martedì 24 febbraio 2009

Modello di neurobiologia dell'aggressività

stralcio  da THE AMERICAN JOURNAL OF PSYCHIATRY , edizione italiana , agosto 08, di Larry j.Siever, M.D. una revisione della letteratura

.....................L'aggressività emerge quando l'impulso di produzione della risposta alla collera prefrontale affettiva mediata dal sistema limbico o agli stimoli provocatori ,  non è sufficiente­mente trattenuto dall'inibizione ed è incanalato in un com­portamento violento. L'eccessiva reattività dell'amigdala, ac­coppiata con l'inadeguata regolazione prefrontale, serve ad aumentare la probabilità di comportamento aggressivo. Le al­terazioni dello sviluppo nel circuito prefrontale-sottocorticale, così come le anormalità dei neuro modulatori, sembrano avere un certo ruolo. La serotonina facilita l'inibizione prefrontale, e quindi un'insufficiente attività serotoninergica può aumen­tare l'aggressività. L'attività gabaergica al recettore GABA(A) può ridurre la reattività sonocorticale, e quindi una ridotta attività gabaergica può aumentare l'aggressività. Anche ridu­zioni dell'attività dell'ossitocina e aumenti dell'attività della vasopressina possono servire per indurre aggressività. Queste risultanze possono riflettere schemi di sviluppo aberranti. Ad esempio, riduzioni dell'innervazione serotoninergica della corteccia prefrontale causate dallo sviluppo e riflesse da un ridotto legame al trasportatore nel cingolato (76) possono ri­sultare in una minor facilitazione serotoninergica della rego­lazione della corteccia prefrontale. L'agonismo 5-HT2Apuò au­mentare l'impulsività, mentre quello 5-HT2C la può diminuire (65), e quindi uno squilibrio tra questi recettori con aumento dell'attività serotoninergica al recettore5-HT2A - in accordo con studi di binding S-HT nelle piastrine, imaging cerebrale e postmortem - e una diminuzione della sensibilità del recet­tore 5-HT2C - in accordo con ridotte risposte a metaclorofenil-piperazina e fenfluramina - possono aumentare la probabilità di aggressività impulsiva. I fattori trofici che operano durante lo sviluppo possono contribuire a questo schema, e ridotte risposte cFos a fenfluramina. legame aumentato a 5-HT2A e ridotto a 5-HT2C sono stati identificati nel topo knock-down per il fattore neurotrofico di derivazione cerebrale (BDNF) caratterizzato da comportamento aggressivo (132). La varia­zione dei geni serotoninergici come TPH, (133) o 5-HTT (18) può patimenti contribuire a un alterato sviluppo serotoninergico. La fluoxetina può invertire questo pattern aumentando la disponibilità presinaptica. diminuendo il legame 5-HT2A e facilitando il segnale al recettore 5-HT2r . Per quanto i meccanismi di aggressività possano variare tra i disturbi psichiatrici , essi tendono a coinvolgere uno squilibrio della regolazione corticale/sottocorticale.

Implicazioni per il trattamento Questa revisione non intende valutare l'evidenza cllnica a favore o contro specifici interventi, ma piuttosto passare in rassegna i meccanismi neurobiologici che potrebbero essere considerati nelle strategie di trattamento, sia con farmaci esistenti sia con quelli che ancora non sono stati sviluppati. Il deficit di inibizione prefrontale che non fornisce "freni" suf­ficienti sul comportamento aggressivo impulsivo può essere migliorato da SSRI, che possono facilitare l'inibizione delle re­gioni sottocorticali aumentando la disponibilità di serotonina nelle regioni prefrontali, particolarmente la corteccia orbitale (134) , mentre gli stabilizzatori dell'umore e gli antiepilettici, che alterano l'equilibrio glutamatergico/gabaergico, riducono irritabilità e impulsività (135). Gli antagonisti oppiacei possono ridurre il comportamento autolesivo (97). Le psicoterapie, sia psicodinamiche, come la terapia transferencebased, sia comportamentali, come la terapia dialettico-comportamentale, possono servire ad aumentare la capacità di ritardare e inibire i comportamenti aggressivi, aumentando le capacità della funzione verbale/riflessiva, così come aiu­tando a ridurre l'eccessiva sensibilità alle emozioni.

Future direttive Come evidenziato in un recente commento in questo Journal (136), le ricerche sono esigue riguardo le cause sottostanti la violenza e l'aggressività, considerata la grande morbilità asso­ciata a questi comportamenti. Un gran numero di questioni più specifiche deve essere ulteriormente affrontato. Primo, il circuito implicato nella regolazione dell'aggressività è stretta­mente correlato ai circuiti coinvolti nel condizionamento alla paura e nel controllo affettivo. Bisogna definire meglio una de­lineazione più elaborata dei punti in comune e delle differenze esistenti tra le regioni e i circuiti coinvolti in questi differenti paradigmi, che hanno molti aspetti clinici sovrapposti e siner­gici. Secondo, bisogna chiarire meglio il modo preciso con cui i neuromodulatori citati interagiscono e modulano i circuiti cerebrali associati all'aggressività. Ad esempio, è chiaro che la serotonina modula l'attività prefrontale, specificamente le cortecce frontale orbitale e cingolata anteriore, mentre i neu-ropeptidi modulano le strutture limbico/sottocorticali, ma è necessaria una maggiore specificità regionale per capire me­glio il ruolo di questi neuromodulatori. Terzo, bisogna chiarire meglio l'interrelazione tra i sistemi di neuromodulatori. Ad esempio, la serotonina ha interazione reciproca con le cateco-lamine, ma ha anche relazioni con peptidi come vasopressina e ossitocina. È necessaria una comprensione più dettagliata di queste relazioni riguardo l'aggressività. Quarto, i parame­tri biologici che riflettono l'attività di questi neurocircuiti e neuromodulatori devono essere valutati prima e dopo i trat­tamenti efficaci, per determinare quali variabili potrebbero essere predittive di risposte favorevoli al trattamento e quali variabili potrebbero essere modificate con il trattamento. Infine, nuovi interventi farmacologici, come gli antagonisti 5-HT2A, gli agonisti 5-HT2C, agonisti/antagonisti misti degli oppiacei e l'ossitocina, devono essere valutati clinicamente. Le strategie raccomandate comprendono l'utilizzo di neuro­modulatori come trattamento o prove con specifici compiti comportamentali che controllano la regolazione di aggressi-vita, affiliazione, fiducia ed emozioni. Gli studi di imaging che catturano i circuiti coinvolti nell'espressione dell'aggressività, nella percezione della minaccia e nella percezione dell'emo­zione, ad esempio, saranno utili nell"analizzare meglio i cir­cuiti e valutare gli effetti del trattamento. Pertanto i progressi nella comprensione della neurobiologia della violenza pos­sono contribuire in modo importante alla valutazione e al trattamento razionale dei soggetti con aggressività patologica e predisposizione alla violenza. (segue bibliografia, 136 lavori)

1 commento:

Unknown ha detto...

Una precisazione: l'articolo e' una revisione aggiornata ed articolata di 136 lavori sull'argomento. Ovviamente considera solo l'aspetto organico, cioe' delle struttre cerebrali e dei neuromediatori coinvolti nei comportamenti aggressivi. I comportamenti aggressivi sono ben piu' complessi implicando l'aspetto psicologico soggettivo, relazionale sistemico,e sociale/culturale.