metaforica: in alcune circostanze perseguita meglio con la cooperazione, in altre con la competizione. All'inizio del XX secolo, molti liberal ricorrendo alla strategia opposta, e cioè accettando Darwin - sostennero l'idea della riproduzione fra i più dotati, scoraggiando nel contempo la procreazione fra gli indivìdui presunti non idonei. Tanto i critici di Darwin, quanto i suoi entusiasti sostenitori possono essere confutati ricorrendo ad argomentazioni semplici è venerande. Ai primi posso dire soltanto che l'evoluzione darwiniana ha un ruolo sempre più incisivo e convincente come elemento portante delle scienze biologiche e, più in generale, che nessuna verità scientifica può rappresentare una minaccia per la religione, giustamente concepita come ricerca di ordine morale e significato spirituale. A coloro che vorrebbero trovare conferma delle proprie convinzioni religiose nei fatti della natura, suggerisco invece di riflettere seriamente sulle sagge parole del reverendo Thomas Burnet, scienziato del XVII secolo: «È cosa perigliosa trascinare l'autorità delle Scritture nelle dispute sul mondo della Natura [...] affinchè il Tempo, che tutto porta alla luce, non debba svelare l'evidente falsità di quanto avevamo fatto asserire alle Scritture». Questo apprendeva la Chiesa cattolica ro-jriana nel XVII secolo, dopo aver accusato Galileo di eresia; e di questo i fondamentalisti moderni dovrebbero prender nota e far tesoro, quando negano la fondamentale conclusione della biologia. Coloro che reclutano Darwin per sostenere una particolare linea morale o politica dovrebbero ricordare che, nel migliore dei casi, la biologia evoluzionista può offrirci qualche intuizione sull'antropologia della morale: per esempio sul perché alcuni (o molti) individui pratichino certi valori, forse per il proprio vantaggio darwiniano. La scienza però non può mai decidere la moralità della morale. Supponiamo di scoprire che un milione di anni fa, nelle savane africane, l'aggressività, la xenofobia, l'infanticidio selettivo e la sottomissione delle donne offrisse dei vantaggi darwiniani ai nostri progenitori cacciatori-raccoglitori. Una tal conclusione non sancirebbe - nel presente come nel passato - il valore morale di questi comportamenti, né di qualsiasi altro. Forse dovrei essere lusingato per il fatto che il mio campo d'interesse, la biologia evoluzionista, abbia usurpato la posizione (tenuta nei secoli precedenti dalla cosmologia e, in un passato più recente, dal freudismo) di scienza considerata più immediatamente rilevante per rispondere agli interrogativi profondi sul significato della nostra vita. Dobbiamo tuttavia rispettare i limiti della scienza se vogliamo trarre profitto dalle sue autentiche intuizioni. Il famoso epigramma di G.K. Chestertori - «L'arte consiste nella limitazione; l'essenza di ogni dipinto è la cornice» -'si applica ugualmente bene anche alla scienza. Anche Darwin comprese questo principio, giacché sospettava che il cervello umano, evoluto per altre ragioni nel corso di molti milioni di anni, potesse essere male equipaggiato per risolvere gli interrogativi più profondi e astratti sul significato ultimo della vita. Come scrisse al botanico americano Asa Gray nel 1860: «Ho la nettissiriia impressione che tutta la materia sia troppo profonda per l'intelletto umano. Un cane potrebbe speculare altrettanto bene sulla mente di Newton». Coloro che fanno un cattivo uso di Darwin per promuovere i propri obiettivi dovrebbero ricordare l'ingiunzione biblica che diede il tìtolo a un grandissimo testo teatrale (Inherit thè Wind, di Jerome Lawrence e Robert E. Lee, del 1955) imperniato sul tentativo di sopprimere l'insegnamento della teoria evoluzionista nelle scuole d'America: «Ma chi inganna sarà vittima dei suoi stessi raggiri. [...] Chi mette scompiglio in casa non erediterà nulla».
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