martedì 17 febbraio 2009

"Verità scientifiche? Un'analisi filosofica"

dal blog la scienza marcia e la menzogna globale , clicca

ipersintesi sul pensiero dei filosofi della scienza piu' noti ; molto utili gli altri tre precedenti articoli , sempre sullo stesso blog

......................Il primo in ordine di tempo (almeno fra i più moderni) è A.E. LeRoy, il quale considerava i fatti scientifici come “creazione” di teorie da parte degli scienziati e riduceva le teorie scientifiche a pure convenzioni nominalistiche. La scienza secondo lui non è che una regola d’azione. “Non ci è possibile conoscere nulla, ma siamo imbarcati e costretti ad agire e così, a caso, ci siamo fissati delle regole. È l’insieme di queste regole che si dice scienza. È lo scienziato che crea il fatto scientifico e il linguaggio nel quale egli lo enuncia”. Secondo tale pensatore dell’ottocento è l’occhio dello scienziato che crea il fenomeno da osservare. Per chi conosce la meccanica quantistica e la problematica del rapporto fra fenomeno e osservatore tali scritti appaiono singolarmente preveggenti. Il convenzionalismo è la dottrina secondo cui le leggi e le teorie scientifiche dipendono da un accordo più o meno esplicito tra gli scienziati, sono cioè convenzioni che dipendono dalla loro scelta più o meno libera tra varie alternative di “descrivere” il mondo naturale. L’alternativa scelta non è più vera delle altre, è semplicemente più conveniente. A. S. Eddington (1882-1944, astronomo e fisico) per chiarire il suo pensiero sviluppa l’analogia della “rete da pesca”: se un ittiologo, indagasse sulla fauna marina osservando i tipi di pesci impigliati in una rete con fori ampi 5 cm giungerebbe a due generalizzazioni: la prima è che non esistono animali marini più piccoli di 5 cm, e la seconda che tutti gli animali marini hanno le branchie. Di tale autore potete leggere: The Nature of Physical World (Cambridge, 1928) e The Philosophy of Physical Science, (Cambridge, 1949). W. Bartley (autore del non giustificazionismo) si muove lungo due linee principali. La prima è il tentativo di generalizzare il criterio del già citato Karl Popper di distinzione tra scienza e non-scienza e la costruzione di una teoria della razionalità. Egli individua la tesi per cui ogni discorso “razionale” deve necessariamente partire da un presupposto irrazionalmente accettato, un dogma che vada assunto per fede, e che, come tale, è al di là di ogni possibile critica. Di tale autore potete leggere in italiano Ecologia della razionalità (Armando editore, Roma, 1990) e Come demarcare la scienza dalla metafisica (Borla, Roma, 1983). La sociologia della scienza (anch’essa compresa nell’epistemologia o filosofia della scienza) mette in luce i nessi che esistono fra la situazione socio-economica, l’ideologia dominante e la cultura di un determinato periodo, e lo sviluppo di ciascuna scienza dall’altro lato. Per quanto riguarda gli autori di tale branca della conoscenza si trova quasi tutto in inglese, uno dei testi principali è infatti quello di Bruno Latour e Steve Woolgar, Laboratory Life: The Social Construction of Scientific Facts (Sage, Beverly Hills, 1979). Per fortuna ci sono anche alcuni testi in italiano come quello di P.L. Berger e T. Luckman La realtà come costruzione sociale (Il mulino, Bologna, 1969) e quello di D. Bloor La dimensione sociale della conoscenza (Raffaello Cortina editore, 1994). In qualche modo assimilabile alla sociologia della scienza è il lavoro di Kuhn, un altro studioso alquanto critico nei confronti della scienza, autore fra l’altro del famoso libro La struttura delle rivoluzioni scientifiche (Einaudi, Torino, 1969). Kuhn rilegge la storia della scienza alla luce di un meccanismo ambivalente: le grandi idee innovatrici della scienza che in una certa epoca si affermano e sono alla base del progresso, nell’epoca successiva diventano idee conservatrici che imbrigliano e ostacolano lo sviluppo scientifico. Lakatos, che parte dal lavoro di Kuhn ma porta avanti posizioni più liberali, sostiene che la scienza è una competizione di programmi di ricerca rivali. Di lui potete leggere La metodologia dei programmi di ricerca scientifici e matematici, scienza ed epistemologia, Scritti filosofici I-II (Il saggiatore, Milano, 1985). P. K. Feyerabend, sostiene che l’anarchismo, pur non essendo forse la filosofia politica più attraente, è senza dubbio una eccellente medicina per l’epistemologia e la filosofia della mente. Le sue critiche al sistema scientifico sono aspre, ironiche e ben argomentate. Di lui potete leggere ad esempio Contro il metodo, Feltrinelli editore, Milano 1979 (ormai reperibile solo nelle biblioteche), La scienza in una società libera (Feltrinelli editore, Milano 1981), Dialogo sul metodo (Laterza, 1989). Infine, dato che mi sono molto occupato del problema tema delle cosiddette “scienze umane” e della psichiatria, è il caso di fare un cenno allo psichiatra fenomenologo Alfredo Civita che porta avanti un discorso di critica alquanto radicale ai concetti della psichiatria ufficiale, al concetto di malattia mentale, alla cura farmacologica del disagio psichico. Pur non essendo in sintonia con tale autore lo cito come uno degli esempi di critica interna alla psichiatria stessa. Di lui si può leggere Introduzione alla storia e all’epistemologia della psichiatria (Guerini e associati, 1996).

1 commento:

Unknown ha detto...

Utili senza dubbio questi articoli per una sorta di storia sintetica della Filosofia della Scienza. Il rischio delle posizioni ipercritiche e' quello di finire nel nihilismo, in netto contrasto con quanto le "evidenze" scientifiche oggi mostrano : progressi, seppure relativi per efficacia ed estensione,ed anche rischiosi per le conseguenze sull'uomo ( tanto da porre seri problemi etici) ,che vanno distinti dalle finalita'e dalle manipolazioni a fini di interesse .
Comunque progressi.