Qando nel 1999 il Board of Education del Kansas decise di togliere l'evoluzione e il Big Bang dai programmi di scienze delle scuole statali, Stephen Jay Gould non perse occasione per ribadire alcuni prìncipi di fondo che riguardano là natura dell'impresa scientifica. Chi sostiene che «l'evoluzione su larga scala è necessariamente un processo dubbio in quanto non e' stato osservato direttamente», scriveva Gould, non capisce che la buona scienza è sempre il risultato di una integrazione di «osservazione e inferenza». «Nessun processo che abbia luogo su periodi di tempo tanto lunghi,può essere visto direttamente. Se lagiustificazione richiedesse una testimonianza oculare, non avremmo le scienze del tempo profondo; niente geologia, e niente storia antica». Poi Gould aggiungeva che «le prove dell'evoluzione umana, solide come possono esserlo le ossa» sono di sicuro più numerose della documentazione che attesti che Giulio Cesare è davvero esistito. Gould aggiungeva poi un altro argomento, la cosiddetta «tesi dei due Magisteri non contrapposti». «Nessuna scoperta fattuale détta scienza (nessuna affermazione su come "è"la natura) può, in linea di principio, portarci a trarre conclusioni etiche (su come "dovremmo" comportarci) o ad abbracciare convinzioni sul significato intrinseco (lo "scopo" della nostra vita). Queste ultime due questioni - e quali ricerche più importanti di queste potremmo mai intraprendere? - sono saldamente collocate nei tenitori della religione, della filosofia e degli studi umanistici. La scienza, e la religione dovrebbero operare in un sodalizio sulla base egalitaria, rispettandosi reciprocamente, ciascuna padrona del suo dominio, ognuno dei quali è fondamentale, sebbene in modo diverso, per la vita umana». Questaposizione suona assai ragionevole, come quasi tutto ciò che scrive Gould, ma c'è da dubitare che una tregua del genere sarà rispettata. Anzi, a dire il vero c'è anche da dubitare che questa- tesi sia poi così corretta. Siamo così sicuri che i "fatti" descritti dall'evoluzionismo non implichino un cambiamento, anche piuttosto rilevante, della nostra visione della morale, dell'uomo e della società? Se non lo facessero, da dove deriverebbe l'irritazione che suscita in moltissime persone la sola idea che l'uomo derivi dalle scimmie? Perché allora non impegnarci, come compito per questo anno darwiniano, a costruire una morale al passo coi tempi, che sappia tener conto di ciò che abbiamo imparato da Darwin?
Nessun commento:
Posta un commento