domenica 5 febbraio 2012

Alessandro da Re , Prof Filos. Morale Padova, Neuroetica , stralci , da Brain lab


Neuroetica - Antonio Da Re from Fondazione Giannino Bassetti on Vimeo.

Antonio Da Re è professore ordinario di Filosofia Morale e Presidente dei Corsi di laurea in Filosofia presso l’Università di Padova. E' membro del Comitato Nazionale per la Bioetica. Fra le sue recenti pubblicazioni in lingua italiana: "Filosofia morale. Storia, teorie, argomenti" (Bruno Mondadori, 2008, 2a ediz.), "Percorsi di etica" (Il Poligrafo, 2007), "Etica e forme di vita" (Vita e Pensiero, 2007 - curatela).
Professore, il suo invito è a rileggere Aristotele alla luce delle neuroscienze, o avvicinarsi alle neuroscienze passando - prima - per la Metafisica?
Aristotele........... La mente influisce sul corpo o è il corpo a influire sulla mente? O vi è una sorta di reciproca influenza? Grazie agli sviluppi delle scienze cognitive, volti a determinare le diverse funzioni del cervello, la domanda riguardante il rapporto mentale - fisico viene ora declinata nella seguente: qual è il rapporto tra stati mentali, eventi, processi mentali e funzioni del cervello? Quegli stati, quei processi, quegli eventi mentali sono riducibili a un substrato cerebrale, fisico - chimico, a un insieme di neuroni e neurotrasmettitori? Ritengo che l’analogia con il mind-body problem sia giustificata, anche se risulta indubbiamente problematica, dal momento che si passa dalla considerazione del rapporto mente – corpo a quello tra mente – cervello. L’analogia poi risulta essere ancor più problematica nel momento in cui introduciamo una polarità di segno diverso, quale quella aristotelica del rapporto tra anima (psychè) e corpo.
Cioè?
Aristotele è fautore di una posizione rigorosamente antidualistica, e il dualismo è guardato sempre con molto sospetto all’interno del dibattito sia sul mind-body problem che sulla neuroetica, specie se si prende in considerazione un dualismo "hard" delle sostanze: la mente è sostanza immateriale, ma è sostanza; la natura umana sarebbe quindi costituita da due sostanze, una materiale e una immateriale. In verità, è ben difficile che oggi il dualismo delle sostanze venga difeso dagli studiosi. E' più facile che s’incontri la giustificazione di un "dualismo delle proprietà", in base al quale vi sarebbe una diversità delle proprietà della mente e del cervello, senza con ciò giungere alla conclusione che vi sarebbero due sostanze. In ogni caso il confronto con una prospettiva ilemorfica, cioè di materia (hyle) e forma (morphè), quale quella aristotelica è senz’altro stimolante...
Il passaggio dal funzionalismo all'ilemorfismo di cui Lei ha parlato a Padova è solo una metafora o un percorso programmatico possibile?
Hilary Putnam e Martha Nussbaum proposero negli anni settanta un’interpretazione funzionalistica della spiegazione aristotelica dei processi psichici. In particolare Putnam giunse a stabilire un rapporto di proporzionalità tra la mente e il corpo paragonabile a quello tra il software e l’hardware. Tuttavia l’interpretazione funzionalistica solleva dei problemi perché vi è una evidente differenza tra gli stati mentali dell’uomo - che comprendono anche dolore, sentimenti, emozioni, ... - e gli stati computazionali della macchina.
Cosa direbbe Aristotele in proposito?
La "psyché" di cui parla Aristotele non è riducibile al mentale, essa è la forma della materia (corpo). Ciò significa che il nostro corpo vivente, come del resto qualsiasi altra realtà vivente (piante, animali), non può sussistere senza la psychè, e del resto la psychè è sempre la psychè del corpo, essa cioè non sussiste come sostanza separata a prescindere dalla realtà del corpo.
Cosa distinguerebbe allora l'uomo dagli altri esseri viventi?
Ciò che qualifica l’anima dell’uomo rispetto all’anima delle piante o degli animali è l’elemento razionale. L’anima dell’uomo non è però solo razionalità, perché essa comprende anche le dimensioni vegetative e desiderative. Il pensare è quindi la forma di vita più completa, anche perché comprende le forme inferiori del crescere da un lato e del sentire, del desiderare dall’altro. L’anima dell’uomo beninteso è una (non vi sono tre anime) e il nous (intelletto) non conosce senza il corpo. Si serve ad esempio dell’apporto dei sensi e dell’immaginazione (phantasia), che elabora delle immagini (phantasmata) a partire dalla sensazione e poi della memoria.................
Molte delle riflessioni attuali della neuroetica sembrano andare nella direzione di riconoscere l'esistenza di una "mente estesa", non riducibile al solo cervello...
L’ipotesi della mente estesa è uno dei temi più affascinanti della discussione neuroetica contemporanea. Con ciò s'intende alludere al fatto che - come sottolinea anche Neil Levy nel suo recente libro sulle basi neurologiche del senso morale - la mente non è completamente contenuta all’interno del cranio, o dentro il corpo, ma si riversa invece nel mondo. Le funzioni cognitive della nostra mente si estendono quindi al di là di noi. Si servono di strumenti come libri, agende, computer, telefonini, ecc. per rinforzare ed estendere la nostra memoria. Ma poggiano anche sul sapere consolidato nel passato, trasmesso dalle generazioni che ci hanno preceduto. Non solo: si estendono alla mente di altri. Ora la questione è: in che cosa consiste propriamente la mia mente? Dove sta il confine della mia mente? Fin dove arriva la mia mente?
Sono domande fondamentali... Risposte?
A partire da queste domande ho proposto una suggestione e nulla più... Ho provato cioè a stabilire un legame con uno dei concetti più problematici ed enigmatici della storia del pensiero, ovvero il concetto di "intelletto agente" (nous poietikos), distinto da Aristotele rispetto all’intelletto passivo. Nel corso della storia sono state date interpretazioni contrastanti del significato dell’intelletto agente: chi l’ha interpretato come principio equiparabile a Dio e come tale del tutto esterno all’uomo, chi come principio proprio del singolo uomo; un’altra interpretazione ha visto nell’intelletto agente un intelletto unico, immateriale, non divisibile in molteplici individui, e come tale appartenente all’intera specie umana.
Quale di queste interpretazioni si è dimostrata lungimirante rispetto al dibattito neuroscientifico attuale?
Se fosse valida l'ultima interpretazione, la concezione dell'intelletto agente potrebbe forse rappresentare una modalità ante litteram per rendere conto della mente estesa, ovvero del fatto che la mente non è interamente contenuta nel cervello, che nella conoscenza vi è una dimensione sociale, interpersonale, persino sovrapersonale, di cui non riusciamo a rendere conto con una concezione "puntualistica" della persona, alla Locke...
Intervista realizzata da Marco Mozzoni il 23/05/2010 (C) BRAINFACTOR Cervello e Neuroscienze 

orso castano : interessanti considerazioni sul dualismo mente corpo, una diversa visione della mente "soggettiva", che soggettiva , nel senso classico, poi non puo' essere. Una visione della mente vicina a quella sistemico-cibernetica

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