lunedì 20 febbraio 2012

Panorama.it ,economia

IL PIANO MONTI........«Nel dibattito» scrive Roach «sono venute fuori idee assai ragionevoli: bisogna riformulare le regole e ritrovare un po’ di equilibrio nel mix tra crescita e stabilità sociale. La causa della nostra rovina è stata l’ossessione di crescere a ogni costo, senza esitare a fare ricorso alle follie più estreme dell’ingegneria finanziaria piuttosto che provocando la bolla del credito o drogando le valute».............Negli ultimi mesi i giornali più autorevoli hanno avviato un vero e proprio processo al capitalismo. La mossa d’apertura l’ha fatta Business week. Nemmeno una settimana dopo la condanna dei contestatori di Zuccotti Park da parte di Michael Bloomberg, sindaco di New York ma anche proprietario del settimanale, il servizio d’apertura era dedicato a David Graeber, l’antropologo dell’Università di Londra tra i leader della protesta: se non si procede alla cancellazione del debito come tra i sumeri o altri popoli biblici, è la sua tesi, non si uscirà dalla crisi. Qualcosa di simile l’ha scritta sul Financial Times Nial Ferguson, storico con cattedra ad Harvard e a Cambridge.

Il Financial Times ha offerto ampio spazio a un dibattito sul «capitalismo in crisi». Ma il tema si è presto allargato a The Atlantic, Foreign Policy e Foreign Affairs. E all’Economist che, parafrasando Adam Smith, ha allargato il dibattito anche alla «mano visibile del capitalismo», cioè quel mix di statalismo e di eccessi liberisti che distingue il Drago cinese............Anche così si arriva allo stipendio record di Tim Cook, l’erede di Jobs alla guida della Mela: 378 milioni di dollari. «Secondo voi ha senso che un uomo solo possa guadagnare 378 milioni di dollari?» si è domandato Salvatore Bragantini, una delle coscienze critiche della finanza italiana al convegno dell’Aiaf, l’associazione degli analisti finanziari, dal titolo «Finanza: la serva padrona?». «Io credo di no. La realtà è che, dalla caduta del Muro di Berlino in poi, stiamo vivendo uno spostamento di valore aggiunto dal lavoro al capitale» commenta Bragantini. «Un tempo si diceva che il salario era una variabile indipendente. Oggi lo stesso vale per il profitto. Non ha funzionato, non funzionerà».....È la rivincita del capitale sul lavoro. Secondo il consulente aziendale inglese Andrew Smithers, citato in prima pagina dal Financial Times, se la ripartizione di profitti e stipendi fosse la stessa degli anni Cinquanta, ogni lavoratore americano avrebbe incassato 5 mila dollari in più lo scorso anno. Colpa della recessione? Non proprio. «In passato» scrive Lawrence Misheldell’Economic policy institute di Washington «durante le recessioni gli utili soffrivano più dei salari. Al contrario i profitti sono superiori del 25-30% rispetto al 2008»....«C’è stato un cambiamento culturale» è l’analisi di Smithers «per i manager contano solo bonus e options». Il risultato è laricerca del profitto a breve, a costo di spremere le aziende e compromettere il tenore di vita di colletti bianchi e blu: un boomerang per il sistema, perché di questo passo i consumi non ripartiranno di sicuro. Insomma, il genio del profitto è uscito dalla bottiglia dell’economia. E minaccia il futuro del capitalismo che solo vent’anni fa sembrava godere di una salute di ferro. Ma alternative se ne vedono poche. «La crisi» è la sentenza del Financial Times «deriva da una mancanza di capitalismo. Ma per capitalismo noi intendiamo un libero mercato ben regolato, dove le risorse sono governate da scelte responsabili senza conflitti di interesse».Insomma, quel capitalismo perduto nelle nebbie della deregulation anni Novanta. «È allora che la finanza globale vince» commenta l’economistaGiacomo Vaciago. «Vince quello che Tommaso Padoa-Schioppachiamava il fondamentalismo di mercato. Quando si è affermata la preminenza del mercato, si è ridotta la sua qualità».   
Lunedì 20 Febbraio 2012
orso castano :
 puo' esistere un capitalismo in un "libero mercato ben regolato, ecc.." diffic ile rispondere, il capitalismo per sua natura e' rapace e non e' facile imbrigliarlo, le vie di fugaab dalle regole sono molteplici e la globalizzazione , la facilita' di movimento a livello internazionale, agevola questa rapacita'. Si riuscira' a costruire in  governo mondiale capace di far rispettare le regole al capitale garantendo al tempo stesso quella liberta' d'impresa linfa vitale del cpitalissmo? Sotto i nostri occhi si stanno sviluppando e crescono delocalizzazioni, razionalizzazioni tramita licenziamenti,  ecc. Lo Stato sembra piu' rincorrere per prevenire disasstri e mettere pezze , piuttosto che come Roosvelt col suo New deal mitigare e contrappesare le crisi periodiche della finanza internazionale, ne' il FMI sembra seriamente intenzionato a governare la globalizzazione finanziaria che schizza dappertutto fiutando la speculazione  sul capitale.

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