lunedì 13 febbraio 2012

Ricercatori italiani brevettano in USA il pacemaker cerebrale che si adatta al paziente: una nuova filosofia della DBS


Direttore del Centro di Neurotecnologie, Neurostimolazione e Disordini del Movimento della Fondazione IRCCS Cà Granda Policlinico di Milano

JH: Buongiorno professor Priori. Innanzitutto, una breve presentazione della Sua persona. So che Lei si è laureato in medicina, si è specializzato in neurologia ed ha conseguito un dottorato di ricerca all'Università "La Sapienza" a Roma, e poi si è trasferito all'Università Statale di Milano, dove ha fondato il centro di Neurotecnologie, Neurostimolazione e disordini del Movimento presso il Policlinico di Milano. Come mai il trasferimento?
AP: Il direttore dell’Istituto di Neurologia di allora, il Prof. Scarlato, cercava un ricercatore con esperienza di neurofisiologia e disordini del movimento anche al fine di avviare una tecnica che allora era agli inizi, la stimolazione cerebrale profonda, detta DBS dall’inglese "Deep Brain Stimulation". Il centro del Policlinico è stato uno dei primi in Italia ad eseguire impianti di elettrodi per DBS in pazienti affetti da malattia di Parkinson.
JH: Mi risulta che dopo un periodo di grande entusiasmo, oggi, alla luce dei risultati a lungo termine, il ruolo della DBS nel Parkinson è stato ridimensionato. Concorda con questo giudizio?
AP: Uno dei problemi è che la stimolazione è "fissa": mentre la gravità dei sintomi fluttua rapidamente anche a distanza di pochi minuti, la stimolazione non si adatta a queste variazioni. E' intuitivo che le esigenze del malato sono diverse mentre sta svolgendo un’attività complessa come vestirsi o sta seduto tranquillo a leggere un libro e i pacemaker attuali che si usano per la DBS non tengono conto di queste variazioni. Io ed i miei collaboratori nel 2004 iniziammo a pensare che una possibile soluzione a questo problema sarebbe potuta essere mettere a punto un pacemaker (traduzione = segnapassi) che potesse leggere l’attività elettrica dei neuroni stimolati, interpretare le esigenze del momento e modulare la neurostimolazione in base a queste ultime. Tuttavia, allora l’idea fu accolta con freddezza dalla comunità scientifica.
JH: Come ha fatto a portare avanti la sua idea?
AP: I "guru" non hanno fatto desistere me ed i miei collaboratori; abbiamo creduto nell'idea e abbiamo proseguito nel lavoro di ricerca, cercando di comprendere le alterazioni neurofisiologiche nei gangli della base dei pazienti affetti da malattia di Parkinson progettando e sviluppando un sistema che ci permettesse di registrare e stimolare allo stesso tempo, dallo stesso punto del cervello. La messa a punto di questo dispositivo — che oggi è usato anche da altri laboratori con la certificazione di dispositivo elettomedicale — ha richiesto circa 18 mesi di lavoro ed è stato il primo importante passo verso lo sviluppo della tecnica di stimolazione adattativa. Dopo questo primo avanzamento ci siamo ancora più convinti della fattibilità del progetto che, a quel punto necessitava del passo successivo ovvero dello sviluppo del sistema di regolazione automatica, ovvero del modulo "adattativo".
JH: In che cosa consiste questo pacemaker "adattativo"?
AP: Il pacemaker adattativo si basa sulla regolazione automatica della stimolazione momento per momento in base all’attività dei neuroni stimolati. Per fare alcuni esempi basati sulla vita quotidiana, lo scaldabagno in casa monitora la temperatura dell’acqua e si spegne quando l’acqua raggiunge la temperatura desiderata. Ebbene, allo stesso modo qui il pacemaker "adattativo" monitora l'attività elettrica delle cellule nervose coinvolte e aumenta o riduce la stimolazione a seconda delle esigenze. Il fenomeno, però, è più complesso dello scaldabagno perché non si tratta solo di accendersi e spegnersi, ma di modulare l'attività. Inoltre, la stimolazione evolverà con il paziente, per cui la stimolazione potrà essere adattata man mano che progredisce la malattia. La differenza è come tra l'abito preconfezionato che si compra ai grandi magazzini ed un abito di sartoria. Se si cambia un po' forma, l'abito preconfezionato non va più bene, mentre un abito di sartoria, che è confezionato su misura, può essere modificato dal sarto nel tempo, perché ha già previsto la possibilità di variazioni.
JH: Quali prove avete che funziona veramente?
AP: Il primo elemento del sistema, ovvero il modulo che consente di registrare l'attività neuronale e di stimolare allo stesso tempo, già funziona in vivo nel paziente e ci consente di decodificare le alterazioni dei gangli della base nel Parkinson e come esse sono influenzate dalla stimolazione. Il modulo di retroazione è in fase di messa a punto e sono in corso le procedure per ottenere la certificazione e la successiva autorizzazione per passare all’impiego clinico sperimentale.
JH: Ci sono altri vantaggi teorici? Per esempio, so che molti pazienti trattati con DBS hanno problemi con il linguaggio. E' possibile che questo pacemaker risolva questo problema?
AP: Forse solo in alcuni casi. Infatti, spesso il problema del linguaggio è dovuto al posizionamento degli elettrodi e non alla stimolazione. Un altro vantaggio è la riduzione della necessità di controlli e di messa a punto della stimolazione, che risulterà in un risparmio di risorse per il Servizio Sanitario Nazionale.
JH: Ci sono potenziali svantaggi?
AP: No, il dispositivo avrà tutte le protezioni contro i possibili malfunzionamenti elettronici analogamente ai dispositivi di vecchia generazione attualmente in uso. Il rischio chirurgico sarà equivalente a quello della DBS tradizionale.
JH: L’intervento per DBS cambia in qualche modo?
AP: No, rimane lo stesso. Cambierà solo lo stimolatore che si impianta sotto la pelle vicino alla clavicola. Verrà messo il pacemaker adattativo invece di quello standard.
JH: So che avete già il brevetto del pacemaker in Italia, in Europa e negli USA. Ma a che punto è l'autorizzazione all'uso in clinica?
AP: Sono in corso le procedure per l'autorizzazione all'inizio della fase di sperimentazione clinica con un dispositivo prototipo esterno. Sulla base del prototipo esterno si potrà poi sviluppare un dispositivo miniaturizzato impiantabile.
JH: Ho capito. Allora starete già pensando a reclutare pazienti. Pensate di includere pazienti ancora da impiantare oppure anche quelli già impiantati con un pacemaker vecchio?
AP: Inizialmente saranno reclutati pazienti non impiantati. Successivamente potranno essere inclusi anche pazienti già impiantati quando devono cambiare la batteria.
JH: Quanto tempo ci vorrà per completare gli studi clinici?
AP: Difficile dare una stima esatta in questa fase ma, direi, non molto.
JH: Grazie a Lei per il tempo che mi ha dedicato.

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